Cosa fa il fisioterapista in RSA? Come possiamo comprendere il suo ruolo in un contesto così particolare? In quest’articolo la fisioterapista Elisa Zucchi chiarisce l’utilità di questa figura, spesso non adeguatamente compresa, attraverso esempi concreti e calandosi nei panni delle persone che vivono in RSA e delle loro famiglie.

Cosa fa il fisioterapista in RSA?

Ruolo controverso quello del fisioterapista in RSA; spesso non particolarmente amato dalle altre professioni di cura, ma molto apprezzato dalle persone anziane e dai loro parenti. Di certo, figura professionale la cui utilità in tale contesto sfugge ai più.

L’immaginario comune vede il fisioterapista come quella persona che, se ti sei fatto male, hai subìto un trauma o un intervento chirurgico, “ti rimette a posto”, permettendoti di tornare all’attività sportiva o, quanto meno, alla tua attività lavorativa o comunque alla vita di prima.

Poco invece si sa del ruolo del fisioterapista nel trattare patologie croniche e ancor meno della sua importanza nella gestione di patologie degenerative e inesorabilmente progressive. Quasi nulla del suo approccio al fine vita.

Il contesto lavorativo nelle RSA, tuttavia, è proprio questo:

si tratta di prendersi cura di persone per lo più molto anziane, caratterizzate da importante comorbilità, fragilità clinica e spesso da patologie neurologiche degenerative e demenza. Persone che, in tempi e modi diversi, si approcciano ineluttabilmente al fine vita.

Ad uno sguardo superficiale, il ruolo del fisioterapista in questo contesto appare sicuramente oscuro, per non dire inutile. Ma non è così.

Nelle RSA c’è ampio spazio d’azione per i fisioterapisti. L’importante è porsi i giusti obiettivi e riconoscere i propri limiti d’azione.

Lottare per la dignità della persona

Il bisogno di movimento è uno dei bisogni fondamentali della persona.

Il movimento è vita, il movimento è gioia, il movimento è indipendenza, autonomia e autodeterminazione.

La persona anziana va incontro a una progressiva perdita della capacità di muoversi, intesa proprio come locomozione, ma anche della capacità di muovere e usare in modo finalistico, ad esempio, gli arti superiori, perdendo contestualmente l’autonomia nell’eseguire le attività della vita quotidiana.

Ed è qui che entra in gioco il fisioterapista. Ma in che modo? No, non abbiamo superpoteri, purtroppo! Né possiamo mandare indietro il tempo; ma possiamo guardare ogni giorno a ciò che è rimasto e cercare di sfruttarlo il più possibile in modo funzionale affinché resti il più a lungo possibile.

Si tratta spesso di micro-obiettivi e bisogna essere consapevoli che non si sa mai per quanto tempo si riusciranno a perseguire.

Posso pormi, ad esempio, come obiettivo che il Sig. Carlo mantenga la capacità di alimentarsi usando un cucchiaio, con cibi preparati. Sembra poco, forse banale. In fondo, si tratta di un piccolo movimento con l’arto superiore, non implica una grande forza, sicuramente però necessita di una certa coordinazione.

Ma non è tutto qui. Al fisioterapista poco interessano forza, range of motion, capacità coordinative o prassiche.

Al fisioterapista interessa il mantenimento di un’autonomia che dà dignità alla persona.

C’è una differenza enorme tra alimentarsi in autonomia o farsi imboccare. E noi abbiamo il dovere di lottare per questa differenza. Anche se ci vuole più tempo.

Spessissimo poi i fisioterapisti si incaponiscono e perseverano nel voler far alzare in piedi alcuni anziani che, si sa, non recupereranno più la capacità di camminare. Ma perché lo fate? Ci viene chiesto in modo più o meno esplicito.

Sapete, la Sig.ra Maria, è vero, non può più camminare, ma la Sig.ra Maria sente ancora il bisogno di andare in bagno. Se io le mantengo la capacità di alzarsi sulle sue gambe, le permetto di poter essere messa sul water. Pare poco? A me personalmente sembra un obiettivo dall’importanza enorme e anche questo ha molto a che fare con la dignità della persona.

Invitare le persone a deambulare

Veniamo poi alla deambulazione, intesa proprio come attività riabilitativa.

Se ne fa largo uso in RSA, a ragion veduta. La percentuale di persone che abitano le RSA e che sono affette da demenza è altissima. Sembra banale sottolineare quanto sia difficile con loro un approccio fisioterapico “tradizionale”, ma banale forse non è.

Spesso non c’è da parte loro la consapevolezza del luogo in cui si trovano, del perché sono lì, né della malattia stessa. Quindi, in che modo e perché proporre di “alzare 10 volte la gamba sinistra”? Che tipo di risposta dovrei aspettarmi? Con le persone affette da demenza non funziona. Bisogna piuttosto lavorare sugli automatismi e la deambulazione è uno degli automatismi che resta più a lungo.

Poco mi interessa se il Sig. Carlo cammina lento o veloce, se cammina con uno schema corretto del passo o sulle punte dei piedi, se ha bisogno del girello o se perde un po’ l’equilibrio. Il Sig. Carlo è ancora in grado di muoversi da qui a lì, ed io gli permetto di farlo. Anzi, lo invito a farlo.

Già, perché il Sig. Carlo, “disorientato e col cammino instabile”, è “protetto in sedia”, quindi se il fisioterapista non lo invita a camminare, semplicemente non può farlo. Nemmeno se ha bisogno di sgranchirsi le gambe, nemmeno se ha bisogno di andare in bagno o se si sente bagnato o sporco; nemmeno se ha fame o sete e non riesce a comunicarlo; nemmeno se banalmente è stufo di stare davanti alla tv o di fianco ad un altro anziano che si lamenta incessantemente da due ore.

Il Sig. Carlo non può muoversi come e quando vuole, quindi sì, ogni qualvolta è possibile, il fisioterapista lo inviterà a camminare. Come può. Quanto può.

In assenza di obiettivi riabilitativi raggiungibili

C’è poi la Sig.ra Concetta. Uno “scricciolino” di nemmeno 40kg, intrappolato in un corpo per lo più immobile e deforme a causa di una lunga malattia neurologica degenerativa.

Concetta ha bisogno di tutto, non ci sono obiettivi riabilitativi verosimilmente raggiungibili. E allora cosa può fare il fisioterapista per lei?

Ciò che possiamo e abbiamo il dovere di fare è garantirle il miglior comfort possibile. Si tratta di valutare quale sia l’ausilio migliore su cui accomodarla fuori dal letto; si tratta di trovare la postura migliore affinché ottenga il miglior allineamento posturale possibile e non senta dolore.

Si tratta di programmare e dare indicazioni per i cambi posturali nel letto, fornire i cuscini giusti, contattare il tecnico ortopedico, valutarla insieme e far prescrivere gli ausili corretti al Fisiatra. In una frase si può riassumere con “contenere i danni da immobilità”, per cui, tra l’altro, è necessario un grande lavoro di squadra.

La mobilizzazione passiva

Di persone come Concetta ce ne sono molte nelle RSA. Tempo fa era una pratica comune dedicare loro del tempo facendo della “mobilizzazione passiva”. In poche parole: il fisioterapista muove passivamente tutti i distretti corporei della persona anziana, senza la sua collaborazione.

L’obiettivo sarebbe quello di evitare o contenere l’instaurarsi di retrazioni muscolo-tendinee, piuttosto che regolarizzare il tono muscolare. Attualmente la letteratura non depone a favore di questa pratica, mettendo in evidenza che non ha alcun beneficio maggiore di quanto ne abbiano posture corrette mantenute a lungo.

Il mio parere strettamente personale è che, in mancanza di evidenze scientifiche, preferisco astenermi da questa pratica. Lo ritengo un gesto di rispetto nei loro confronti. È vero, fatta nel modo giusto potrebbe essere un momento di contatto umano. Ma io ho la percezione che persone del tutto immobili e con uno stato avanzato di demenza siano già sottoposte a manovre poco piacevoli ripetutamente durante la giornata.

Basti pensare a quante azioni (molte necessarie!) subiscono passivamente: l’igiene del mattino, l’essere spogliati/vestiti, la somministrazione della terapia, l’essere imboccati o idratati (magari con acqua addensata), clisteri, cateterismi, cambi di pannolone, l’igiene del cavo orale. E ancora: la tv accesa tutto il giorno, il lamento incessante del compagno di stanza, essere appesi al sollevatore due o quattro volte al giorno. Si potrebbe continuare.

Non c’è nessuna autodeterminazione in tutto questo, nessuna possibilità di scelta consapevole e nemmeno la preoccupazione del fatto che queste azioni potrebbero non essere gradite. Io no, non me la sento proprio di aggiungere la mobilizzazione passiva a tutto questo. Ma è un parere personale.

Cooperare con i parenti

Altra attività fisioterapica comunemente praticata in RSA è la fisiokinesiterapia di gruppo. A un insieme di persone, a volte anche eterogeneo, vengono proposti esercizi per diversi distretti corporei, spesso anche in forma ludica o comunque divertente. In questo contesto, oltre all’aspetto prettamente motorio, si dà molta enfasi all’aspetto relazionale e sociale. È generalmente molto gradita da anziani e parenti, che talvolta si rendono anche partecipi.

Ecco, a proposito di parenti, si rende ora necessario spendere qualche parola. Anche questo è un argomento piuttosto discusso e che personalmente mi sta molto a cuore. C’è chi vorrebbe il parente totalmente escluso dalla cura del proprio caro e limitato negli accessi alla struttura, perché di intralcio alle attività di reparto.

Io, sinceramente, sono del parere diametralmente opposto. Con quale diritto posso impedire a un figlio di occuparsi di sua madre? Perché devo impedire a una moglie che ha accudito il proprio marito malato con dedizione per 10 anni al domicilio di continuare a farlo? È ovvio, ci sono modi, momenti e responsabilità da rispettare, ma il parente può essere davvero una risorsa enorme per una RSA.

Si tratta di creare un rapporto di reciproca fiducia, in cui il parente può entrare a far parte dell’équipe assistenziale e rendere la cura unica e personalizzata per ciascun anziano. È vero, non è sempre facile, ma mettere un muro tra famiglie e personale assistenziale o il veto a fare qualsiasi cosa non è funzionale a nessuno.

Dal mio punto di vista, se il parente desidera far fare quattro passi al proprio caro, sono contenta che lo faccia, come sono d’accordo se, ad esempio, nel weekend vuole fargli fare un po’ di movimento con la pedaliera. Non ci trovo davvero nulla di male, anzi!

Forse mi sono dilungata fin troppo e a tratti sono un po’ uscita dal seminato, ma per capire che cosa fa il fisioterapista in RSA è necessario comprendere bene il contesto lavorativo, gli obiettivi e i limiti, ma anche le piccole gioie di cui è fatta la quotidianità.

About the Author: Elisa Zucchi

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Fisioterapista in RSA dal 2007, responsabile del servizio di riabilitazione. Fa parte del team dei narratorə di CURA.

Cosa fa il fisioterapista in RSA? Come possiamo comprendere il suo ruolo in un contesto così particolare? In quest’articolo la fisioterapista Elisa Zucchi chiarisce l’utilità di questa figura, spesso non adeguatamente compresa, attraverso esempi concreti e calandosi nei panni delle persone che vivono in RSA e delle loro famiglie.

Cosa fa il fisioterapista in RSA?

Ruolo controverso quello del fisioterapista in RSA; spesso non particolarmente amato dalle altre professioni di cura, ma molto apprezzato dalle persone anziane e dai loro parenti. Di certo, figura professionale la cui utilità in tale contesto sfugge ai più.

L’immaginario comune vede il fisioterapista come quella persona che, se ti sei fatto male, hai subìto un trauma o un intervento chirurgico, “ti rimette a posto”, permettendoti di tornare all’attività sportiva o, quanto meno, alla tua attività lavorativa o comunque alla vita di prima.

Poco invece si sa del ruolo del fisioterapista nel trattare patologie croniche e ancor meno della sua importanza nella gestione di patologie degenerative e inesorabilmente progressive. Quasi nulla del suo approccio al fine vita.

Il contesto lavorativo nelle RSA, tuttavia, è proprio questo:

si tratta di prendersi cura di persone per lo più molto anziane, caratterizzate da importante comorbilità, fragilità clinica e spesso da patologie neurologiche degenerative e demenza. Persone che, in tempi e modi diversi, si approcciano ineluttabilmente al fine vita.

Ad uno sguardo superficiale, il ruolo del fisioterapista in questo contesto appare sicuramente oscuro, per non dire inutile. Ma non è così.

Nelle RSA c’è ampio spazio d’azione per i fisioterapisti. L’importante è porsi i giusti obiettivi e riconoscere i propri limiti d’azione.

Lottare per la dignità della persona

Il bisogno di movimento è uno dei bisogni fondamentali della persona.

Il movimento è vita, il movimento è gioia, il movimento è indipendenza, autonomia e autodeterminazione.

La persona anziana va incontro a una progressiva perdita della capacità di muoversi, intesa proprio come locomozione, ma anche della capacità di muovere e usare in modo finalistico, ad esempio, gli arti superiori, perdendo contestualmente l’autonomia nell’eseguire le attività della vita quotidiana.

Ed è qui che entra in gioco il fisioterapista. Ma in che modo? No, non abbiamo superpoteri, purtroppo! Né possiamo mandare indietro il tempo; ma possiamo guardare ogni giorno a ciò che è rimasto e cercare di sfruttarlo il più possibile in modo funzionale affinché resti il più a lungo possibile.

Si tratta spesso di micro-obiettivi e bisogna essere consapevoli che non si sa mai per quanto tempo si riusciranno a perseguire.

Posso pormi, ad esempio, come obiettivo che il Sig. Carlo mantenga la capacità di alimentarsi usando un cucchiaio, con cibi preparati. Sembra poco, forse banale. In fondo, si tratta di un piccolo movimento con l’arto superiore, non implica una grande forza, sicuramente però necessita di una certa coordinazione.

Ma non è tutto qui. Al fisioterapista poco interessano forza, range of motion, capacità coordinative o prassiche.

Al fisioterapista interessa il mantenimento di un’autonomia che dà dignità alla persona.

C’è una differenza enorme tra alimentarsi in autonomia o farsi imboccare. E noi abbiamo il dovere di lottare per questa differenza. Anche se ci vuole più tempo.

Spessissimo poi i fisioterapisti si incaponiscono e perseverano nel voler far alzare in piedi alcuni anziani che, si sa, non recupereranno più la capacità di camminare. Ma perché lo fate? Ci viene chiesto in modo più o meno esplicito.

Sapete, la Sig.ra Maria, è vero, non può più camminare, ma la Sig.ra Maria sente ancora il bisogno di andare in bagno. Se io le mantengo la capacità di alzarsi sulle sue gambe, le permetto di poter essere messa sul water. Pare poco? A me personalmente sembra un obiettivo dall’importanza enorme e anche questo ha molto a che fare con la dignità della persona.

Invitare le persone a deambulare

Veniamo poi alla deambulazione, intesa proprio come attività riabilitativa.

Se ne fa largo uso in RSA, a ragion veduta. La percentuale di persone che abitano le RSA e che sono affette da demenza è altissima. Sembra banale sottolineare quanto sia difficile con loro un approccio fisioterapico “tradizionale”, ma banale forse non è.

Spesso non c’è da parte loro la consapevolezza del luogo in cui si trovano, del perché sono lì, né della malattia stessa. Quindi, in che modo e perché proporre di “alzare 10 volte la gamba sinistra”? Che tipo di risposta dovrei aspettarmi? Con le persone affette da demenza non funziona. Bisogna piuttosto lavorare sugli automatismi e la deambulazione è uno degli automatismi che resta più a lungo.

Poco mi interessa se il Sig. Carlo cammina lento o veloce, se cammina con uno schema corretto del passo o sulle punte dei piedi, se ha bisogno del girello o se perde un po’ l’equilibrio. Il Sig. Carlo è ancora in grado di muoversi da qui a lì, ed io gli permetto di farlo. Anzi, lo invito a farlo.

Già, perché il Sig. Carlo, “disorientato e col cammino instabile”, è “protetto in sedia”, quindi se il fisioterapista non lo invita a camminare, semplicemente non può farlo. Nemmeno se ha bisogno di sgranchirsi le gambe, nemmeno se ha bisogno di andare in bagno o se si sente bagnato o sporco; nemmeno se ha fame o sete e non riesce a comunicarlo; nemmeno se banalmente è stufo di stare davanti alla tv o di fianco ad un altro anziano che si lamenta incessantemente da due ore.

Il Sig. Carlo non può muoversi come e quando vuole, quindi sì, ogni qualvolta è possibile, il fisioterapista lo inviterà a camminare. Come può. Quanto può.

In assenza di obiettivi riabilitativi raggiungibili

C’è poi la Sig.ra Concetta. Uno “scricciolino” di nemmeno 40kg, intrappolato in un corpo per lo più immobile e deforme a causa di una lunga malattia neurologica degenerativa.

Concetta ha bisogno di tutto, non ci sono obiettivi riabilitativi verosimilmente raggiungibili. E allora cosa può fare il fisioterapista per lei?

Ciò che possiamo e abbiamo il dovere di fare è garantirle il miglior comfort possibile. Si tratta di valutare quale sia l’ausilio migliore su cui accomodarla fuori dal letto; si tratta di trovare la postura migliore affinché ottenga il miglior allineamento posturale possibile e non senta dolore.

Si tratta di programmare e dare indicazioni per i cambi posturali nel letto, fornire i cuscini giusti, contattare il tecnico ortopedico, valutarla insieme e far prescrivere gli ausili corretti al Fisiatra. In una frase si può riassumere con “contenere i danni da immobilità”, per cui, tra l’altro, è necessario un grande lavoro di squadra.

La mobilizzazione passiva

Di persone come Concetta ce ne sono molte nelle RSA. Tempo fa era una pratica comune dedicare loro del tempo facendo della “mobilizzazione passiva”. In poche parole: il fisioterapista muove passivamente tutti i distretti corporei della persona anziana, senza la sua collaborazione.

L’obiettivo sarebbe quello di evitare o contenere l’instaurarsi di retrazioni muscolo-tendinee, piuttosto che regolarizzare il tono muscolare. Attualmente la letteratura non depone a favore di questa pratica, mettendo in evidenza che non ha alcun beneficio maggiore di quanto ne abbiano posture corrette mantenute a lungo.

Il mio parere strettamente personale è che, in mancanza di evidenze scientifiche, preferisco astenermi da questa pratica. Lo ritengo un gesto di rispetto nei loro confronti. È vero, fatta nel modo giusto potrebbe essere un momento di contatto umano. Ma io ho la percezione che persone del tutto immobili e con uno stato avanzato di demenza siano già sottoposte a manovre poco piacevoli ripetutamente durante la giornata.

Basti pensare a quante azioni (molte necessarie!) subiscono passivamente: l’igiene del mattino, l’essere spogliati/vestiti, la somministrazione della terapia, l’essere imboccati o idratati (magari con acqua addensata), clisteri, cateterismi, cambi di pannolone, l’igiene del cavo orale. E ancora: la tv accesa tutto il giorno, il lamento incessante del compagno di stanza, essere appesi al sollevatore due o quattro volte al giorno. Si potrebbe continuare.

Non c’è nessuna autodeterminazione in tutto questo, nessuna possibilità di scelta consapevole e nemmeno la preoccupazione del fatto che queste azioni potrebbero non essere gradite. Io no, non me la sento proprio di aggiungere la mobilizzazione passiva a tutto questo. Ma è un parere personale.

Cooperare con i parenti

Altra attività fisioterapica comunemente praticata in RSA è la fisiokinesiterapia di gruppo. A un insieme di persone, a volte anche eterogeneo, vengono proposti esercizi per diversi distretti corporei, spesso anche in forma ludica o comunque divertente. In questo contesto, oltre all’aspetto prettamente motorio, si dà molta enfasi all’aspetto relazionale e sociale. È generalmente molto gradita da anziani e parenti, che talvolta si rendono anche partecipi.

Ecco, a proposito di parenti, si rende ora necessario spendere qualche parola. Anche questo è un argomento piuttosto discusso e che personalmente mi sta molto a cuore. C’è chi vorrebbe il parente totalmente escluso dalla cura del proprio caro e limitato negli accessi alla struttura, perché di intralcio alle attività di reparto.

Io, sinceramente, sono del parere diametralmente opposto. Con quale diritto posso impedire a un figlio di occuparsi di sua madre? Perché devo impedire a una moglie che ha accudito il proprio marito malato con dedizione per 10 anni al domicilio di continuare a farlo? È ovvio, ci sono modi, momenti e responsabilità da rispettare, ma il parente può essere davvero una risorsa enorme per una RSA.

Si tratta di creare un rapporto di reciproca fiducia, in cui il parente può entrare a far parte dell’équipe assistenziale e rendere la cura unica e personalizzata per ciascun anziano. È vero, non è sempre facile, ma mettere un muro tra famiglie e personale assistenziale o il veto a fare qualsiasi cosa non è funzionale a nessuno.

Dal mio punto di vista, se il parente desidera far fare quattro passi al proprio caro, sono contenta che lo faccia, come sono d’accordo se, ad esempio, nel weekend vuole fargli fare un po’ di movimento con la pedaliera. Non ci trovo davvero nulla di male, anzi!

Forse mi sono dilungata fin troppo e a tratti sono un po’ uscita dal seminato, ma per capire che cosa fa il fisioterapista in RSA è necessario comprendere bene il contesto lavorativo, gli obiettivi e i limiti, ma anche le piccole gioie di cui è fatta la quotidianità.

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