Di Mario Iesurum

La gestione del rischio clinico rientra nel “Risk Management”, uno strumento organizzativo derivato dall’industria e trasferito in campo sociosanitario per identificare, valutare e gestire gli eventi che possono impedire all’organizzazione di raggiungere i propri obiettivi. Gli obiettivi principali di una organizzazione socio sanitaria, quale è a tutti gli effetti una residenza per anziani, sono: la tutela della salute e la qualità della vita dell’anziano preso in carico, l’aspetto economico e organizzativo, l’immagine/la reputazione. Le strutture residenziali per anziani arrivano per ultime al tema della gestione del rischio e nella maggior parte dei casi non dispongono di competenze o di risorse specialistiche, inoltre, durante la pandemia la gestione del rischio è stata subita. Malgrado ciò, è aumentata la consapevolezza dell’importanza di un approccio alla gestione dei rischi.

Tipicamente si utilizza il termine Rischio Clinico per i rischi a cui sono esposti i pazienti delle strutture sanitarie, tuttavia nelle strutture residenziali per anziani è forse più opportuno sostituire la parola “clinico” con “socio sanitario assistenziale”, in quanto il termine clinico richiama l’ospedale dove si fa industria di sanità finalizzata alle acuzie, mentre il lavoro nella struttura per anziani è caratterizzato da persone anziane con patologie croniche e aspettative di qualità di vita elevate con una permanenza in struttura per lunghi periodi di tempo.

Come nasce la gestione del rischio clinico

La gestione del rischio clinico è nata inizialmente con lo scopo di ridurre il contenzioso medico legale assicurativo (ndr alla fine il denaro è il driver principale) ma nel tempo ha spostato l’obiettivo sulla ricerca della riduzione dei danni arrecati ai pazienti ed è quindi diventato a tutti gli effetti uno strumento del governo clinico che racchiude in sé i concetti dell’assistenza imperniata sulla persona, l’impegno al lavoro in squadra, l’adozione della buona pratica e dei dati insieme alla diffusione della cultura della sicurezza.

Una prima considerazione è relativa al fatto che la struttura residenziale per anziani è un sistema organizzativo complesso, in cui interagiscono molteplici fattori eterogenei e dinamici tra cui si citano: la pluralità delle prestazioni sociosanitarie, delle competenze specialistiche, dei ruoli professionali tecnico sanitari a cui si sommano quelli economico amministrativi insieme alla complessità dei processi non lineari e dei risultati da conseguire. Tutti gli elementi del modello organizzativo devono integrarsi e coordinarsi per rispondere ai bisogni assistenziali per anziani residenti ed assicurare la miglior cura possibile in equilibrio con la qualità di vita. Come in altri sistemi complessi, quali per esempio il settore dell’aviazione, del nucleare o della difesa, anche in ambito socio sanitario possono verificarsi incidenti ed errori.

Le 8 componenti della Qualità

Robert Pirsig (1) sosteneva che «Definire la qualità in termini oggettivi, non è affatto facile, mentre facile è rilevarne la mancanza: quando manca la qualità, infatti, ce ne accorgiamo subito!».

David Garvin (2) nel 1987 individuò 8 componenti della qualità:

  • la prestazione
  • l’affidabilità
  • la durata
  • la manutenibilità
  • il design e la presentazione
  • la funzionalità
  • la qualità percepita
  • la conformità alle norme

Chiaramente questa definizione è più coerente con un bene che con un servizio. La qualità può essere intesa come una caratteristica (la conformità alle specifiche tecniche) o come valore (per esempio l’adeguatezza all’uso) tuttavia quest’ultimo è un concetto relativo e come tale, può essere definita in molteplici modi, proprio perché si compone di una parte fortemente oggettiva (gli aspetti tecnici che devono soddisfare le specifiche del cliente) ma anche di una parte assolutamente soggettiva (gli aspetti che devono soddisfare le aspettative e i desideri del fruitore del servizio).

Il rischio clinico nel settore sociosanitario

Nel settore sociosanitario, rispetto ad altri contesti, prevale il fattore umano che è al contempo risorsa e criticità. Infatti, se da una parte l’adattabilità dei comportamenti, la dinamicità e la complessità delle relazioni interpersonali, sono prerogative fondamentali delle risorse umane all’interno dell’organizzazione, dall’altra esse costituiscono allo stesso tempo fattore critico perché le dinamiche di lavoro sono complesse, la performance individuale è variabile e soprattutto i risultati dei processi non sempre sono prevedibili e riproducibili.

Spesso, quando succedono degli eventi negativi, si dà la colpa alla persona e alla fatalità e, sebbene personalmente escluderei a priori il concetto di caso o di fortuna, è indubbio che esiste una catena delle fatalità, ovvero una sequenza di coincidenze che portano alla generazione di un evento a partire da una situazione di pericolo, che può trasformarsi con una probabilità minore o maggiore in un danno per l’anziano residente. Non sempre, nelle situazioni di pericolo, l’evento si trasforma in un danno e ciò è imputabile a diversi motivi, tra i quali la capacità di recupero delle situazioni critiche delle persone che lavorano in struttura o in altri casi alla manifestazione a “vuoto” del pericolo (mancato evento).

Un contributo, non sempre consapevole, alla non trasformazione del pericolo in danno è anche dato dall’adozione di misure di tutela dei rischi.

La possibilità che si verifichi un evento avverso, dipende dalla presenza nel sistema di una insufficienza latente, ovvero carenze o errori di progettazione, di organizzazione e di controllo che restano silenti nel sistema finché un fattore scatenante non li renda manifesti in tutta la loro potenzialità, causando danni più o meno gravi.

Molto spesso, quando si rielaborano a posteriori gli eventi, si tende a fermarsi nelle considerazioni a ciò che è per lo più individuabile come causa diretta e immediata di un evento avverso, imputabile ad una insufficienza attiva, ovvero un errore umano, una procedura non rispettata, una distrazione o un incidente di percorso, che ha direttamente consentito il verificarsi dell’evento stesso. L’individuazione dell’errore attivo, non esonera l’organizzazione dalla ricerca degli errori latenti, perché sono le insufficienze del sistema che devono essere rimosse, se si vuole raggiungere un efficace controllo del rischio, ovvero ridurre la possibilità che si verifichi un errore attraverso un lavoro di prevenzione da una parte e contenimento delle conseguenze dannose dall’altra.

La RSA che vorrei, F. Iurlaro, Editrice Dapero

La RSA che vorrei

Verso i Centri Servizi alla persona: la proposta dell’associazione RINATA

di Franco Iurlaro

“Gli autori, numerosi, che hanno collaborato alla realizzazione di questo libro, hanno fatto propria una prospettiva propositiva per uno sguardo verso il futuro, per quello che le nostre strutture possono offrire alle comunità locali negli anni che ci attendono”.

L’errore come confluenza di più criticità

Se fino a qualche anno fa, l’errore era considerato colpa del singolo, oggi sappiamo che è invece l’evento conclusivo di una complessa catena di errori ambientali, organizzativi e umani, nella quale l’operatore che materialmente lo ha commesso, è solo l’ultimo anello e non necessariamente il più rilevante e che l’evento dannoso si verifica quando vengono a coincidere più criticità.

L’errore nell’erogazione delle prestazioni sociosanitarie assistenziali si realizza quando vengono a coincidere più criticità, (J. T. Reason, il padre della nota teoria del formaggio svizzero rappresenta le difese del sistema come fette di formaggio, i difetti del sistema come buchi in tali fette) e l’assenza di meccanismi di controllo può determinare, insieme ad altre carenze, l’origine dell’evento avverso.

Prevenire il rischio clinico per la persona anziana

A partire da quanto esposto sull’errore, le politiche di gestione del rischio volte sia alla prevenzione degli errori che al contenimento dei loro possibili effetti dannosi e quindi alla garanzia della sicurezza dell’anziano residente nella struttura residenziale per anziani, devono essere affrontate con un metodo sistemico. Rispetto alla situazione media delle strutture, una buona gestione del rischio è legata principalmente a tre fattori: il cambiamento dei paradigmi organizzativi e della concezione di errore, l’adozione di strumenti per l’analisi dei rischi, la creazione di soluzioni organizzative difensive. Il che implica una progettazione di specifici modelli di controllo del rischio con l’obiettivo di prevenire il verificarsi di un errore e, qualora questo accada, contenerne le conseguenze.

La gestione del rischio clinico si può definire come il processo con cui si individua e si stima il rischio a cui un’organizzazione, un processo, un prodotto o servizio è soggetto e per il quale si sviluppano strategie e procedure operative per governarlo. In ambito sociosanitario assistenziale, dove la persona è al centro, possiamo definire gestione del rischio socio sanitario assistenziale come l’attività finalizzata alla riduzione del rischio per la persona anziana presa in carico attraverso l’identificazione e la valutazione dei rischi e la successiva eliminazione o riduzione dei rischi ad un livello accettabile.

Pertanto, si può immaginare un processo ricorsivo (in quanto il contesto è mutevole) di comprensione, valutazione e trattamento dei rischi attuali e potenziali per la persona anziana assistita residente. Ma per gestire i rischi, dobbiamo partire dalla considerazione che è l’incertezza a governare tutte le nostre attività, ovvero qualunque processo o attività che possiamo immaginare è condizionato dalla presenza di una serie di incertezze ed anche con una buona conoscenza della situazione attuale non siamo in grado di dire cosa accadrà in un istante arbitrario del futuro (a maggior ragione, come spesso accade, se non conosciamo in modo preciso e completo la situazione attuale, la condizione di incertezza aumenta).

Incertezza del futuro è la causa scatenante del rischio

L’incertezza, e quindi il concetto che riassume la nostra incapacità di predire il futuro, è la causa scatenante del rischio. In altre parole, il rischio rappresenta tutto ciò che la presenza dell’incertezza può causare nel bene (opportunità) e nel male (danno). Se l’incertezza è il fatto che non conosciamo e/o non sappiamo prevedere l’andamento di un processo e se il rischio rappresenta l’insieme dei modi in cui tale incertezza può impattare sull’esito, allora gestire il rischio vuol dire comprendere gli elementi che compongono l’incertezza e la loro natura, ed agire in modo da evitare che essi impattino in modo imprevedibile sul processo e sulla persona.

Pertanto, l’approccio al rischio si può dividere in un approccio proattivo e in un approccio reattivo, tenendo conto che uno non esclude l’altro.

L’approccio reattivo

L’approccio reattivo è quello focalizzato sull’evento già accaduto, si vanno ad individuare le cause profonde che hanno permesso il suo manifestarsi, e si effettua una analisi a posteriori degli errori e degli eventi accaduti a cui segue la definizione di un piano di miglioramento.

L’approccio proattivo

L’approccio proattivo è centrato sull’individuazione e sull’analisi a priori delle criticità di sistema prima che si manifestino gli eventi e presuppone uno studio del processo sistemico di identificazione delle attività, delle sue variabilità e delle sue criticità con la definizione di misure adeguate e sostenibili di tutela del rischio.

Esiste una norma tecnica la ISO 31000 che definisce una metodologia organizzativa proattiva e reattiva per la gestione del rischio che si può riassumere nello schema seguente.

Dal dialogo interprofessionale ai fattori della qualità in RSA

I fattori della qualità della RSA vengono individuati anche grazie al confronto e al dialogo tra dirigenti, amministratori ed operatori delle strutture residenziali, anziani residenti e loro familiari, rappresentanti istituzionali e politici.

È importante coinvolgere contemporaneamente – nell’applicazione degli standard di qualità della RSA – le parti interessate principali ovvero gli anziani residenti nelle strutture, coinvolti direttamente nella valutazione della loro qualità di vita e nell’individuazione dei miglioramenti, così come i loro cari, i lavoratori e tutte le persone a diverso titolo impegnate nella realizzazione dei servizi, chiamate a contribuire alla valutazione di quali effetti di benessere produce sugli anziani residenti la loro attività, ma anche di quali riflessi ciò comporta in termini di benessere organizzativo e lavorativo.

I soggetti istituzionali (Regioni o ASL) sono preposti all’autorizzazione, all’accreditamento e alla vigilanza e controllo sui servizi erogati, rispetto ai quali gli enti aderenti al modello possono esibire documentazione comparativa rispetto agli esiti della propria attività e delle proprie azioni di miglioramento, le associazioni di categoria (degli enti o dei professionisti operanti all’interno degli stessi), poiché forniscono dati di comparazione di sistema, aggregati su base territoriale omogenea o su base nazionale, agevolando la riflessione e la valutazione dell’efficacia dei sistemi di finanziamento e di regolazione e dei loro effetti nel tempo ed innescando un miglioramento della collaborazione orizzontale e della coesione associativa tra gli enti partecipanti.

La sempre maggiore richiesta strumenti innovativi e il mutare del contesto delle strutture residenziali per anziani, caratterizzate da ingressi con forme di demenza più o meno manifeste o certificate, ha fatto sì s’avviasse la costruzione di modelli che siano in grado di misurare la qualità della vita delle persone affette da demenza residenti nelle RSA.

Un primo problema, lo si riscontra già nel definire i rischi a cui la persona anziana è esposta nelle strutture residenziali per anziani e spesso per meglio descriverlo si fa riferimento agli eventi potenziali scatenanti, al contesto di accadimento, alle conseguenze oppure ad una combinazione di questi.

Premesso che eliminare un rischio è difficilissimo, il trattamento del rischio può implicare di evitare il rischio decidendo di non iniziare o non continuare l’attività che dà origine adesso. In contrapposizione si può anche pensare di assumere o aumentare l’esposizione al rischio al fine di cogliere l’opportunità. Usualmente si è portati a cercare di rimuovere la fonte del rischio, modificare la possibilità di accadimento, modificare le conseguenze. Fino a situazioni in cui è necessario condividere il rischio con altra parte (contratti e finanziamenti del rischio gestiti dalle assicurazioni) oppure ritenere semplicemente il rischio come una decisione informata con la parte interessata. Una cosa importante, da non dimenticare, è che il trattamento del rischio può a sua volta generare nuovi rischi o modificare altri rischi esistenti.

Il rischio residuo

Bisogna essere consapevoli che per quanto siamo bravi nella gestione dei rischi, esisterà sempre un rischio residuo a cui l’organizzazione è esposta. Il rischio residuo, al seguito della gestione e del trattamento dei rischi esistenti, può comprendere, tra gli altri, i rischi non identificati o sottovalutati e le variazioni delle variabili di contesto che modificano l’esposizione al rischio dell’organizzazione. Insomma, per quante contromisure si adottino, non è ragionevole pensare di annullare completamente un rischio attraverso la sua mitigazione, per cui ci sarà in ogni caso un rischio residuo non nullo. L’unico modo di azzerare un rischio è quello di rinunciare allo svolgimento delle attività che danno origine a quel rischio oppure trasferire completamente, se si riesce, il rischio a un altro soggetto, tuttavia, nella maggior parte dei casi, ciò è in contraddizione con gli obbiettivi dell’organizzazione. Nel processo di analisi dei rischi non si deve trascurare il contesto, che è quell’insieme delle situazioni e delle circostanze interne ed esterne all’organizzazione, nelle quali l’organizzazione cerca di conseguire i propri fini, la sua comprensione è fondamentale per capire quali rischi possono avere origine e quali parti interessate abbiano una qualche esigenza rispetto alla gestione dei rischi o che sono influenzate da questi. Lo stesso rischio in contesti diversi ha valutazioni diverse. La comprensione del contesto, quindi è fondamentale nella caratterizzazione dei rischi ed un contesto non correttamente compreso può portare a una sottovalutazione o a una sopravvalutazione del rischio.

rischio clinico nel settore sociosanitario

L’importanza della valutazione del rischio

La valutazione del rischio ha la finalità di comprendere l’effettiva entità dei rischi a cui l’organizzazione è soggetta e costruire un ordine di priorità dei rischi stessi, fino a considerarli rischi accettabili.

Se facciamo una ricerca bibliografica, ma anche se ci riferiamo alla sola linea guida ISO 30010, vi sono numerose metodologie di valutazione dei rischi che sono state messe a punto in relazione alla complessità o alle caratteristiche del processo preso in esame.

Tanto per citarne alcuni, quello più diffuso, in quanto utilizzato nell’ambito della salute e sicurezza sul luogo di lavoro, è la metodologia probabilità per danno, ma altre metodologie sono per esempio FMEA, HACCP, brainstorming qualificato, HAZOP Hazard and Operability analysis, le check list.

Queste ultime sono una metodologia già molto utilizzata e ben documentata nel settore sociosanitario assistenziale per l’analisi del rischio a cui è esposto il singolo anziano sia in una logica preventiva che reattiva. Solo per fare un esempio, si possono citare scale di valutazione come la Tinetti, la Conley e la Morse che forniscono una prima valutazione del rischio cadute, ma l’elenco sarebbe ben più numeroso per i diversi rischi a cui è esposta una persona istituzionalizzata.

Gli eventi avversi in una struttura residenziale per anziani accadono ed in taluni casi si trasformano in incidenti, l’importante è essere in grado di intercettare questi eventi al fine di prevenire il loro accadimento anche in un momento storico successivo. Nel mondo socio sanitario assistenziale questa attività prende il nome di incidenti reporting.

Esso costituisce la base dell’approccio reattivo e prevede che ogni evento avverso, inclusi quelli senza conseguenze, ovvero tutto ciò che è andato storto all’interno dell’organizzazione, vada preso in carico per una analisi della causa profonda e l’adozione delle misure preventive. L’incident reporting analizza sia l’evento singolo, ma anche la sua ripetitività nel contesto.

Il Ministero della Salute definisce un sottoinsieme di eventi con il termine sentinella, quindi di particolare importanza e degni di attenzione, quegli eventi avversi di particolare gravità che possono comportare morte o grave danno al paziente e che determinano una perdita di fiducia dei cittadini nei confronti del Servizio Sanitario.