Comunicare la diagnosi di demenza richiede sensibilità e rispetto dell’esperienza personale di ciascun paziente. Un’esperienza che può essere diversa da persona a persona, anche a causa della variabilità e progressività della malattia.
Il termine demenza descrive un gruppo di patologie caratterizzate da una progressiva perdita delle cellule neuronali in specifiche aree del cervello. A seconda dell’area interessata da tale perdita neurale, gli esiti saranno diversi.
L’insorgenza della malattia è solitamente insidiosa e si caratterizza per un’evoluzione lenta, graduale, ingravescente e generalmente irreversibile dei sintomi, la cui manifestazione può essere preceduta da una lunga fase asintomatica. Spesso, le tipiche alterazioni cognitive sono accompagnate da disturbi dell’umore, del comportamento e della personalità.
L’andamento progressivo e fluttuante dei sintomi rende difficoltosa per il medico la comunicazione della diagnosi di demenza. Dovrà infatti adoperarsi per garantire ascolto e rispetto nei confronti dell’esperienza personale di malattia propria di ciascun paziente, esercitando un atteggiamento di profonda sensibilità.
La comunicazione della diagnosi di demenza si configura come un incontro tra medico e paziente estremamente complesso. Tale complessità può essere spiegata dal fatto che la diagnosi di demenza è spesso incerta, non definibile e il medico si deve far carico della responsabilità di gestire tutte le problematiche connesse.
Infatti, l’andamento del quadro clinico potrà essere fluttuante, con un peggioramento progressivo dei sintomi e accompagnato dal variare delle necessità individuali e familiari in relazione a esso.
Il medico e il paziente, nel loro incontro, portano ciascuno il proprio sapere. Da un lato, il medico è portatore delle sue conoscenze, degli anni di esperienza e di osservazione clinica, in virtù della sua competenza professionale, mentre il paziente riversa nella relazione i suoi vissuti, le sue paure e le sensazioni scaturite dall’essere portatore di demenza. Nella lingua italiana non esistono dei termini specifici che permettano di identificare i due saperi, tuttavia in inglese è possibile fare una distinzione ben precisa. Infatti, si parla di disease quando ci si riferisce alla descrizione biologica e organica della patologia e, quindi, alle pratiche attraverso cui il medico si approccerà a essa e la illness che racchiude la narrazione soggettiva dei vissuti della persona in riferimento alla malattia.
Da diversi anni, il tentativo nella pratica medica è quello di promuovere la centralità del paziente in quanto riconosciuto come il maggior esperto della propria esperienza di malattia. Uno dei principali ostacoli in questo processo è quello di un enorme vuoto formativo che canalizza la formazione del medico verso l’acquisizione di competenze tecniche sempre più specifiche che, tuttavia, non contemplano gli aspetti più psicologici e comunicativi. Inoltre, i limiti strutturali e la mancanza di tempo nelle strutture sanitarie ospedaliere comporta appuntamenti contingentati della durata di pochi minuti, nei quali la narrazione della illness del paziente trova poco spazio per essere ascoltata. Infine, le visite e le procedure diagnostiche avvengono attraverso protocolli di cura ben definiti.
Il Codice di Deontologia Medica in merito alla comunicazione della diagnosi, si esprime in questo modo:
Diverse testimonianze hanno messo in luce che la maggior parte dei medici affermi di non comunicare la diagnosi di demenza al paziente ma solo ai familiari. Per molto tempo, è prevalsa l’idea, che in parte sussiste ancora oggi, che fosse meglio non comunicare la diagnosi al paziente, al fine di tutelarlo e scongiurare possibili reazioni di sgomento.
Tuttavia, ci sono elementi per poter sostenere l’idea secondo cui la comunicazione della diagnosi di demenza al paziente restituisca a quest’ultimo la possibilità di dare un senso a ciò che sta accadendo e di sentirsi artefice delle scelte di vita future, anche in seguito alla notizia infausta.
L’obbligo di informare il paziente rimane, salvo esplicita richiesta contraria da parte di quest’ultimo. La capacità di comprendere le informazioni e di esprimere il proprio libero consenso non va intesa come una presenza o assenza assoluta, ma come un continuum in cui il medico dovrà muoversi nel tentativo di adattare l’informazione affinché quel particolare paziente venga messo nelle condizioni di comprendere e decidere. Qualora le difficoltà cognitive compromettano questi aspetti, il medico avrà la responsabilità di servirsi di fonti aggiuntive di sostegno, come per esempio la partecipazione attiva dei membri della famiglia o delle associazioni presenti sul territorio.
Ad oggi, si ritiene non essere più giustificabile omettere al paziente la diagnosi e si reputa fondamentale sostenere una pratica di comunicazione autentica che consenta alla persona di poter elaborare e dare un significato all’enorme cambiamento che dovrà affrontare. Una modalità di comunicazione autentica restituisce alla persona la dignità che, altrimenti, verrebbe inesorabilmente portata via, tra le altre cose, anche dallo stigma sociale sulla diagnosi di demenza.
Fonti bibliografiche
Cabrese S., Conti V. Fioretti C., Che cos’è la medicina narrativa, Roma Carocci Editore, 2022.
Pellegrino F., La malattia di Alzheimer. Comunicare la diagnosi, Roma, Carocci Editore, 2009.