Il dialogo tra RSA e famiglie è un tema noto qui su CURA. Questa volta, però, sono i familiari a parlare. Barbara Di Clemente, scrittrice e promotrice culturale della Residenza Richelmy di Torino, ha raccolto in quest’articolo le riflessioni di cinque familiari, basate sui loro bisogni reali e quotidiani.

La parola ai familiari

Come baldi cavalieri ci ritroviamo alle tre in punto intorno a una tavola rotonda. Per carità non molto grande, ma sicuramente adatta per accogliere i pensieri a tutto tondo di alcuni parenti.

Ne abbiamo scelti cinque, pescati qua e là per far sì che le risposte arrivassero da più piani, più realtà, più vite.

Nunzia ha la mamma nel reparto NDCT (Nucleo Declino Cognitivo Temporaneo).

Le vedo spesso passeggiare per la Struttura a braccetto e già da lontano si intuisce la dedizione di una figlia che ha ben compreso il ribaltamento dei ruoli, il doversi prendere cura di chi l’ha cresciuta e amata per anni:

«Mi trovo molto bene in questa RSA, sono tutti gentili e disponibili.

Mia madre Anna è in una situazione di forte fragilità e saperla in buone mani mi permette di vivere bene la mia vita fuori, di non rimanere con il cervello impigliato qui a pensare a cosa stia facendo.

Ma di sicuro non mi spiacerebbe ricevere ogni settimana un piccolo report, anche attraverso un’app, in cui mi dicano a grandi linee come è andata.

Io vengo tutti i giorni, ma naturalmente non copro le ventiquattro ore. Quindi una soluzione del genere, che ricordi vagamente il registro elettronico delle scuole, mi sarebbe di certo di supporto.

Inoltre, ho scoperto da poco che ci sono dei giornaletti mensili in cui i professionisti fanno il resoconto, anche con foto, delle attività e dei laboratori. So che vengono spediti via mail con la fattura, ma chi ha tempo per stampare? Mi piacerebbe che il cartaceo fosse messo più in evidenza in reception, anche grazie a un cartello, per poterlo prendere e leggere.

Ho sentito che molti familiari non ne conoscevano neanche l’esistenza».

Il desiderio di restare aggiornati

A prendere la parola sono Giuseppe e Maria, un abbinamento di nomi che ci fa sorridere. Sono fratelli e la mamma Antonia abita al secondo piano. Quando ti avvicini, Antonia ti fa un largo sorriso e da quella sua chioma rosso Tiziano intuisci l’indole vivace di un tempo:

«Nostra mamma era piena di voglia di vivere, amava la musica, le danze. Ora è diventata più taciturna, chiusa. Noi proviamo a portarla alle varie attività, ma come entriamo lei ci fa cenno di andare via.

Sinceramente anche per noi sarebbe bello avere un rendiconto settimanale che ci permetta di capire approssimativamente la sua qualità di vita.

Non diciamo quotidiano, perché ci rendiamo conto della grossa mole di lavoro del personale, ma sarebbe carino che venissero evidenziati un po’ di punti che bene o male sono quelli che interessano di più i parenti.

Tipo se mangia, se dorme di notte, se ogni tanto scambia due parole con qualcuno, se la salute è stata più o meno stabile. Insomma, quelle voci che in generale ti fanno tirare un sospiro di sollievo e dire a te stesso: nonostante tutto, la nostra mamma sta bene».

Il peso della burocrazia

Tocca a Bruno, figlio di Maria (i rimandi sacri abbondano!).

Mi sono innamorata immediatamente di sua madre, non è possibile il contrario.

Centotré anni, un caschetto liscio e argentato, un cerchietto rosa confetto che tiene indietro i capelli. Piccola piccola, eppure dall’aria così forte e solida.

Ogni volta che le parli, con un candore disarmante e una cadenza piemontese spiccata, ti dice che lei è pronta ad andarsene, perché quello che doveva fare l’ha fatto. E come darle torto? Ha lavorato duro e messo al mondo cinque figli maschi… cosa non da poco. A parlare il terzogenito:

«Approfitto di questa finestra per dire una cosa che mi passa per la testa da tanto.

Io credo che per migliorare la comunicazione con le famiglie, sarebbe bellissimo se nascesse dentro ogni RSA uno sportello di accoglienza prettamente burocratico.

Insomma, che ci fosse una persona preposta solo ad aiutare i parenti a muoversi in quel mondo nebuloso e contorto fatto da carte e scartoffie.

Ci sono leggi complesse, sempre pronte a cambiare, a contraddirsi.

Mi sono trovato a chiacchierare con altri familiari che oltre a dover portare avanti il discorso di accudimento del proprio caro, che non è una passeggiata, si sono imbattuti in muraglie cinesi per capire come avere sgravi, come accedere a quella o a questa agevolazione.

Può sembrare una cosa da poco, ma non lo è. Toglie il sonno a gente che già lo ha leggero per altri motivi».

A questo discorso si collega prontamente Marcella, moglie di Guido, che ha una stanza al primo piano.

Marcella ha superato gli ottant’anni e se li porta benissimo. Sarà per il suo passato da atleta, sarà per quello sguardo vivo o per gli innumerevoli viaggi fatti in giro per il mondo con il marito. Non lo so. L’unica cosa certa è che ha le idee chiare su cosa le piacerebbe cambiare per migliorare il dialogo tra famiglia e struttura:

La comunicazione in RSA a 360 gradi

«Ha ragione Bruno, la parte burocratica ti atterrisce e io la vivo in prima persona. Sarebbe meraviglioso avere qualcuno che dai primi giorni ti prenda per mano per capire come muoverti e farti fare i passi giusti.

Voglio aggiungere una cosa, a mio avviso basilare.

Affinché la comunicazione tra i parenti e la RSA sia efficace, c’è bisogno che lo sia in primis tra il personale.

Insomma, sarebbe bello che OSS, infermieri e chi gravita intorno ai residenti si parlassero prima di dare qualsiasi informazione alla famiglia. Avere più versioni da più professionisti ti mette in uno stato confusionale che disorienta.

Ecco, penso che il primo grande passo da fare sia quello di migliorare i canali comunicativi interni per creare una rete esterna forte ed efficace.

Inoltre, da una chiacchierata con un caro amico, è uscita fuori una cosa semplice ma che farebbe di certo la differenza: creare una figura di riferimento che, nel famoso primo mese di ricovero, vagli a fondo le competenze, le aspettative e i desideri delle persone appena entrate.

Fatto questo, cercare di formare dei gruppi attivi che si parlino e interagiscano perché più o meno sullo stesso livello cognitivo.

La comunicazione, a mio avviso, deve essere vista a trecentosessanta gradi perché sia fruttuosa: il personale dovrebbe comunicare con il personale, le famiglie con la struttura, le famiglie con le famiglie e, cosa non da poco, i residenti con i residenti.

Un circolo virtuoso in cui parlarsi e capirsi a cuore aperto, con l’unico e grande intento di rendere la vita dei nostri cari degna di questo nome. Fino alla fine.»

About the Author: Barbara Di Clemente

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Scrittrice, narratrice sociale e promotrice culturale della Residenza Richelmy.

Grazie di cuore

 

Se questo articolo ti è stato utile puoi fare una piccola donazione per sostenere il lavoro di CURA

rivista CURA settembre23

Con 1 euro puoi aiutarci a cambiare la narrazione stereotipata sulla vecchiaia e sul mondo delle RSA.

Il dialogo tra RSA e famiglie è un tema noto qui su CURA. Questa volta, però, sono i familiari a parlare. Barbara Di Clemente, scrittrice e promotrice culturale della Residenza Richelmy di Torino, ha raccolto in quest’articolo le riflessioni di cinque familiari, basate sui loro bisogni reali e quotidiani.

La parola ai familiari

Come baldi cavalieri ci ritroviamo alle tre in punto intorno a una tavola rotonda. Per carità non molto grande, ma sicuramente adatta per accogliere i pensieri a tutto tondo di alcuni parenti.

Ne abbiamo scelti cinque, pescati qua e là per far sì che le risposte arrivassero da più piani, più realtà, più vite.

Nunzia ha la mamma nel reparto NDCT (Nucleo Declino Cognitivo Temporaneo).

Le vedo spesso passeggiare per la Struttura a braccetto e già da lontano si intuisce la dedizione di una figlia che ha ben compreso il ribaltamento dei ruoli, il doversi prendere cura di chi l’ha cresciuta e amata per anni:

«Mi trovo molto bene in questa RSA, sono tutti gentili e disponibili.

Mia madre Anna è in una situazione di forte fragilità e saperla in buone mani mi permette di vivere bene la mia vita fuori, di non rimanere con il cervello impigliato qui a pensare a cosa stia facendo.

Ma di sicuro non mi spiacerebbe ricevere ogni settimana un piccolo report, anche attraverso un’app, in cui mi dicano a grandi linee come è andata.

Io vengo tutti i giorni, ma naturalmente non copro le ventiquattro ore. Quindi una soluzione del genere, che ricordi vagamente il registro elettronico delle scuole, mi sarebbe di certo di supporto.

Inoltre, ho scoperto da poco che ci sono dei giornaletti mensili in cui i professionisti fanno il resoconto, anche con foto, delle attività e dei laboratori. So che vengono spediti via mail con la fattura, ma chi ha tempo per stampare? Mi piacerebbe che il cartaceo fosse messo più in evidenza in reception, anche grazie a un cartello, per poterlo prendere e leggere.

Ho sentito che molti familiari non ne conoscevano neanche l’esistenza».

Il desiderio di restare aggiornati

A prendere la parola sono Giuseppe e Maria, un abbinamento di nomi che ci fa sorridere. Sono fratelli e la mamma Antonia abita al secondo piano. Quando ti avvicini, Antonia ti fa un largo sorriso e da quella sua chioma rosso Tiziano intuisci l’indole vivace di un tempo:

«Nostra mamma era piena di voglia di vivere, amava la musica, le danze. Ora è diventata più taciturna, chiusa. Noi proviamo a portarla alle varie attività, ma come entriamo lei ci fa cenno di andare via.

Sinceramente anche per noi sarebbe bello avere un rendiconto settimanale che ci permetta di capire approssimativamente la sua qualità di vita.

Non diciamo quotidiano, perché ci rendiamo conto della grossa mole di lavoro del personale, ma sarebbe carino che venissero evidenziati un po’ di punti che bene o male sono quelli che interessano di più i parenti.

Tipo se mangia, se dorme di notte, se ogni tanto scambia due parole con qualcuno, se la salute è stata più o meno stabile. Insomma, quelle voci che in generale ti fanno tirare un sospiro di sollievo e dire a te stesso: nonostante tutto, la nostra mamma sta bene».

Il peso della burocrazia

Tocca a Bruno, figlio di Maria (i rimandi sacri abbondano!).

Mi sono innamorata immediatamente di sua madre, non è possibile il contrario.

Centotré anni, un caschetto liscio e argentato, un cerchietto rosa confetto che tiene indietro i capelli. Piccola piccola, eppure dall’aria così forte e solida.

Ogni volta che le parli, con un candore disarmante e una cadenza piemontese spiccata, ti dice che lei è pronta ad andarsene, perché quello che doveva fare l’ha fatto. E come darle torto? Ha lavorato duro e messo al mondo cinque figli maschi… cosa non da poco. A parlare il terzogenito:

«Approfitto di questa finestra per dire una cosa che mi passa per la testa da tanto.

Io credo che per migliorare la comunicazione con le famiglie, sarebbe bellissimo se nascesse dentro ogni RSA uno sportello di accoglienza prettamente burocratico.

Insomma, che ci fosse una persona preposta solo ad aiutare i parenti a muoversi in quel mondo nebuloso e contorto fatto da carte e scartoffie.

Ci sono leggi complesse, sempre pronte a cambiare, a contraddirsi.

Mi sono trovato a chiacchierare con altri familiari che oltre a dover portare avanti il discorso di accudimento del proprio caro, che non è una passeggiata, si sono imbattuti in muraglie cinesi per capire come avere sgravi, come accedere a quella o a questa agevolazione.

Può sembrare una cosa da poco, ma non lo è. Toglie il sonno a gente che già lo ha leggero per altri motivi».

A questo discorso si collega prontamente Marcella, moglie di Guido, che ha una stanza al primo piano.

Marcella ha superato gli ottant’anni e se li porta benissimo. Sarà per il suo passato da atleta, sarà per quello sguardo vivo o per gli innumerevoli viaggi fatti in giro per il mondo con il marito. Non lo so. L’unica cosa certa è che ha le idee chiare su cosa le piacerebbe cambiare per migliorare il dialogo tra famiglia e struttura:

La comunicazione in RSA a 360 gradi

«Ha ragione Bruno, la parte burocratica ti atterrisce e io la vivo in prima persona. Sarebbe meraviglioso avere qualcuno che dai primi giorni ti prenda per mano per capire come muoverti e farti fare i passi giusti.

Voglio aggiungere una cosa, a mio avviso basilare.

Affinché la comunicazione tra i parenti e la RSA sia efficace, c’è bisogno che lo sia in primis tra il personale.

Insomma, sarebbe bello che OSS, infermieri e chi gravita intorno ai residenti si parlassero prima di dare qualsiasi informazione alla famiglia. Avere più versioni da più professionisti ti mette in uno stato confusionale che disorienta.

Ecco, penso che il primo grande passo da fare sia quello di migliorare i canali comunicativi interni per creare una rete esterna forte ed efficace.

Inoltre, da una chiacchierata con un caro amico, è uscita fuori una cosa semplice ma che farebbe di certo la differenza: creare una figura di riferimento che, nel famoso primo mese di ricovero, vagli a fondo le competenze, le aspettative e i desideri delle persone appena entrate.

Fatto questo, cercare di formare dei gruppi attivi che si parlino e interagiscano perché più o meno sullo stesso livello cognitivo.

La comunicazione, a mio avviso, deve essere vista a trecentosessanta gradi perché sia fruttuosa: il personale dovrebbe comunicare con il personale, le famiglie con la struttura, le famiglie con le famiglie e, cosa non da poco, i residenti con i residenti.

Un circolo virtuoso in cui parlarsi e capirsi a cuore aperto, con l’unico e grande intento di rendere la vita dei nostri cari degna di questo nome. Fino alla fine.»

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Scrittrice, narratrice sociale e promotrice culturale della Residenza Richelmy.

Grazie di cuore

 

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Con 1 euro puoi aiutarci a cambiare la narrazione stereotipata sulla vecchiaia e sul mondo delle RSA.

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