Angela Di Giaimo, infermiera e consulente organizzativa in ambito sociosanitario, ripercorre i passaggi chiave della storia, passata e recente, che hanno caratterizzato l’identità della professione infermieristica. Un’analisi che ci fa riflettere anche su quanto e perché il riconoscimento sociale della professione sia oggi ancora troppo fragile.
Le radici dell’infermieristica
Quello di assistenza è un concetto che probabilmente nasce con l’uomo stesso in quanto animale sociale, dunque è difficile collocare la sua nascita in un momento preciso della storia.
Assistenza è una parola che nasce da un verbo composto del tardo latino ad-sistere e lo traduciamo oggi con il significato di stare vicino (Edoardo Manzoni, 2010)
Dalle origini del genere umano, la Cura ha sempre rappresentato un elemento necessario per la sopravvivenza delle persone. La solidarietà, la reciprocità, l’attenzione, l’intenzionalità ne rappresentano gli elementi indispensabili.
Tutti gli esseri umani sono infatti accumunati da fragilità e vulnerabilità poiché essendo creature “finite” e “mancanti” hanno, anche in tempi diversi, la necessità che qualcuno si prenda cura di loro.
Breve storia di un’identità difficile da conquistare
L’assistenza infermieristica ha dunque radici antichissime, evolvendosi nel tempo attraverso differenti modelli e influenze culturali.
Dalle prime forme di cura informale e per lo più invisibile, esercitate all’interno della famiglia ad opera delle donne, si è passati nel tempo a forme di assistenza più strutturate, per quanto in molti casi non fortunate a livello di riconoscimento sociale.
Nell’epoca romana, per esempio, erano affidate agli schiavi (uomini e donne) tutte le attività legate alla cura del corpo, perché ritenute socialmente inferiori.
Mentre nel Medioevo la cura venne poi assorbita dalla Chiesa, con monaci e suore che si occupavano di malati e bisognosi, ma più come strumenti di carità che non come professionisti con competenze specifiche.
Con l’avvento del Rinascimento e dell’Illuminismo, la figura del medico iniziò a distinguersi in maniera sempre più netta da quella assistenziale.
La funzione di assistenza iniziò a subire un forte arretramento valoriale e culturale, esasperatosi nel XVIII secolo con la laicizzazione dell’assistenza e il reclutamento di operatori di cura tra le file di ex carcerati, prostitute, orfani, ex malati, ragazze madri, con compiti puramente domestici e di sorveglianza notturni.
La laicizzazione dell’assistenza, in una concezione medico-centrica, portava a considerare più la malattia che i gesti di cura: gli ospedali divennero luogo di studio delle patologie, e si abbandonò il concetto di assistenza di bisognosi e malati.
In questo contesto, si fece strada però per i medici la necessità di avere un supporto (ausilio) per gli interventi diagnostici e terapeutici che si stavano evolvendo sempre più grazie allo sviluppo della conoscenza scientifica e anatomica.
Una figura di aiuto-medico dunque, che a sua volta doveva dotarsi di una formazione specifica, per sviluppare sempre più competenze, al fine di rendere possibile il lavoro del medico.
Fu solo nel XIX secolo che la professione infermieristica assunse una sua identità autonoma, grazie a Florence Nightingale, che istituì un sistema formativo mirato a creare una professione socialmente riconosciuta, portando alla nascita delle prime scuole per infermieri.
Con Florence Nightingale nasce l’assistenza infermieristica moderna, ma si dovranno attendere alcuni decenni prima che anche in Italia il suo modello diventi realtà concreta.
Dalle mansioni alla responsabilità
Abbiamo percorso molta strada da allora e in tempi più recenti ci sono stati passaggi chiave per la nostra professione che non possono essere dimenticati.
In primis il DM 739 del 1994, con il quale siamo passati dal modello centrato sulla malattia (mansioni) al modello centrato sulla Persona, ovvero finalmente siamo diventati una professione sanitaria.

Per me, che sono “figlia” del Mansionario (D.P.R. 225 del 14 marzo 1974), ricordare quella sequela di mansioni previste per l’Infermiere Professionale, elencate in un documento continuamente brandito come una clava, genera ricordi non piacevoli.
L’elenco era rigido ed esaustivo, tutto ciò che non vi era compreso era vietato perché di competenza medica.
L’infermiere dei miei tempi non era a servizio dell’assistito ma del medico, a cui doveva rispondere gerarchicamente e funzionalmente.
Ricordo che, lavorando in un distretto socio sanitario, quando mi permisi di eseguire un ECG senza la presenza del medico (come previsto all’art.2 del Mansionario), rischiai un procedimento disciplinare.
Il Profilo Professionale dell’Infermiere (D.M. del 14 settembre 1994 n. 739) fu un documento fortemente voluto dall’evoluzione dei tempi, dall’innovazione scientifica e culturale.
La norma uscì dopo proteste di piazza che ci videro uniti per rivendicare una precisa identità professionale.
Questo Decreto Ministeriale ha, di fatto, trasformato l’infermiere da “mero esecutore” a Professionista intellettuale, riconoscendogli competenze specifiche, autonomia e responsabilità.
Ha inoltre definito formalmente le funzioni dell’infermiere, stabilendo che egli agisce secondo una formazione accademica che, proprio in quegli anni, iniziava ad essere offerta presso le varie università. E ha infine introdotto e sancito il concetto di processo assistenziale, superando l’elenco di mansioni e compiti previsto dal Mansionario (1).
Da professione sanitaria ausiliaria, si è così passati a professione sanitaria, equiparando e unificando l’infermiere a tutte le altre professioni sanitarie (inclusa quella del medico).
Il consolidamento della formazione accademica e la possibilità di ampliare i percorsi post base, sia in senso orizzontale (Master, specializzazioni) sia in senso verticale (Laurea Magistrale e Dottorato di Ricerca), ha consentito inoltre agli infermieri di ricoprire ruoli di governo all’interno di strutture sanitarie e socio sanitarie e di contribuire a formare e coordinare anche altre figure di supporto (ASA e OSS) (2).
Il codice deontologico dell’infermiere
Il Codice Deontologico dell’Infermiere rappresenta un ulteriore e indispensabile tassello per definire il nostro ruolo morale ed etico, a difesa del cittadino assistito e della Comunità Professionale (3).
Il Codice Deontologico è e rimane la “bussola” che orienta i comportamenti del Professionista Infermiere quando diventa difficile (se non impossibile) decidere qual è la scelta migliore.
Questo documento sancisce una Promessa che l’infermiere e tutta la Comunità Professionale decide di onorare nei confronti di qualsiasi Persona, in virtù di Principi e Valori sui quali la Cura pone le sue fondamenta.
Infermieri e riconoscimento sociale: una strada tortuosa
Come si è visto, la Professione Infermieristica ha radici profonde nella storia e ha, nel corso dei secoli, risentito fortemente del contesto sociale, delle evoluzioni scientifiche, religiose, politiche e antropologiche.
Ciò ha condizionato i vari cambiamenti avvenuti all’interno della Comunità Professionale.
Schiavi e schiave, prostitute, ragazze madri, ex carcerati, suore, religiosi, aiuto medico… fino ad essere riconosciuti, negli anni novanta, come Professionisti qualificati e autonomi.
La strada per un riconoscimento sociale e professionale è stata (ed è tutt’oggi) tortuosa e complessa e, spesso, alcuni ruoli ricoperti nella storia della nostra professione ancora rappresentano uno stigma.
È frequente verificare come spesso il nostro lavoro sia ancora troppo “invisibile”, quasi scontato, come se fosse legato ad una sorta di “missione”, che mantiene ancora una valenza mistica e spirituale legata al passato e che, per questo motivo, non considera appieno valori e diritti, in primis quelli personali ed economici.
Difficile, inoltre, staccarci anche dalla figura ausiliaria, ovvero funzionale all’operato del medico, per riuscire a offrire un’immagine che valorizzi appieno la nostra autonomia professionale.
Ritengo che la nostra identità, almeno nell’immaginario collettivo, sia ancora troppo confusa e nebulosa: tutti ritengono di conoscere chi è l’Infermiere, ma pochi cittadini ne sanno descrivere le funzioni e le responsabilità reali.
Ma forse, anche all’interno della nostra stessa Comunità Professionale, nonostante siano trascorsi più di trent’anni dall’emanazione del D.M. 739/1994, non si è ancora totalmente concordi sul viversi quali Professionisti intellettuali con competenze specifiche, con una propria autonomia e responsabilità.
Senza infermieri non c’è salute
Tuttavia, è necessario e doveroso immaginare come potrebbe essere il nostro Sistema Sanitario senza Infermieri.
Nel corso di questi ultimi anni, la Professione Infermieristica ha subìto e sta subendo dei veri e propri traumi che sarebbe troppo complesso trattare in questo articolo: l’esperienza della Pandemia Covid, i mancati riconoscimenti contrattuali ed economici, la scarsa possibilità di progressioni di carriera e, dulcis in fundo, le aggressioni sempre più frequenti ai danni del personale sanitario.
Una delle conseguenze più drammatiche è quella legata alla carenza di personale (4).
Anche per l’A.A. 2024-2025, purtroppo, si è assistito a un ulteriore calo di iscrizioni presso i Corsi di Laurea in Infermieristica, segnale che conferma il trend preoccupante riguardante la scarsa attrattività della Professione da parte dei giovani.
Purtroppo “senza infermieri non c’è salute!”: studi sulle cure infermieristiche mancate (Missed Nursing Care) dimostrano quanto questo fenomeno possa produrre esiti negativi sui pazienti, sullo staff infermieristico e sull’organizzazione (Jones et al. 2015).
Un ulteriore studio, condotto in Australia e pubblicato qualche anno fa su The Lancet, suggerisce che il rapporto minimo è di un infermiere ogni 4 pazienti (in Italia abbiamo una media di un infermiere ogni 11 e più). Questo rapporto incide sulla mortalità degli assistiti, ovvero: al diminuire del numero degli infermieri, aumenta il numero dei decessi.
Lo stesso studio ha dimostrato che grazie a investimenti economici contrattuali e al conseguente aumento del numero di infermieri, si sono evitati numerosi decessi ma anche ricoveri e giornate di degenza impropri, risparmiando sui costi sociali e recuperando, quindi, quanto investito.
Grazie agli infermieri che resistono
La Professione Infermieristica sta cercando soluzioni nonostante non sia facile essere ascoltati all’interno delle Istituzioni.
Tuttavia, il sistema sta tenendo proprio grazie al personale sanitario che, nonostante tutto, fa il possibile (e anche di più) per garantire standard assistenziali accettabili.
Il riconoscimento sociale della Professione Infermieristica è fragile, forse perché i 455.000 mila e passa infermieri italiani non hanno ancora sviluppato una identità solida e condivisa che li potrebbe trasformare in una potenza.
Penso per esempio a ciò che accadde in Quebec alla fine degli anni ’90, dove si assistette a un fenomeno senza precedenti nella storia sindacale: nel corso di un braccio di ferro tra governo e sindacato infermieristico, il sindacato scelse la protesta più estrema. La maggior parte degli infermieri del SSN per protesta si licenziò, mettendo così in ginocchio il governo e la sua incombenza di garantire il diritto alla salute ai cittadini.
Il governo, non potendo chiudere gli ospedali, si vide costretto ad assumere come liberi professionisti gli stessi infermieri licenziatisi. La lotta durò per mesi e poi gli infermieri furono riassunti.
Come tutte le lotte, a meno che non si tratti di una rivoluzione, entrambe le parti ebbero i pro e i contro, ma una cosa era ormai certa: il governo dopo questo evento, doveva necessariamente dialogare e trattare con il sindacato infermieristico per tutte le materie di politica sanitaria del Paese.
Una vittoria senza dubbio per la professione e la sua capacità di influenzare le scelte dei governi.
Mi auguro che in Italia non si arrivi a iniziative così drastiche; tuttavia, rimane chiaro che un solo intervento (es. introduzione di una nuova figura come quella dell’assistente infermiere) non è sufficiente.
Vorrei concludere ringraziando tutti gli infermieri e il resto del personale delle équipe di cura che, fino ad oggi ha assicurato assistenza a pazienti e residenti in RSA e altre strutture.
Mi auguro che le Direzioni riescano a individuare, nonostante la scarsità di risorse, incentivi e riconoscimenti per mantenere un clima organizzativo sostenibile perché, solo così, sono possibili Cure appropriate e sicure alle persone più fragili.
Da “vecchia” infermiera, figlia di una generazione orgogliosa ed entusiasta, ho avuto l’onore e l’onere di partecipare e vivere importanti passaggi: il futuro è nelle mani dei giovani che spero riescano a riappropriarsi degli spazi di cui ha bisogno questa meravigliosa Professione per assicurare le giuste cure ai cittadini.
Note
(1). La Legge 42 del 26 febbraio 1999, recante disposizioni in materia di Professioni Sanitarie, ha poi aggiunto e ribadito concetti rilevanti ed epocali. Veniva infatti ribadita, all’art. 1, l’abrogazione del Mansionario, consolidando e definendo ulteriormente quanto definito nel Profilo Professionale. Inoltre, la Legge 42/1999 sottolineava che l’Infermiere è un Professionista autonomo e responsabile, definendo i criteri guida da considerare per mantenersi all’interno del proprio specifico professionale. Venivano altresì citati anche dei criteri limite, orientati ad evitare di invadere il campo di altri professionisti, in particolare delle competenze previste per la professione medica.
(2). La Legge 251/2000 prevede e approva la Dirigenza Infermieristica riconoscendo a pieno titolo responsabilità gestionali e organizzative in campo assistenziale.
Con la Legge 43/2006, infine, si completa un percorso di importante riqualificazione, istituendo gli Ordini Professionali e allineando questa norma a quelle precedenti riconoscendo un percorso universitario, diventando enti sussidiari (e non più ausiliari) dello Stato.
(3). “… Il Codice Deontologico dell’Infermiere ha una funzione fondamentale: regola il comportamento professionale che ognuno di noi poi declina sulla particolarità del caso clinico o del contesto organizzativo per offrire la migliore risposta in termini di salute, risposta che non può trovarsi nel codice, ma dentro l’agito consapevole e ragionato di tutti gli iscritti di cui il Codice è a supporto e non il contrario…” (Barbara Mangiacavalli Presidente FNOPI, Federazione Nazionale Ordini delle Professioni Infermieristiche)
(4). Parlano per noi, alcuni numeri che possono rendere l’idea: “in Italia la carenza di infermieri è destinata ad aggravarsi: agli oltre 60mila che già ne mancano, si aggiungeranno circa 100mila professionisti che saranno portati fuori dal sistema dei pensionamenti nel giro di dieci anni. Senza contare le “fughe” all’estero per ottenere condizioni economiche e lavorative migliori. Gli stipendi degli infermieri in Italia hanno differenze retributive, a parità di potere d’acquisto, con quelli annuali in Germania, Svizzera e Regno Unito rispettivamente del 56%, 46,2% e 20% in meno.
Neppure l’ultimo contratto, chiuso nel 2021, ha migliorato di molto una situazione già difficile, anche a causa della limitata possibilità di sbocchi di carriera[…]. Si rende quindi necessaria un’adeguata programmazione del personale, l’incremento dell’offerta formativa e l’adozione di misure per ripristinare l’attrattività al lavoro nel SSN in termini di riconoscimento sociale ed economico.” (19° Rapporto CREA Sanità, Centro di ricerca riconosciuto da Eurostat, Istat e Ministero della Salute).
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Angela Di Giaimo, infermiera e consulente organizzativa in ambito sociosanitario, ripercorre i passaggi chiave della storia, passata e recente, che hanno caratterizzato l’identità della professione infermieristica. Un’analisi che ci fa riflettere anche su quanto e perché il riconoscimento sociale della professione sia oggi ancora troppo fragile.
Le radici dell’infermieristica
Quello di assistenza è un concetto che probabilmente nasce con l’uomo stesso in quanto animale sociale, dunque è difficile collocare la sua nascita in un momento preciso della storia.
Assistenza è una parola che nasce da un verbo composto del tardo latino ad-sistere e lo traduciamo oggi con il significato di stare vicino (Edoardo Manzoni, 2010)
Dalle origini del genere umano, la Cura ha sempre rappresentato un elemento necessario per la sopravvivenza delle persone. La solidarietà, la reciprocità, l’attenzione, l’intenzionalità ne rappresentano gli elementi indispensabili.
Tutti gli esseri umani sono infatti accumunati da fragilità e vulnerabilità poiché essendo creature “finite” e “mancanti” hanno, anche in tempi diversi, la necessità che qualcuno si prenda cura di loro.
Breve storia di un’identità difficile da conquistare
L’assistenza infermieristica ha dunque radici antichissime, evolvendosi nel tempo attraverso differenti modelli e influenze culturali.
Dalle prime forme di cura informale e per lo più invisibile, esercitate all’interno della famiglia ad opera delle donne, si è passati nel tempo a forme di assistenza più strutturate, per quanto in molti casi non fortunate a livello di riconoscimento sociale.
Nell’epoca romana, per esempio, erano affidate agli schiavi (uomini e donne) tutte le attività legate alla cura del corpo, perché ritenute socialmente inferiori.
Mentre nel Medioevo la cura venne poi assorbita dalla Chiesa, con monaci e suore che si occupavano di malati e bisognosi, ma più come strumenti di carità che non come professionisti con competenze specifiche.
Con l’avvento del Rinascimento e dell’Illuminismo, la figura del medico iniziò a distinguersi in maniera sempre più netta da quella assistenziale.
La funzione di assistenza iniziò a subire un forte arretramento valoriale e culturale, esasperatosi nel XVIII secolo con la laicizzazione dell’assistenza e il reclutamento di operatori di cura tra le file di ex carcerati, prostitute, orfani, ex malati, ragazze madri, con compiti puramente domestici e di sorveglianza notturni.
La laicizzazione dell’assistenza, in una concezione medico-centrica, portava a considerare più la malattia che i gesti di cura: gli ospedali divennero luogo di studio delle patologie, e si abbandonò il concetto di assistenza di bisognosi e malati.
In questo contesto, si fece strada però per i medici la necessità di avere un supporto (ausilio) per gli interventi diagnostici e terapeutici che si stavano evolvendo sempre più grazie allo sviluppo della conoscenza scientifica e anatomica.
Una figura di aiuto-medico dunque, che a sua volta doveva dotarsi di una formazione specifica, per sviluppare sempre più competenze, al fine di rendere possibile il lavoro del medico.
Fu solo nel XIX secolo che la professione infermieristica assunse una sua identità autonoma, grazie a Florence Nightingale, che istituì un sistema formativo mirato a creare una professione socialmente riconosciuta, portando alla nascita delle prime scuole per infermieri.
Con Florence Nightingale nasce l’assistenza infermieristica moderna, ma si dovranno attendere alcuni decenni prima che anche in Italia il suo modello diventi realtà concreta.
Dalle mansioni alla responsabilità
Abbiamo percorso molta strada da allora e in tempi più recenti ci sono stati passaggi chiave per la nostra professione che non possono essere dimenticati.
In primis il DM 739 del 1994, con il quale siamo passati dal modello centrato sulla malattia (mansioni) al modello centrato sulla Persona, ovvero finalmente siamo diventati una professione sanitaria.

Per me, che sono “figlia” del Mansionario (D.P.R. 225 del 14 marzo 1974), ricordare quella sequela di mansioni previste per l’Infermiere Professionale, elencate in un documento continuamente brandito come una clava, genera ricordi non piacevoli.
L’elenco era rigido ed esaustivo, tutto ciò che non vi era compreso era vietato perché di competenza medica.
L’infermiere dei miei tempi non era a servizio dell’assistito ma del medico, a cui doveva rispondere gerarchicamente e funzionalmente.
Ricordo che, lavorando in un distretto socio sanitario, quando mi permisi di eseguire un ECG senza la presenza del medico (come previsto all’art.2 del Mansionario), rischiai un procedimento disciplinare.
Il Profilo Professionale dell’Infermiere (D.M. del 14 settembre 1994 n. 739) fu un documento fortemente voluto dall’evoluzione dei tempi, dall’innovazione scientifica e culturale.
La norma uscì dopo proteste di piazza che ci videro uniti per rivendicare una precisa identità professionale.
Questo Decreto Ministeriale ha, di fatto, trasformato l’infermiere da “mero esecutore” a Professionista intellettuale, riconoscendogli competenze specifiche, autonomia e responsabilità.
Ha inoltre definito formalmente le funzioni dell’infermiere, stabilendo che egli agisce secondo una formazione accademica che, proprio in quegli anni, iniziava ad essere offerta presso le varie università. E ha infine introdotto e sancito il concetto di processo assistenziale, superando l’elenco di mansioni e compiti previsto dal Mansionario (1).
Da professione sanitaria ausiliaria, si è così passati a professione sanitaria, equiparando e unificando l’infermiere a tutte le altre professioni sanitarie (inclusa quella del medico).
Il consolidamento della formazione accademica e la possibilità di ampliare i percorsi post base, sia in senso orizzontale (Master, specializzazioni) sia in senso verticale (Laurea Magistrale e Dottorato di Ricerca), ha consentito inoltre agli infermieri di ricoprire ruoli di governo all’interno di strutture sanitarie e socio sanitarie e di contribuire a formare e coordinare anche altre figure di supporto (ASA e OSS) (2).
Il codice deontologico dell’infermiere
Il Codice Deontologico dell’Infermiere rappresenta un ulteriore e indispensabile tassello per definire il nostro ruolo morale ed etico, a difesa del cittadino assistito e della Comunità Professionale (3).
Il Codice Deontologico è e rimane la “bussola” che orienta i comportamenti del Professionista Infermiere quando diventa difficile (se non impossibile) decidere qual è la scelta migliore.
Questo documento sancisce una Promessa che l’infermiere e tutta la Comunità Professionale decide di onorare nei confronti di qualsiasi Persona, in virtù di Principi e Valori sui quali la Cura pone le sue fondamenta.
Infermieri e riconoscimento sociale: una strada tortuosa
Come si è visto, la Professione Infermieristica ha radici profonde nella storia e ha, nel corso dei secoli, risentito fortemente del contesto sociale, delle evoluzioni scientifiche, religiose, politiche e antropologiche.
Ciò ha condizionato i vari cambiamenti avvenuti all’interno della Comunità Professionale.
Schiavi e schiave, prostitute, ragazze madri, ex carcerati, suore, religiosi, aiuto medico… fino ad essere riconosciuti, negli anni novanta, come Professionisti qualificati e autonomi.
La strada per un riconoscimento sociale e professionale è stata (ed è tutt’oggi) tortuosa e complessa e, spesso, alcuni ruoli ricoperti nella storia della nostra professione ancora rappresentano uno stigma.
È frequente verificare come spesso il nostro lavoro sia ancora troppo “invisibile”, quasi scontato, come se fosse legato ad una sorta di “missione”, che mantiene ancora una valenza mistica e spirituale legata al passato e che, per questo motivo, non considera appieno valori e diritti, in primis quelli personali ed economici.
Difficile, inoltre, staccarci anche dalla figura ausiliaria, ovvero funzionale all’operato del medico, per riuscire a offrire un’immagine che valorizzi appieno la nostra autonomia professionale.
Ritengo che la nostra identità, almeno nell’immaginario collettivo, sia ancora troppo confusa e nebulosa: tutti ritengono di conoscere chi è l’Infermiere, ma pochi cittadini ne sanno descrivere le funzioni e le responsabilità reali.
Ma forse, anche all’interno della nostra stessa Comunità Professionale, nonostante siano trascorsi più di trent’anni dall’emanazione del D.M. 739/1994, non si è ancora totalmente concordi sul viversi quali Professionisti intellettuali con competenze specifiche, con una propria autonomia e responsabilità.
Senza infermieri non c’è salute
Tuttavia, è necessario e doveroso immaginare come potrebbe essere il nostro Sistema Sanitario senza Infermieri.
Nel corso di questi ultimi anni, la Professione Infermieristica ha subìto e sta subendo dei veri e propri traumi che sarebbe troppo complesso trattare in questo articolo: l’esperienza della Pandemia Covid, i mancati riconoscimenti contrattuali ed economici, la scarsa possibilità di progressioni di carriera e, dulcis in fundo, le aggressioni sempre più frequenti ai danni del personale sanitario.
Una delle conseguenze più drammatiche è quella legata alla carenza di personale (4).
Anche per l’A.A. 2024-2025, purtroppo, si è assistito a un ulteriore calo di iscrizioni presso i Corsi di Laurea in Infermieristica, segnale che conferma il trend preoccupante riguardante la scarsa attrattività della Professione da parte dei giovani.
Purtroppo “senza infermieri non c’è salute!”: studi sulle cure infermieristiche mancate (Missed Nursing Care) dimostrano quanto questo fenomeno possa produrre esiti negativi sui pazienti, sullo staff infermieristico e sull’organizzazione (Jones et al. 2015).
Un ulteriore studio, condotto in Australia e pubblicato qualche anno fa su The Lancet, suggerisce che il rapporto minimo è di un infermiere ogni 4 pazienti (in Italia abbiamo una media di un infermiere ogni 11 e più). Questo rapporto incide sulla mortalità degli assistiti, ovvero: al diminuire del numero degli infermieri, aumenta il numero dei decessi.
Lo stesso studio ha dimostrato che grazie a investimenti economici contrattuali e al conseguente aumento del numero di infermieri, si sono evitati numerosi decessi ma anche ricoveri e giornate di degenza impropri, risparmiando sui costi sociali e recuperando, quindi, quanto investito.
Grazie agli infermieri che resistono
La Professione Infermieristica sta cercando soluzioni nonostante non sia facile essere ascoltati all’interno delle Istituzioni.
Tuttavia, il sistema sta tenendo proprio grazie al personale sanitario che, nonostante tutto, fa il possibile (e anche di più) per garantire standard assistenziali accettabili.
Il riconoscimento sociale della Professione Infermieristica è fragile, forse perché i 455.000 mila e passa infermieri italiani non hanno ancora sviluppato una identità solida e condivisa che li potrebbe trasformare in una potenza.
Penso per esempio a ciò che accadde in Quebec alla fine degli anni ’90, dove si assistette a un fenomeno senza precedenti nella storia sindacale: nel corso di un braccio di ferro tra governo e sindacato infermieristico, il sindacato scelse la protesta più estrema. La maggior parte degli infermieri del SSN per protesta si licenziò, mettendo così in ginocchio il governo e la sua incombenza di garantire il diritto alla salute ai cittadini.
Il governo, non potendo chiudere gli ospedali, si vide costretto ad assumere come liberi professionisti gli stessi infermieri licenziatisi. La lotta durò per mesi e poi gli infermieri furono riassunti.
Come tutte le lotte, a meno che non si tratti di una rivoluzione, entrambe le parti ebbero i pro e i contro, ma una cosa era ormai certa: il governo dopo questo evento, doveva necessariamente dialogare e trattare con il sindacato infermieristico per tutte le materie di politica sanitaria del Paese.
Una vittoria senza dubbio per la professione e la sua capacità di influenzare le scelte dei governi.
Mi auguro che in Italia non si arrivi a iniziative così drastiche; tuttavia, rimane chiaro che un solo intervento (es. introduzione di una nuova figura come quella dell’assistente infermiere) non è sufficiente.
Vorrei concludere ringraziando tutti gli infermieri e il resto del personale delle équipe di cura che, fino ad oggi ha assicurato assistenza a pazienti e residenti in RSA e altre strutture.
Mi auguro che le Direzioni riescano a individuare, nonostante la scarsità di risorse, incentivi e riconoscimenti per mantenere un clima organizzativo sostenibile perché, solo così, sono possibili Cure appropriate e sicure alle persone più fragili.
Da “vecchia” infermiera, figlia di una generazione orgogliosa ed entusiasta, ho avuto l’onore e l’onere di partecipare e vivere importanti passaggi: il futuro è nelle mani dei giovani che spero riescano a riappropriarsi degli spazi di cui ha bisogno questa meravigliosa Professione per assicurare le giuste cure ai cittadini.
Note
(1). La Legge 42 del 26 febbraio 1999, recante disposizioni in materia di Professioni Sanitarie, ha poi aggiunto e ribadito concetti rilevanti ed epocali. Veniva infatti ribadita, all’art. 1, l’abrogazione del Mansionario, consolidando e definendo ulteriormente quanto definito nel Profilo Professionale. Inoltre, la Legge 42/1999 sottolineava che l’Infermiere è un Professionista autonomo e responsabile, definendo i criteri guida da considerare per mantenersi all’interno del proprio specifico professionale. Venivano altresì citati anche dei criteri limite, orientati ad evitare di invadere il campo di altri professionisti, in particolare delle competenze previste per la professione medica.
(2). La Legge 251/2000 prevede e approva la Dirigenza Infermieristica riconoscendo a pieno titolo responsabilità gestionali e organizzative in campo assistenziale.
Con la Legge 43/2006, infine, si completa un percorso di importante riqualificazione, istituendo gli Ordini Professionali e allineando questa norma a quelle precedenti riconoscendo un percorso universitario, diventando enti sussidiari (e non più ausiliari) dello Stato.
(3). “… Il Codice Deontologico dell’Infermiere ha una funzione fondamentale: regola il comportamento professionale che ognuno di noi poi declina sulla particolarità del caso clinico o del contesto organizzativo per offrire la migliore risposta in termini di salute, risposta che non può trovarsi nel codice, ma dentro l’agito consapevole e ragionato di tutti gli iscritti di cui il Codice è a supporto e non il contrario…” (Barbara Mangiacavalli Presidente FNOPI, Federazione Nazionale Ordini delle Professioni Infermieristiche)
(4). Parlano per noi, alcuni numeri che possono rendere l’idea: “in Italia la carenza di infermieri è destinata ad aggravarsi: agli oltre 60mila che già ne mancano, si aggiungeranno circa 100mila professionisti che saranno portati fuori dal sistema dei pensionamenti nel giro di dieci anni. Senza contare le “fughe” all’estero per ottenere condizioni economiche e lavorative migliori. Gli stipendi degli infermieri in Italia hanno differenze retributive, a parità di potere d’acquisto, con quelli annuali in Germania, Svizzera e Regno Unito rispettivamente del 56%, 46,2% e 20% in meno.
Neppure l’ultimo contratto, chiuso nel 2021, ha migliorato di molto una situazione già difficile, anche a causa della limitata possibilità di sbocchi di carriera[…]. Si rende quindi necessaria un’adeguata programmazione del personale, l’incremento dell’offerta formativa e l’adozione di misure per ripristinare l’attrattività al lavoro nel SSN in termini di riconoscimento sociale ed economico.” (19° Rapporto CREA Sanità, Centro di ricerca riconosciuto da Eurostat, Istat e Ministero della Salute).
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