Il tema delle rette per le persone con Alzheimer ricoverate in RSA è al centro di un acceso dibattito giuridico e politico. Gli avvocati Silvia D’Angelo e Andrea Lopez (LDA Legal&Consulting) offrono di seguito un’analisi di sistema di più ampio respiro, riportando anche il punto di vista di Fulvio Sanvito, Direttore Generale della Cooperativa La Meridiana di Monza (MB).

Rette Alzheimer: il vero nodo della questione

La retta per i pazienti affetti da Alzheimer dovrebbe essere gratuita: è questo il principio affermato da recenti pronunce di merito e di legittimità, al centro del dibattito giuridico e politico.

Si stanno moltiplicando, infatti, le azioni legali da parte degli utenti volte ad ottenere dalle RSA il rimborso delle rette già versate.

Quelle che, inizialmente, venivano definite “cause Alzheimer” si sono ormai estese a una platea ben più ampia, comprendendo tutti coloro che, in base del proprio quadro clinico, necessitano di “prestazioni sociosanitarie ad elevata integrazione sanitaria”, prestazioni che, secondo i principi dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), dovrebbero essere totalmente coperte dal SSN.

Mentre le famiglie si concentrano sulla richiesta di rimborso delle rette e la politica cerca di contenere i costi, il vero nodo della questione non è il contenzioso in sé, quanto la mancata attuazione, da parte delle Regioni, dei LEA.

Il problema della compartecipazione regionale

La normativa prevede che i ricoveri in RSA di lungo-assistenza, volti al mantenimento del quadro funzionale, siano finanziati per il 50% dal SSN (quota sanitaria) e per il 50% dal cittadino (quota sociale).

Questo schema, però, rimane sulla carta, poiché le Regioni non applicano il principio della compartecipazione in modo proporzionale.

Invece di coprire la quota del 50% dei costi di degenza per ciascun paziente, diverse Regioni adottano un criterio basato sulla spesa storica, assegnando alle strutture un budget forfettario annuo in base al numero di posti letto accreditati e a contratto.

Questo meccanismo non tiene conto delle reali necessità assistenziali degli ospiti, oggi sempre più complesse a fronte dell’aspettativa di vita in continua crescita.

A ciò si aggiunge la mancata revisione delle quote di compartecipazione, ferme da oltre un decennio, nonostante il progressivo aumento dei costi di gestione delle strutture e della complessità clinica degli ospiti.

Il risultato è un sistema che non solo grava in modo sproporzionato sulle famiglie, ma mette a rischio anche la tenuta economica delle strutture, spesso costrette ad assorbire costi non coperti da tariffe adeguate.

Il caso Lombardia

In Lombardia, la situazione si complica ulteriormente per l’assenza di una tariffa specifica relativa alle “prestazioni sociosanitarie ad elevata integrazione sanitaria”.

Attualmente, per i ricoveri in RSA il sistema di compartecipazione pubblica garantisce in modo indifferenziato la copertura della sola quota sanitaria, senza distinguere tra ospiti con esigenze assistenziali ordinarie e pazienti con bisogni clinici complessi.

Nonostante le RSA possano erogare, in base all’inquadramento generale dei LEA, prestazioni ad elevata integrazione sanitaria, tipicamente riferite alla fase estensiva di breve durata, la programmazione regionale le ha di fatto indirizzate verso trattamenti di lungo-assistenza, comportando il trasferimento sull’ospite della componente assistenziale anche nelle situazioni caratterizzate da bisogni sanitari complessi.

Tuttavia, secondo i più recenti arresti della Corte di Cassazione, è la condizione clinica dell’utente – e non il tipo di struttura – a determinare la natura della prestazione e, quindi, la responsabilità di spesa.

Questa divergenza tra orientamento giurisprudenziale e funzionamento effettivo del sistema sociosanitario rischia di generare effetti sistemici rilevanti, che vanno ben oltre il singolo contenzioso, mettendo a rischio la stabilità delle strutture, chiamate a restituire la quota sociale agli utenti, senza una corrispondente copertura da parte delle Regioni.

Il punto di vista delle strutture

Fulvio Sanvito, Direttore Generale della cooperativa sociale La Meridiana di Monza, che ha realizzato e gestisce il Villaggio Alzheimer “Il Paese Ritrovato”,  sintetizza così la criticità principale:

«Il vulnus del sistema risiede nella difficoltà, sempre più marcata, per le famiglie di sostenere l’elevata quota dei costi a loro carico. Questa esasperazione si manifesta in modo ancora più drammatico nei servizi di lungo-degenza».

Sanvito mette però in guardia da soluzioni semplicistiche:

«Rendere gratuita la retta in RSA per tutti gli ospiti, in modo indistinto, non è realistico.

Occorre tenere conto del reale bisogno clinico e assistenziale della popolazione anziana accolta.

Le RSA si occupano prevalentemente di persone fragili affette da patologie croniche, che necessitano di interventi di lungo assistenza finalizzati al mantenimento delle autonomie residue.

Si tratta di interventi prevalentemente assistenziali, difficilmente compatibili con una presa in carico intensiva sul piano sanitario».

Il sistema appare dunque in una situazione di stallo.

«Manca un equilibrio – prosegue Sanvito – ed è urgente individuare un meccanismo che permetta alle famiglie di sostenere i costi della cronicità, senza che questi vengano ribaltati sulle strutture, che operano su mandato del Servizio Sanitario Nazionale».

La proposta è chiara:

«Va ripensata la ripartizione della spesa sanitaria – conclude – in un’ottica di riequilibrio che tenga insieme il diritto alla salute degli anziani e la sostenibilità, sia economica che qualitativa, dei servizi territoriali di lungo-degenza».

La necessità di una riforma strutturale

L’attuale modello di finanziamento delle RSA risulta evidentemente inadeguato e disallineato rispetto alle reali necessità dei pazienti.

Un intervento normativo è non solo auspicabile, ma ormai indispensabile: prima di tutto, occorre imporre alle Regioni l’applicazione effettiva del principio di compartecipazione nella misura del 50%, aggiornando le tariffe alla luce dell’effettivo fabbisogno assistenziale.

Senza una riforma organica, il rischio è duplice: un’esplosione del contenzioso e una crisi del sistema sociosanitario, con conseguente riduzione dell’offerta per i pazienti più fragili.

Le strutture, in assenza di certezze normative e finanziarie, potrebbero essere costrette a scelte dettate dalla sopravvivenza economica, con un inevitabile impatto negativo su qualità, equità e accessibilità delle cure.

Un primo tentativo di risoluzione dei contenziosi pendenti è stato l’emendamento presentato dall’On. Cantù (Lega), che proponeva una distinzione più netta tra spese sanitarie (a carico del SSN) e spese assistenziali (a carico degli utenti), modificando l’art. 30 della Legge 730/1983. Tuttavia, la proposta non ha superato il vaglio della Commissione Bilancio del Senato e, pur rappresentando un importante segnale politico, non avrebbe comunque risolto le ambiguità interpretative attuali sul perimetro della copertura pubblica.

L’intervento realmente risolutivo dovrebbe essere attuato sui LEA, ridefinendone i contenuti in modo univoco e inequivocabile: serve stabilire quando e a quali condizioni la presa in carico in RSA debba essere integralmente a carico del SSN, evitando margini interpretativi che possano generare, sulla base di valutazioni a posteriori, caso per caso, possibili divergenze tra l’orientamento giurisprudenziale e il funzionamento concreto del sistema sociosanitario.

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Studio legale specializzato nel diritto sanitario e sociosanitario, con un focus distintivo sulle Residenze Sanitarie Assistenziali (RSA) e sulla telemedicina.

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rivista CURA settembre23

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Il tema delle rette per le persone con Alzheimer ricoverate in RSA è al centro di un acceso dibattito giuridico e politico. Gli avvocati Silvia D’Angelo e Andrea Lopez (LDA Legal&Consulting) offrono di seguito un’analisi di sistema di più ampio respiro, riportando anche il punto di vista di Fulvio Sanvito, Direttore Generale della Cooperativa La Meridiana di Monza (MB).

Rette Alzheimer: il vero nodo della questione

La retta per i pazienti affetti da Alzheimer dovrebbe essere gratuita: è questo il principio affermato da recenti pronunce di merito e di legittimità, al centro del dibattito giuridico e politico.

Si stanno moltiplicando, infatti, le azioni legali da parte degli utenti volte ad ottenere dalle RSA il rimborso delle rette già versate.

Quelle che, inizialmente, venivano definite “cause Alzheimer” si sono ormai estese a una platea ben più ampia, comprendendo tutti coloro che, in base del proprio quadro clinico, necessitano di “prestazioni sociosanitarie ad elevata integrazione sanitaria”, prestazioni che, secondo i principi dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), dovrebbero essere totalmente coperte dal SSN.

Mentre le famiglie si concentrano sulla richiesta di rimborso delle rette e la politica cerca di contenere i costi, il vero nodo della questione non è il contenzioso in sé, quanto la mancata attuazione, da parte delle Regioni, dei LEA.

Il problema della compartecipazione regionale

La normativa prevede che i ricoveri in RSA di lungo-assistenza, volti al mantenimento del quadro funzionale, siano finanziati per il 50% dal SSN (quota sanitaria) e per il 50% dal cittadino (quota sociale).

Questo schema, però, rimane sulla carta, poiché le Regioni non applicano il principio della compartecipazione in modo proporzionale.

Invece di coprire la quota del 50% dei costi di degenza per ciascun paziente, diverse Regioni adottano un criterio basato sulla spesa storica, assegnando alle strutture un budget forfettario annuo in base al numero di posti letto accreditati e a contratto.

Questo meccanismo non tiene conto delle reali necessità assistenziali degli ospiti, oggi sempre più complesse a fronte dell’aspettativa di vita in continua crescita.

A ciò si aggiunge la mancata revisione delle quote di compartecipazione, ferme da oltre un decennio, nonostante il progressivo aumento dei costi di gestione delle strutture e della complessità clinica degli ospiti.

Il risultato è un sistema che non solo grava in modo sproporzionato sulle famiglie, ma mette a rischio anche la tenuta economica delle strutture, spesso costrette ad assorbire costi non coperti da tariffe adeguate.

Il caso Lombardia

In Lombardia, la situazione si complica ulteriormente per l’assenza di una tariffa specifica relativa alle “prestazioni sociosanitarie ad elevata integrazione sanitaria”.

Attualmente, per i ricoveri in RSA il sistema di compartecipazione pubblica garantisce in modo indifferenziato la copertura della sola quota sanitaria, senza distinguere tra ospiti con esigenze assistenziali ordinarie e pazienti con bisogni clinici complessi.

Nonostante le RSA possano erogare, in base all’inquadramento generale dei LEA, prestazioni ad elevata integrazione sanitaria, tipicamente riferite alla fase estensiva di breve durata, la programmazione regionale le ha di fatto indirizzate verso trattamenti di lungo-assistenza, comportando il trasferimento sull’ospite della componente assistenziale anche nelle situazioni caratterizzate da bisogni sanitari complessi.

Tuttavia, secondo i più recenti arresti della Corte di Cassazione, è la condizione clinica dell’utente – e non il tipo di struttura – a determinare la natura della prestazione e, quindi, la responsabilità di spesa.

Questa divergenza tra orientamento giurisprudenziale e funzionamento effettivo del sistema sociosanitario rischia di generare effetti sistemici rilevanti, che vanno ben oltre il singolo contenzioso, mettendo a rischio la stabilità delle strutture, chiamate a restituire la quota sociale agli utenti, senza una corrispondente copertura da parte delle Regioni.

Il punto di vista delle strutture

Fulvio Sanvito, Direttore Generale della cooperativa sociale La Meridiana di Monza, che ha realizzato e gestisce il Villaggio Alzheimer “Il Paese Ritrovato”,  sintetizza così la criticità principale:

«Il vulnus del sistema risiede nella difficoltà, sempre più marcata, per le famiglie di sostenere l’elevata quota dei costi a loro carico. Questa esasperazione si manifesta in modo ancora più drammatico nei servizi di lungo-degenza».

Sanvito mette però in guardia da soluzioni semplicistiche:

«Rendere gratuita la retta in RSA per tutti gli ospiti, in modo indistinto, non è realistico.

Occorre tenere conto del reale bisogno clinico e assistenziale della popolazione anziana accolta.

Le RSA si occupano prevalentemente di persone fragili affette da patologie croniche, che necessitano di interventi di lungo assistenza finalizzati al mantenimento delle autonomie residue.

Si tratta di interventi prevalentemente assistenziali, difficilmente compatibili con una presa in carico intensiva sul piano sanitario».

Il sistema appare dunque in una situazione di stallo.

«Manca un equilibrio – prosegue Sanvito – ed è urgente individuare un meccanismo che permetta alle famiglie di sostenere i costi della cronicità, senza che questi vengano ribaltati sulle strutture, che operano su mandato del Servizio Sanitario Nazionale».

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«Va ripensata la ripartizione della spesa sanitaria – conclude – in un’ottica di riequilibrio che tenga insieme il diritto alla salute degli anziani e la sostenibilità, sia economica che qualitativa, dei servizi territoriali di lungo-degenza».

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L’attuale modello di finanziamento delle RSA risulta evidentemente inadeguato e disallineato rispetto alle reali necessità dei pazienti.

Un intervento normativo è non solo auspicabile, ma ormai indispensabile: prima di tutto, occorre imporre alle Regioni l’applicazione effettiva del principio di compartecipazione nella misura del 50%, aggiornando le tariffe alla luce dell’effettivo fabbisogno assistenziale.

Senza una riforma organica, il rischio è duplice: un’esplosione del contenzioso e una crisi del sistema sociosanitario, con conseguente riduzione dell’offerta per i pazienti più fragili.

Le strutture, in assenza di certezze normative e finanziarie, potrebbero essere costrette a scelte dettate dalla sopravvivenza economica, con un inevitabile impatto negativo su qualità, equità e accessibilità delle cure.

Un primo tentativo di risoluzione dei contenziosi pendenti è stato l’emendamento presentato dall’On. Cantù (Lega), che proponeva una distinzione più netta tra spese sanitarie (a carico del SSN) e spese assistenziali (a carico degli utenti), modificando l’art. 30 della Legge 730/1983. Tuttavia, la proposta non ha superato il vaglio della Commissione Bilancio del Senato e, pur rappresentando un importante segnale politico, non avrebbe comunque risolto le ambiguità interpretative attuali sul perimetro della copertura pubblica.

L’intervento realmente risolutivo dovrebbe essere attuato sui LEA, ridefinendone i contenuti in modo univoco e inequivocabile: serve stabilire quando e a quali condizioni la presa in carico in RSA debba essere integralmente a carico del SSN, evitando margini interpretativi che possano generare, sulla base di valutazioni a posteriori, caso per caso, possibili divergenze tra l’orientamento giurisprudenziale e il funzionamento concreto del sistema sociosanitario.

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