Franco Iurlaro intervista Antonina Sorge, presidente dell’Associazione Familiari Alzheimer di Caltanissetta, sul tema dell’attenzione da parte dei servizi, in Sicilia, verso le patologie di demenza e Alzheimer.
Antonina Sorge è Presidente dell’Associazione Familiari Alzheimer Caltanissetta ODV. L’Associazione è entrata a far parte di “Alzheimer Uniti Italia”, associazione di volontariato nazionale che ha tra gli scopi quello di avere una voce comune e rappresentare a livello internazionale, nazionale e regionale le istanze relative alla tutela, all’assistenza e ai diritti delle persone con demenza e delle loro famiglie.
Buongiorno Antonina, inizierei chiedendole, come familiare e come volontaria dell’associazione, qual è a suo avviso la sensibilità insulare rispetto lo scenario dei servizi di cura per le demenze, la patologia di Alzheimer e quelle collegate.
Devo dire che è una situazione che ancora non viene recepita in toto. Per esempio l’Associazione Familiari Alzheimer di Caltanissetta è nata per un’esigenza sociale perché grazie alla progettualità prevista nella L. 328/2000, nel 2008 una cooperativa riuscì a istituire un centro diurno.
Si iniziava a capire l’importanza di alleviare le famiglie da quello che è – parliamoci chiaro – il peso di una malattia come l’Alzheimer o comunque una delle varie forme di demenza correlate. Era uno dei cosiddetti “progetti a finanziamento” a scadenza triennale.
Nel momento in cui questo progetto venne a decadere ci fu l’esigenza da parte delle famiglie di sollecitare le forze politiche a continuare nel sostenere, con adeguati finanziamenti, questa tipologia di progetti.
All’epoca ci furono, diciamo, delle “sordità” da parte della politica. Noi familiari, come segnale, occupammo la sala gialla del Comune di Caltanissetta, dove portammo i pazienti. Alla fine la situazione si sbloccò, pur con i servizi dati da una cooperativa in una situazione di finanziamento parziale al quale dovevano comunque contribuire le famiglie, quotidianamente, in qualche modo, anche perché i pazienti andavano aumentando e insomma c’era una situazione un po’ particolare nelle sue criticità.
A seguire la nostra Associazione Familiari Alzheimer si è battuta affinché a Caltanissetta ci fosse un centro diurno pubblico gestito dall’Asp e quindi da personale qualificato e preparato in merito; e alla fine ci siamo riusciti.
Al momento c’è una copertura normativa per questi servizi, data ad esempio da una legge regionale?
Sì, perché sono attività previste dai Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), a favore della patologia di Alzheimer così come per l’autismo, e il sistema sanitario provvede alla gestione di centri diurni pubblici. Il problema però ora inizia a manifestarsi ed essere importante perché i casi aumentano considerando per esempio che un centro diurno lavora dal lunedì al venerdì, mattina e pomeriggio, però i posti sono limitati: non più di 30 persone possono essere accolte.
Ne abbiamo infatti chiesto l’ampliamento, anche per un tema demografico: non si parla più solo di pazienti ultraottantenni, adesso l’età inizia ad abbassarsi e le famiglie sono particolarmente stressate da questa situazione.
La politica fa ancora poco molto poco e tanto viene delegato alle strutture private, con quello che ne consegue per le famiglie perché sono servizi onerosi. Non tutte le famiglie possono permettersi di spendere da un minimo di ottocento euro al mese per portare la persona da assistere in un centro diurno privato; ancor peggio quando si parla di case di riposo.
Con quale ruolo per l’Associazione Familiari Alzheimer che presiedi?
Nonostante la nostra associazione non abbia ad oggi una sede (in passato era presso una RSA, poi con la pandemia è stata chiusa, adesso i locali non sono più disponibili), e quindi con le difficoltà organizzative che si possono immaginare, abbiamo un protocollo di intesa con l’ASP, per il quale finora abbiamo fatto sportello informativo, informazione e sensibilizzazione. Abbiamo anche creato degli eventi formativi, per dare alle famiglie strumenti su come agire quando ci si trova davanti questa malattia.
Tornando ai centri diurni, quali sono le figure professionali socio sanitarie previste?
Vi sono Operatori Socio Sanitari (OSS), infermieri, fisioterapisti, terapisti occupazionali, logopedisti e psicologi.
Da familiare, puoi ritenerti soddisfatta degli inserimenti nel Centro Diurno, oppure sono da ritenersi solo riempitivi di spazi e di tempi e non si vedono dei risultati terapeutici adeguati.
Da questo punto di vista devo dire che nel centro diurno di Caltanissetta ci sono persone che sono state lì per circa otto, nove anni. Parliamo quindi del fatto che le terapie occupazionali hanno sortito un certo effetto a livello terapeutico o quanto meno hanno rallentato la malattia perché comunque si sono mantenute quelle che sono le situazioni cognitive di base.
Al Centro c’è anche una logopedista, che si occupa della rieducazione al linguaggio con buoni risultati; il centro diurno è quindi un servizio che fa tantissimo, fa veramente tanto bene. Ci vorrebbero più centri diurni, o comunque più tempo per questa tipologia di persone in più spazi. Per esempio nella precedente sede c’era pure l’orto terapia.
Le proposte di stimolazione al centro sono continue, si fa musica, musicoterapia; c’è la fisioterapista e fanno fare la ginnastica dolce la mattina. C’è anche il momento della preghiera, data una religiosità che qui in Sicilia è molto forte; preghiere che si ripetono per tanto tempo rappresentano comunque un esercizio mnemonico, un ricordo che riaffiora quando le persone si riprendono. Insomma i risultati ci sono, e ci dovrebbe essere una maggiore offerta di accoglienza semiresidenziale.
All’ingresso si stipula un piano terapeutico che viene discusso con la famiglia?
Sì, all’ingresso il primo incontro viene fatto con lo psicologo che incontra il paziente e i familiari e si valutano, per iniziare, la gravità e l’avanzamento della malattia. Poi si inserisce il terapista occupazionale che stabilisce quali possono essere le attività da fare, secondo il grado della patologia. E periodicamente ci sono anche delle riunioni con le famiglie per fare il punto della situazione: questi momenti hanno un risvolto anche psicologico, perché diventano un’occasione di condivisione del problema con altre persone. Un incontro importantissimo, perché il dirsi “non sono da sola a subire determinate cose” aiuta; perché l’impatto con una persona che fino a qualche anno prima era operativa, rispondeva con cognizione di causa e poi improvvisamente inizia a non rispondere attivamente a determinate situazioni, a fare delle azioni che non sono più le stesse, sconvolge. Essere insieme ad altri familiari è uno dei modi per aiutarsi a uscire da quella forma di depressione in cui alla fine si cade.
Il concetto dell’essere assieme ci riporta al tema dell’associazionismo e parallelamente alle forme di auto aiuto associativo. Qual è stato il tuo percorso di avvicinamento?
Personalmente, come caregiver, ho seguito mia madre per vent’anni, dall’esordio della malattia. Lei insegnava matematica e fisica in un istituto tecnico di ragioneria: ed è stata la matematica la prima cosa che si è dimenticata per poi avere progressivi aggravamenti, fino agli ultimi tre anni in cui è stata allettata.
Mio padre ha avuto anche lui, poi, una forma di demenza però di tipo vascolare; a partire da delle micro ischemie che lo hanno portato ad avere questo tipo di problemi. Io da figlia unica mi sono trovata questo macigno sopra la testa e a quell’epoca qui a Caltanissetta ancora non c’era nulla; quindi a volte molte strategie me le sono trovate da sola.
Oggi rispondo, come Presidente dell’Associazione Familiari Alzheimer, a tutte le persone che ci chiamano per qualsivoglia tipo di problema. Da tempo non abbiamo più una sede e il telefono dell’associazione oggi sono io. Un cellulare dove trovi tutti i contatti e le situazioni, anche se tendo un po’ a separare ovviamente quella che è la mia vita personale da quella che è la vita dell’associazione.
Quali sono i temi più richiesti?
Ad oggi vedo veramente la disperazione delle famiglie che si trovano da sole ad affrontare il problema della gestione di propri cari con patologia Alzheimer. A volte le aiuto nelle piccole strategie quotidiane, oppure nella conoscenza della lista d’attesa al centro diurno, nella ricerca della badante. Ecco, la formazione delle badanti è una cosa alla quale non si pensa.
Prevedete anche azioni divulgative per consentire, attraverso conferenze o altro, di entrare nel merito della malattia?
Sì, le abbiamo in programma, le abbiamo fatte, abbiamo fatto convegni. Però principalmente il problema è che purtroppo, il più delle volte, per le famiglie è difficile partecipare, ma per un fattore di tempo, da “rubare” all’assistenza diretta. Quando avevamo la sede insieme al centro diurno (al piano di sopra), con il nostro piccolo ufficio, accanto a noi c’era anche un neurologo: una situazione quasi ideale, inglobata in un unico luogo, dove era facile relazionarsi, incontrare, ascoltare. All’epoca c’era la possibilità, quando facevamo le riunioni con i familiari, che magari i pazienti rimanevano qualche ora in più al centro diurno: una forma di collaborazione che ci consentiva di gestire al meglio le relazioni e determinate situazioni. Ora purtroppo siamo separati e bloccati. Infatti ho fatto richiesta di una sede al Comune e all’Asp, ancora aspettiamo e non nascondo il timore che se continua così non riusciremo ad averla. Farò un’inaugurazione per la chiusura della nostra associazione: c’è chi fa inaugurazione per l’apertura, io la farò per la chiusura.
Però la forza personale che comunichi si trasmette sicuramente, e già questo è un beneficio per tutta la comunità. Quanti siete come soci di questa vostra associazione?
In realtà ultimamente siamo diminuiti parecchio: eravamo partiti in circa una trentina, ma con la pandemia ci sono stati anche un po’ di decessi dei familiari, mentre alcuni di loro si sono staccati. Lo capisco perché quando hai a che fare con una malattia poi hai bisogno di periodi di disintossicazione, ci sono passata io e lo so. Però si rimane amici, si sta insieme. Ora non siamo più di venti, insomma siamo pochissimi.
Riuscite a essere in rete con altre associazioni sull’isola?
La nostra associazione negli anni ha provato a creare altre associazioni nei piccoli paesi perché Caltanissetta è una città, con la sua provincia, di oltre 63000 abitanti, non posso pertanto sapere cosa c’è a Mussomeli, a Sommatino, a Riesi, a Mazzarino, nei piccoli paesi.
Avevamo messo a disposizione il nostro statuto affinché si creassero altre piccole associazioni per poter fare rete, però non ci siamo riusciti. Siamo soltanto noi nella provincia di Caltanissetta.
A Palermo c’è un’altra associazione con la quale comunque dialoghiamo. Loro sono riusciti a creare un centro diurno, ovviamente con finanziamenti, ma comunque sempre con il contributo dei familiari. Ci sono tante piccole realtà però una vera e propria rete non si riesce a formare, anche perché ogni realtà locale può essere talmente impegnativa che è difficile a volte andare oltre i propri confini: ci si concentra di più ad aiutare nel lavoro di cura.
Per concludere, dal tuo punto di vista, quali pensi sarebbero le cose più importanti che vorresti nel futuro per garantire dignità e assistenza ai malati di Alzheimer?
Innanzitutto sensibilizzazione, a partire dai medici di famiglia, perché sono i primi a vedere quello che succede all’interno di una famiglia. E quindi, iniziando da loro, ci potrebbe essere una reazione a catena, creando informazione maggiore all’interno delle istituzioni sanitarie, anche all’interno della gestione dei Pronto Soccorso ospedalieri. E maggiore preparazione per gli infermieri, per gli OSS, perché non ci si può limitare a entrare in una stanza, somministrare una terapia, fare un’iniezione e andar via.
Una persona con demenza va assistita diversamente. Molte persone con demenza, ricordiamolo, quando entrano in ospedale non sempre ne escono, se ne escono, ne escono con piaghe e disidratati. Perché? Perché non comunicando non vengono capiti e quindi di conseguenza non hanno la giusta assistenza. Quindi, io per il futuro mi aspetto che ci sia una maggior consapevolezza di quelle che sono le problematiche sulla malattia da parte del personale sociosanitario, da parte delle assistenti sociali perché vi sono forti problematiche sociali all’interno delle famiglie coinvolte dalla patologia di Alzheimer, spesso impreparate o incapaci nel gestirla.
Ho letto, altresì, che in Veneto si è evidenziato il caso eclatante di un di un Alzheimer giovanile dove il bambino di dodici anni si deve prendere cura del padre. La società è questa cioè anche i ragazzi devono essere educati a essere umani verso queste persone e non è sicuramente per loro facile comprenderlo, assumersi questa responsabilità. Le famiglie devono essere aiutate dal sistema pubblico, con un supporto sociale, con l’assistenza sanitaria e anche economicamente. Chi come me ha perso il lavoro dopo vent’anni di assistenza alla propria madre come caregiver, ha difficoltà a rialzarsi a 50 anni. Ma lo farò!
Ringraziandoti, mi auguro che anche le tue parole e la tua esperienza contribuiscano a sensibilizzare i nostri lettori.
L’Associazione Familiari Alzheimer Caltanissetta ODV, ad oggi, pur essendo sprovvista di sede, continua il suo compito nei riguardi di quelle famiglie che si trovano ad avere un primo approccio con la malattia dando informazioni e supporto attraverso la linea telefonica diretta dell’associazione al numero 3292516155 e tramite email all’indirizzo familiarialzheimer@libero.it.
Approfondimenti
https://www.facebook.com/groups/alzheimercl/?locale=it_IT
http://www.alzheimercl.it/contatti/
http://pti.regione.sicilia.it/portal/pls/portal/docs/151339715.PDF
https://w3.ars.sicilia.it/DocumentiEsterni/ODG_PDF/ODG_18_2023_02_21_025_P_ALL.pdf