Il futuro delle RSA è compromesso da una visione distorta che si è consolidata nel recente passato. Come ridare fiducia, ruolo e dignità a questi servizi? Ecco alcuni nodi problematici su cui riflettere

 
ll Covid ha esposto le RSA a pesanti critiche ed ha alimentato un sentire comune, cavalcato dai media, di strutture non adeguate a rispondere al bene delle persone.
 
In sintesi, la critica prevalente è stata: le RSA si interessano principalmente ai conti e non alle Persone. È bastato che le ASL, in questo strano tempo, offrissero diarie giornaliere più elevate per trovare enti aderenti e disposti a mercificare un servizio.
 
Il Covid in un primo tempo definito il “virus degli anziani”, ha fatto il resto, facendo emergere ogni fragilità del sistema sociosanitario, peraltro alquanto e da tempo poco sistemico.
 
Si aggiunga a ciò che i servizi sociosanitari sono divisi, poco integrati, concorrenti, con scarse risorse umane ed economiche commisurate a standard che, da oltre un decennio, non sono adeguati al cambiamento dei bisogni espressi da tante persone anziane.
 
La regionalizzazione dei servizi alla persona ha mostrato ulteriori diversità organizzative gestionali, impoverendo ulteriormente il già fosco quadro.
 
I dati offerti dai media durante l’evolversi della pandemia si sono concentrati sul numero dei morti nelle RSA, non facendo mai emergere gli altri dati legati alla “costretta sopravvivenza”, come la concorrenza contrattuale tra enti privati e pubblici e gli annessi costi gestionali, gli standard di personale non rispondenti al bisogno, le professionalità irreperibili di infermieri, medici e OSS, molto spesso “rubate” dal servizio sanitario pubblico.
 
Tutto ciò per giungere ad affermare: “chiudiamo le RSA, generiamo nuovi servizi più umani, più domiciliarità e servizi alternativi al ricovero permanente”, come se i servizi offerti per anni dalle RSA ad un certo punto non servissero più e andassero spazzati via.

 
In più sembrava che i servizi delle RSA fossero concepiti al fine di creare un vero e proprio business pensato per arricchirsi sulle spalle delle persone fragili
Sappiamo anche che la Chiesa, definita come “popolo di Dio”, si sia schierata interrogandosi e interrogando le istituzioni ad agire per cambiare. Il dibattito al riguardo è ampiamente aperto.
 
Le riflessioni in atto dovrebbero tuttavia prendere in esame non solo il “male” contestato, ma anche il bene espresso dalle RSA e da quanti si sono presi realmente in carico moltissime persone, promuovendo concrete azioni di cura, assistenza e riabilitazione. Tutto ciò accompagnando competentemente e amorevolmente le persone in un percorso di Vita e dando senso alla Vita stessa.
 
In questa complicata dinamica le RSA non sono apparse preparate a comunicare oggettivamente e, con dati alla mano, il tanto bene profuso. Ciò dovrebbe farci riflettere.


Come venirne fuori? Come immaginare il futuro delle RSA?


RSA presenti in una rete con piena dignità e riconoscimento comunitario: sarebbe questa la risposta auspicabile. Per far ciò le istituzioni devono animare una nuova progettualità del sistema dei servizi sociosanitari e assistenziali con dati chiari che evidenzino a tutti i portatori d’interesse ogni virtuoso agire dei diversi servizi generati in risposta ai bisogni di un territorio, persone non autosufficienti comprese. Una rete disegnata in ciascun ambito territoriale, un disegno comprensibile a tutti in cui domanda e risposta trovano senso.
 
Deve essere chiara anche la natura giuridica di ciascun servizio: pubblico, privato, ente profit o no profit, del terzo settore. Tutto con trasparenza e nessuna asimmetria informativa. Indispensabile evidenziare i dati di attività di ciascun servizio. Indicatori rigorosamente espressi con costanza operativa da ogni struttura, previo il mancato riconoscimento istituzionale per gli inadempienti e quindi l’uscita dal sistema.
 
Il riconoscimento comunitario anima e genera terreno fertile anche per lo sviluppo di progetti di fundraising e di risorse aggiuntive e indispensabili. Una comunità è pronta ad investire se crede in ciò che fa.
 
E dunque: politica e servizi, solidarietà inter-istituzionale, concorrenzialità equa e costruttiva: sono questi alcuni pilastri su cui concentrarsi. Perché per ricevere dignità bisogna dare dignità.
 


Le politiche socio sanitarie devono rigenerarsi e co-progettare con le Comunità i servizi necessari

Una Comunità deve essere debitamente e costantemente formata, deve essere capace di interrogarsi e di offrire risposte adeguate.
 
Sappiamo che le iniquità tra servizi complementari generano isolamenti, disarmonie del sistema in cui qualcuno prevale e qualcun altro soccombe. Le iniquità generano nelle organizzazioni sociosanitarie strategie di sopravvivenza o di business che inquinano il sistema stesso e l’immagine pubblica.
 
Una palese iniquità, ad esempio, è legata ai costi gestionali con evidenti risvolti economici tra enti pubblici e privati e ciò al di là delle efficienze del servizio reso. A ciò si aggiungono i diversi contratti di lavoro applicati e la presenza delle cooperative e del privato commerciale, quest’ultimo sempre più presente e preparato nelle logiche aziendali.


 La revisione dei parametri gestionali di riferimento

Le normative di autorizzazione all’esercizio e di accreditamento, pur nelle differenze regionali, non hanno saputo evolversi coni cambiamenti sociali e sanitari. I nuovi non autosufficienti che accedono ai servizi offerti dalle RSA sono diversi da quelli di soli 10 anni fa. Senza un adeguamento di detti parametri gli enti si trovano costretti ad attrezzarsi per cercare strategie di “sopravvivenza” gestendo le risorse a disposizione in una dinamica competitiva che, alla lunga, diventa distruttiva, così come si è reso evidente durante il Covid.
 
Sul tema del controllo di gestione è la tecnologia che dovrebbe essere al suo servizio e per la valutazione delle performance in salute e benessere. In una logica armonica del sistema sociosanitario, come detto sopra, di fondamentale importanza sono i dati riferiti agli esiti, agli indicatori di bene, di salute, resi oggettivamente evidenti.

Sull’importanza di avere dati riferiti ai esiti (outcomes) e non solo ai processi si legga l’articolo pubblicato su Rivista CURA: L’organizzazione del lavoro in RSA: dare centralità alla qualità della vita degli anziani (per davvero)


 
Pertanto, una volta attuata l’analisi dei bisogni, valuta l’offerta dei servizi di risposta, resa operativa la regolamentazione dei servizi è evidente che il sistema si sosterrà solo attraverso un attento controllo di gestione (sia riguardo la sostenibilità di sistema, sia riguardo la performance di qualità del servizio reso).
 
La tecnologia e i servizi informatici, come accennato, possono dare un forte contributo. Diventa quindi di fondamentale importanza misurare il lavoro per progetti e processi e rendersi capaci di valutare la qualità oggettiva dei servizi. Si devono usare gli stessi occhiali di lettura per comprendere ogni evoluzione e per attuare ogni azione correttiva.  È necessario sempre più informatizzare il sistema per comparare i dati di benessere delle organizzazioni e di salute per le persone assistite.
 
L’analisi dei dati fa comprendere i fenomeni e permette di progettare guardando al futuro, senza cadere in gestioni di emergenza in cui il sistema rischia di soccombere. Questo strano tempo ci ha fatto ben comprendere i nostri errori al riguardo.
 
Questa dinamica operativa permette agli enti di essere resilienti e capaci quindi di essere sempre pronti e rispondenti ai cambiamenti.

La valutazione dei servizi da parte di tutti gli stakeholder

Nella valutazione dei servizi non dovrebbe sussistere nessuna asimmetria informativa e si dovrebbe privilegiare una gestione olonico-virtuale che consenta al sistema di proteggersi.
 
Ogni ente diventa difensore dell’altro al fine di sostenere anche se stesso (“il mio bene è il tuo bene”). I dati di confronto producono un miglioramento continuo della qualità del servizio per generare una sostenibile competitività, virtuosa. Agendo così è il sistema stesso che esclude chi esce dai servizi di qualità minimali stabiliti, normati dal sistema stesso. Chi non compete seguendo le regole del gioco stabilite tra tutti gli stakeholder fa male al sistema e alla sopravvivenza di tutti. Il sistema Medicare americano può insegnarci molto al riguardo.
 


I Piani di zona e progetti di comunità

I piani di zona sono lo strumento operativo e normativo fondamentale per generare il cambiamento espresso. Si aggiunge quindi al nostro ragionamento il ruolo attivo e non passivo di una Comunità locale (cittadini) che deve essere formata, educata a intervenire come soggetto determinante per sostenere il cambiamento.
 


Una Comunità interventista, partecipante e che genera risposte ai bisogni che la stessa Comunità manifesta. L’RSA quindi trova senso, ragion d’essere, in quanto espressione di una risposta comunitaria, trova così dignità, ruolo e onore.

Si deve tuttavia considerare però che una Comunità vigila sui servizi leggendo i dati, ovvero gli indicatori pre-codificati già con la generazione progettuale.
 
Le RSA dovrebbero essere protagoniste con pari dignità nell’evolversi del bene comunitario. La domiciliarità infatti, come diritto per i cittadini, non delegittima le RSA ma le rende più forti, conferma la loro utilità per l’ambito di competenza che le riguarda. La polivalenza delle risposte commisurate al bisogno delle persone offre un futuro a tutti.
 


La cabina di regia – l’Hub. La Casa della salute.

L’Hub è la mano operativa di una Comunità, la struttura organizzativa cui una Comunità fa riferimento per ottenere i risultati progettuali. È l’espressione, anche fisica, non solo concettuale, di un percorso comunitario, normativo, procedurale svolto.
 
La Casa della Salute dovrebbe essere un luogo di realizzazione progettuale, di programmazione e rendicontazione, un luogo di informazione e di formazione professionale e comunitaria.
 
La politica deve animare tutto il processo. Si tratta della politica di molti, non di quella relativa agli interessi di parte, ma della Comunità intera. La politica che cerca l’incontro con chi ha idee diverse per negoziare un processo di reale cambiamento. Non serve a nulla una politica contro qualcuno, ne serve una capace di andare verso l’incontro, verso la valorizzazione dell’altro pensiero. Così si costruisce il bene comune e di Comunità.
 

About the Author: Giovanni Sallemi

Direttore Ipab - Casa Tomitano Boccassin di Motta di Livenza (Tv)

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