Far crescere le organizzazioni sociosanitarie in questo frangente storico di pandemia è possibile. Come? Stimolando i leader a investire sulla risorsa più importante: le persone

Ora più che mai è tempo per le direzioni delle strutture sociosanitarie di sviluppare nuove competenze di leadership che siano primariamente orientate all’empowerment delle persone: uniche vere risorse di un’organizzazione. Questo è il punto di partenza per rispondere allo stato critico in cui riversano molte strutture per anziani oggi.

La fotografia: come stanno oggi gli operatori sociosanitari?

Dopo circa un anno dallo scoppio della pandemia, il personale delle RSA sta finalmente vedendo una luce attraverso la campagna vaccinazioni appena cominciata. Ma la grossa crisi, la più grande con cui le strutture si siano dovute confrontare, ha gettato conseguenze importanti sullo stato psicologico degli operatori e sul loro benessere emotivo.

Uno degli effetti più gravi della fatica, della costante paura del contagio (mai superata) e dell’assenza di procedure chiare da applicare in caso di focolaio, è proprio il senso di impotenza percepito dal personale di cura.

Si tratta di uno stato di deprivazione dell’energia vitaleche si riscontra tanto a livello singolo quanto a livello collettivo e che rende difficile affrontare un presente ancora complesso per le organizzazioni e un futuro nebuloso.

Infatti, sebbene il vaccino sia entrato nelle RSA, non è cambiato il modo di vivere la quotidianità, ancora fortemente connotata da isolamento sociale, dal rispetto delle misure di sicurezza, dai problemi relativi ai nuovi ingressi.

Ecco che, allora, diventa fondamentale e di massima urgenza affrontare questo stato di impotenza e permettere ai singoli professionisti e alle organizzazioni di far rifiorire le proprie possibilità, imparando a mantenere un equilibrio emotivo fra la speranza – che abbiamo visto emergere nelle prime fasi della pandemia – e la disperazione, che arriva con il prolungarsi della difficoltà.

Far crescere le organizzazioni sociosanitarie: I 4 pilastri del Positive Psychological Capital

Nei vari modelli gestionali fino a questo momento delineati dagli accademici, si è posto l’accento su vari elementi: prima sul capitale economico, poi sul capitale umano, successivamente sul capitale sociale. Solo di recente è statorivalutato il costrutto ideato da Luthan, il Positive Psychological Capital(PSyCap).

Quest’ultimo si basa sul principio secondo cui lo stato psicologico dell’individuo è rilevante per lo sviluppo di sé e delle proprie performance. Il che vuol dire che ciò che determina la buona riuscita delle azioni sul lavoro, e dunque il perseguimento dei risultati oggettivi e condivisi, è proprio l’approccio psicologico della persona.

Tradotto, questo concetto ci dice che è il modo in cui siamo fatti come persone a renderci vincenti sul lavoro: curiamo i nostri anziani non solo con ciò che sappiamo, ma con chi noi siamo. In questo senso è responsabilità della direzione sostenere i propri professionisti a prendersi cura di sé, e potenziarli, incoraggiandoli in un percorso di consapevolezza e di miglioramento personale.

In un momento di crisi e di sentimento di impotenza dilagante, riscrivere in questo modo la leadership diventa non solo la carta vincente per garantire felicità e crescita dell’organizzazione, ma l’unica via di uscita per far fronte all’emergenza in corso. Ma in che modo si può creare una organizzazione che allena queste competenze umane?

Se si insegnasse la bellezza alla gente, la si fornirebbe di un’arma contro la rassegnazione, la paura e l’omertà. È per questo che bisognerebbe educare la gente alla bellezza: perché in uomini e donne non si insinui più l’abitudine e la rassegnazione ma rimangano sempre vivi la curiosità e lo stupore.” (Peppino Impastato)

Parole come rassegnazione, paura e omertà, al di là della differenza di contesto in cui si trovava Impastato, descrivono perfettamente anche lo stato attuale di alcune nostre residenze per anziani che esercitano meccanismi di trascuratezza verso gli anziani e il personale di cura, che li allontanano dalla felicità, dal rispetto e dalla crescita.

Educare alla bellezza vuol dire stimolare l’individuo allo stupore e alla curiosità, che sono i veri antidoti alla routine, alle abitudini lavorative che lasciano il senso di prigionia e di insoddisfazione. Vuol dire trasmettere il principio che il valore di ognuno è determinante per l’economia generale.

Una strada possibile, allora, per creare un’organizzazione capace di allenare queste competenze umane è seguire i 4 pilastri del modello PsyCap: speranza, efficacia, resilienza e ottimismo.

Speranza: la visione del leader

La speranza è il primo dei 4 pilastri per far fiorire le organizzazioni. Con questa parola si intende proprio la capacità visionaria del leader. È importante che il leader conservi sempre quella quota di strabismo che gli consenta di avere costantemente un occhio rivolto al presente e uno rivolto al futuro.

Questo perché è importante per un leader non perdere aderenza con la realtà, ma avere al contempo l’idea concreta della direzione da prendere. Senza la visione organizzativa non è possibile disegnare un orizzonte e i percorsi per raggiungerlo.

Un leader ha il dovere di porsi la domanda “cosa voglio essere fra un anno? Che aspetto voglio che prenda la mia organizzazione nel tempo?”. La speranza sostiene questa visione perché attiva i percorsi per raggiungere la meta e stimola a trovare soluzioni intermedie. La speranza si fonda essenzialmente sull’arte della pianificazione e su un altro costrutto psicologico, il Locus of Control.

Innanzitutto, senza una descrizione esaustiva dei problemi della propria organizzazione, senza una definizione chiara, scritta e condivisa degli obiettivi è difficile realizzare risultati concreti. Altro aspetto importante per una buona pianificazione è il timing, ovvero la calendarizzazione delle azioni nel tempo. Ancora riguardo alla pianificazione, è importante mantenere costantemente il focus sull’obiettivo ma è utile, al contempo, porre l’attenzione anche sui processi intermedi. Bisogna cioè imparare a misurare e monitorare i procedimenti messi in atto per giungere al risultato.

In questo senso torna utile conoscere cosa si intenda per Locus of control. Questo concetto si riferisce alla «valutazione soggettiva dei fattori cui si attribuisce la causa di eventi, fatti ed esiti». È, in poche parole, il grado di controllo che ogni individuo ha sulla propria vita.

Il locus of control interno è tipico di chi è consapevole delle proprie azioni, dei propri meriti e demeriti e di chi conosce le conseguenze delle proprie decisioni. Chi invece presenta un locus of control esterno non ha dimensione dei propri risultati, tende a vedere i propri successi come frutto di azioni esterne e fatica a sentirsi responsabile in prima persona dei propri sbagli.

Conoscere questo costrutto è determinante per un leader che vuole motivare il proprio personale e che vuole far fiorire le soft skills nelle persone accanto a sé. Per il personale diventa poi uno strumento necessario per l’autoanalisi, per sviluppare la capacità di motivarsi in modo autonomo e per assumersi con più coscienza la responsabilità del proprio operato.

Autoefficacia: le tue azioni fanno la differenza

Autoefficacia è un termine coniato da Bandura come concetto applicato alle organizzazioni. Si definisce come la convinzione dell’individuo sulla sua capacità di produrre effetti. È il sapere che le azioni messe in campo fanno la differenza.

Si tratta quindi dell’esatto contrario dello stato di impotenza. Spesso nelle strutture si sentono frasi come “qui le cose non si possono fare”, che sono la misura della malattia di impotenza delle organizzazioni.

Autoefficacia è invece la sensazione di prendere decisioni che si sentono come decisive per l’orizzonte che si vuole raggiungere. La convinzione di produrre un effetto desiderato è un incentivo che il leader deve valorizzare. Più riuscirà a trasmettere questo sentimento alle persone, maggiore sarà la probabilità di efficacia globale.

Spesso il problema delle organizzazioni è di immaginare troppi cambiamenti. Gli esperti ci dicono che ogni organizzazione ha la capacità di produrre un cambiamento ogni tre mesi. Porsi troppi obiettivi vuol dire rendere meno possibile la riuscita e più probabile l’aumento del senso di impotenza.

Resilienza: «dare valore alle cadute»

Questo termine indica la capacità di riprendersi dalle avversità e di fortificarsi superando il negativo. In materia di organizzazione vuol dire rigenerare il tessuto organizzativo dopo un momento critico per farlo diventare più forte di prima.

È importante sottolineare un aspetto: la resilienza non è la capacità di evitare errori o di schivare colpi, ma è l’accettazione dello stato critico come parte del processo di cambiamento. Ogni volta che si verifica un errore, è importante per il leader fermarsi e capire il perché e come l’organizzazione non ha affrontato quella situazione nel modo adeguato.

È più importante individuare la responsabilità organizzativa piuttosto che quella del singolo, perché se non si coglie il vuoto organizzativo che ha portato il soggetto a sbagliare, diventa molto difficile attuare un miglioramento che si mantenga nel tempo.

La prima idea concreta per implementare la resilienza è dunque affrontare la realtà. Spesso, in momenti emergenziali, è più importante portare le persone ad agire, piuttosto che stimolarle ad un pensiero positivo. Saper affrontare la realtà anziché pensare positivamente vuol dire eliminare ogni residuo di passività nella ricerca della soluzione, recuperando la sensazione di avere la situazione sotto controllo.

Altro elemento che accompagna la resilienza è la capacità di improvvisare. Affrontare un problema con qualunque mezzo a disposizione è una capacità importante da sviluppare perché non sempre si può contare sulle risorse ideali. Improvvisare non è facile, serve allenamento, responsabilità e una buona dose di pensiero laterale, elemento creativo importantissimo per il leader, per dare il buon esempio e per formare il suo team.

Ottimismo: lo sguardo sul futuro

È stato definito come l’attribuzione positiva al successo non solo nel presente ma anche nel futuro. L’ottimismo è la cifra di chi vive nel divenire, di chi è consapevole che troverà, in un modo o nell’altro, una soluzione al problema che si verifica nel presente.

È colui che ha esercitato quello strabismo di cui si parlava sopra, che permette la creazione e l’attivazione di percorsi alternativi, nuovi. Un leader sociosanitario non ottimista è colui che invece di sperimentare strade creative per, ad esempio,risolvere un problema di budget, decide di tagliare, facendo a meno delle sue risorse. E tagliare sulle risorse vuol dire meta-comunicare uno scarso interesse per le persone di cui ci prendiamo cura. Un rischio molto alto per un leader.

Sviluppare ottimismo, invece, vuol dire essere sicuri che accadrà qualcosa di buono se si lavora nel modo giusto. Vuol dire concedersi poco tempo per esprimere il proprio disagio di fronte a un problema (la famosa regola dei 5 minuti) e decidere successivamente di farvi fronte.

Si può sviluppare l’ottimismo? Sì, con l’allenamento. Per esempio si possono allenare i leader a concentrarsi sul positivo. È importante diventare consapevoli dei propri successi e aiutare il proprio team a notare tutto ciò che di buono è in grado di fare e ad esprimerlo in modo condiviso.

Bisogna quindi diventare capaci di prendersi cura dei propri collaboratori. Avere cura delle risorse umane, cioè di tutti gli spazi di crescita che sono necessari a raggiungere gli obiettivi.

Un ultimo consiglio per i leader: Dedicate meno tempo a esercitare il controllo ma più tempo a risvegliare l’energia e l’impegno.


I contenuti di questo articolo sono stati sviluppati nell’incontro formativo, La cura del capitale umano nei periodi di crisi”, tenuto da Letizia Espanoli per Editrice Dapero, e dedicato ai leader del settore sociosanitario.

Se il tema ti interessa, scopri il prossimo percorso formativo (19 Febbraio-7 maggio, h. 16.30-18.30): ll futuro è delle organizzazioni positive: alleniamo la felicità interna lorda nel luogo di lavoro

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About the Author: Letizia Espanoli

Presidente Letizia Espanoli Group S.r.l. - Founder Sentemente Project - Membro del Comitato Operativo della rivista CURA

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Far crescere le organizzazioni sociosanitarie in questo frangente storico di pandemia è possibile. Come? Stimolando i leader a investire sulla risorsa più importante: le persone

Ora più che mai è tempo per le direzioni delle strutture sociosanitarie di sviluppare nuove competenze di leadership che siano primariamente orientate all’empowerment delle persone: uniche vere risorse di un’organizzazione. Questo è il punto di partenza per rispondere allo stato critico in cui riversano molte strutture per anziani oggi.

La fotografia: come stanno oggi gli operatori sociosanitari?

Dopo circa un anno dallo scoppio della pandemia, il personale delle RSA sta finalmente vedendo una luce attraverso la campagna vaccinazioni appena cominciata. Ma la grossa crisi, la più grande con cui le strutture si siano dovute confrontare, ha gettato conseguenze importanti sullo stato psicologico degli operatori e sul loro benessere emotivo.

Uno degli effetti più gravi della fatica, della costante paura del contagio (mai superata) e dell’assenza di procedure chiare da applicare in caso di focolaio, è proprio il senso di impotenza percepito dal personale di cura.

Si tratta di uno stato di deprivazione dell’energia vitaleche si riscontra tanto a livello singolo quanto a livello collettivo e che rende difficile affrontare un presente ancora complesso per le organizzazioni e un futuro nebuloso.

Infatti, sebbene il vaccino sia entrato nelle RSA, non è cambiato il modo di vivere la quotidianità, ancora fortemente connotata da isolamento sociale, dal rispetto delle misure di sicurezza, dai problemi relativi ai nuovi ingressi.

Ecco che, allora, diventa fondamentale e di massima urgenza affrontare questo stato di impotenza e permettere ai singoli professionisti e alle organizzazioni di far rifiorire le proprie possibilità, imparando a mantenere un equilibrio emotivo fra la speranza – che abbiamo visto emergere nelle prime fasi della pandemia – e la disperazione, che arriva con il prolungarsi della difficoltà.

Far crescere le organizzazioni sociosanitarie: I 4 pilastri del Positive Psychological Capital

Nei vari modelli gestionali fino a questo momento delineati dagli accademici, si è posto l’accento su vari elementi: prima sul capitale economico, poi sul capitale umano, successivamente sul capitale sociale. Solo di recente è statorivalutato il costrutto ideato da Luthan, il Positive Psychological Capital(PSyCap).

Quest’ultimo si basa sul principio secondo cui lo stato psicologico dell’individuo è rilevante per lo sviluppo di sé e delle proprie performance. Il che vuol dire che ciò che determina la buona riuscita delle azioni sul lavoro, e dunque il perseguimento dei risultati oggettivi e condivisi, è proprio l’approccio psicologico della persona.

Tradotto, questo concetto ci dice che è il modo in cui siamo fatti come persone a renderci vincenti sul lavoro: curiamo i nostri anziani non solo con ciò che sappiamo, ma con chi noi siamo. In questo senso è responsabilità della direzione sostenere i propri professionisti a prendersi cura di sé, e potenziarli, incoraggiandoli in un percorso di consapevolezza e di miglioramento personale.

In un momento di crisi e di sentimento di impotenza dilagante, riscrivere in questo modo la leadership diventa non solo la carta vincente per garantire felicità e crescita dell’organizzazione, ma l’unica via di uscita per far fronte all’emergenza in corso. Ma in che modo si può creare una organizzazione che allena queste competenze umane?

Se si insegnasse la bellezza alla gente, la si fornirebbe di un’arma contro la rassegnazione, la paura e l’omertà. È per questo che bisognerebbe educare la gente alla bellezza: perché in uomini e donne non si insinui più l’abitudine e la rassegnazione ma rimangano sempre vivi la curiosità e lo stupore.” (Peppino Impastato)

Parole come rassegnazione, paura e omertà, al di là della differenza di contesto in cui si trovava Impastato, descrivono perfettamente anche lo stato attuale di alcune nostre residenze per anziani che esercitano meccanismi di trascuratezza verso gli anziani e il personale di cura, che li allontanano dalla felicità, dal rispetto e dalla crescita.

Educare alla bellezza vuol dire stimolare l’individuo allo stupore e alla curiosità, che sono i veri antidoti alla routine, alle abitudini lavorative che lasciano il senso di prigionia e di insoddisfazione. Vuol dire trasmettere il principio che il valore di ognuno è determinante per l’economia generale.

Una strada possibile, allora, per creare un’organizzazione capace di allenare queste competenze umane è seguire i 4 pilastri del modello PsyCap: speranza, efficacia, resilienza e ottimismo.

Speranza: la visione del leader

La speranza è il primo dei 4 pilastri per far fiorire le organizzazioni. Con questa parola si intende proprio la capacità visionaria del leader. È importante che il leader conservi sempre quella quota di strabismo che gli consenta di avere costantemente un occhio rivolto al presente e uno rivolto al futuro.

Questo perché è importante per un leader non perdere aderenza con la realtà, ma avere al contempo l’idea concreta della direzione da prendere. Senza la visione organizzativa non è possibile disegnare un orizzonte e i percorsi per raggiungerlo.

Un leader ha il dovere di porsi la domanda “cosa voglio essere fra un anno? Che aspetto voglio che prenda la mia organizzazione nel tempo?”. La speranza sostiene questa visione perché attiva i percorsi per raggiungere la meta e stimola a trovare soluzioni intermedie. La speranza si fonda essenzialmente sull’arte della pianificazione e su un altro costrutto psicologico, il Locus of Control.

Innanzitutto, senza una descrizione esaustiva dei problemi della propria organizzazione, senza una definizione chiara, scritta e condivisa degli obiettivi è difficile realizzare risultati concreti. Altro aspetto importante per una buona pianificazione è il timing, ovvero la calendarizzazione delle azioni nel tempo. Ancora riguardo alla pianificazione, è importante mantenere costantemente il focus sull’obiettivo ma è utile, al contempo, porre l’attenzione anche sui processi intermedi. Bisogna cioè imparare a misurare e monitorare i procedimenti messi in atto per giungere al risultato.

In questo senso torna utile conoscere cosa si intenda per Locus of control. Questo concetto si riferisce alla «valutazione soggettiva dei fattori cui si attribuisce la causa di eventi, fatti ed esiti». È, in poche parole, il grado di controllo che ogni individuo ha sulla propria vita.

Il locus of control interno è tipico di chi è consapevole delle proprie azioni, dei propri meriti e demeriti e di chi conosce le conseguenze delle proprie decisioni. Chi invece presenta un locus of control esterno non ha dimensione dei propri risultati, tende a vedere i propri successi come frutto di azioni esterne e fatica a sentirsi responsabile in prima persona dei propri sbagli.

Conoscere questo costrutto è determinante per un leader che vuole motivare il proprio personale e che vuole far fiorire le soft skills nelle persone accanto a sé. Per il personale diventa poi uno strumento necessario per l’autoanalisi, per sviluppare la capacità di motivarsi in modo autonomo e per assumersi con più coscienza la responsabilità del proprio operato.

Autoefficacia: le tue azioni fanno la differenza

Autoefficacia è un termine coniato da Bandura come concetto applicato alle organizzazioni. Si definisce come la convinzione dell’individuo sulla sua capacità di produrre effetti. È il sapere che le azioni messe in campo fanno la differenza.

Si tratta quindi dell’esatto contrario dello stato di impotenza. Spesso nelle strutture si sentono frasi come “qui le cose non si possono fare”, che sono la misura della malattia di impotenza delle organizzazioni.

Autoefficacia è invece la sensazione di prendere decisioni che si sentono come decisive per l’orizzonte che si vuole raggiungere. La convinzione di produrre un effetto desiderato è un incentivo che il leader deve valorizzare. Più riuscirà a trasmettere questo sentimento alle persone, maggiore sarà la probabilità di efficacia globale.

Spesso il problema delle organizzazioni è di immaginare troppi cambiamenti. Gli esperti ci dicono che ogni organizzazione ha la capacità di produrre un cambiamento ogni tre mesi. Porsi troppi obiettivi vuol dire rendere meno possibile la riuscita e più probabile l’aumento del senso di impotenza.

Resilienza: «dare valore alle cadute»

Questo termine indica la capacità di riprendersi dalle avversità e di fortificarsi superando il negativo. In materia di organizzazione vuol dire rigenerare il tessuto organizzativo dopo un momento critico per farlo diventare più forte di prima.

È importante sottolineare un aspetto: la resilienza non è la capacità di evitare errori o di schivare colpi, ma è l’accettazione dello stato critico come parte del processo di cambiamento. Ogni volta che si verifica un errore, è importante per il leader fermarsi e capire il perché e come l’organizzazione non ha affrontato quella situazione nel modo adeguato.

È più importante individuare la responsabilità organizzativa piuttosto che quella del singolo, perché se non si coglie il vuoto organizzativo che ha portato il soggetto a sbagliare, diventa molto difficile attuare un miglioramento che si mantenga nel tempo.

La prima idea concreta per implementare la resilienza è dunque affrontare la realtà. Spesso, in momenti emergenziali, è più importante portare le persone ad agire, piuttosto che stimolarle ad un pensiero positivo. Saper affrontare la realtà anziché pensare positivamente vuol dire eliminare ogni residuo di passività nella ricerca della soluzione, recuperando la sensazione di avere la situazione sotto controllo.

Altro elemento che accompagna la resilienza è la capacità di improvvisare. Affrontare un problema con qualunque mezzo a disposizione è una capacità importante da sviluppare perché non sempre si può contare sulle risorse ideali. Improvvisare non è facile, serve allenamento, responsabilità e una buona dose di pensiero laterale, elemento creativo importantissimo per il leader, per dare il buon esempio e per formare il suo team.

Ottimismo: lo sguardo sul futuro

È stato definito come l’attribuzione positiva al successo non solo nel presente ma anche nel futuro. L’ottimismo è la cifra di chi vive nel divenire, di chi è consapevole che troverà, in un modo o nell’altro, una soluzione al problema che si verifica nel presente.

È colui che ha esercitato quello strabismo di cui si parlava sopra, che permette la creazione e l’attivazione di percorsi alternativi, nuovi. Un leader sociosanitario non ottimista è colui che invece di sperimentare strade creative per, ad esempio,risolvere un problema di budget, decide di tagliare, facendo a meno delle sue risorse. E tagliare sulle risorse vuol dire meta-comunicare uno scarso interesse per le persone di cui ci prendiamo cura. Un rischio molto alto per un leader.

Sviluppare ottimismo, invece, vuol dire essere sicuri che accadrà qualcosa di buono se si lavora nel modo giusto. Vuol dire concedersi poco tempo per esprimere il proprio disagio di fronte a un problema (la famosa regola dei 5 minuti) e decidere successivamente di farvi fronte.

Si può sviluppare l’ottimismo? Sì, con l’allenamento. Per esempio si possono allenare i leader a concentrarsi sul positivo. È importante diventare consapevoli dei propri successi e aiutare il proprio team a notare tutto ciò che di buono è in grado di fare e ad esprimerlo in modo condiviso.

Bisogna quindi diventare capaci di prendersi cura dei propri collaboratori. Avere cura delle risorse umane, cioè di tutti gli spazi di crescita che sono necessari a raggiungere gli obiettivi.

Un ultimo consiglio per i leader: Dedicate meno tempo a esercitare il controllo ma più tempo a risvegliare l’energia e l’impegno.


I contenuti di questo articolo sono stati sviluppati nell’incontro formativo, La cura del capitale umano nei periodi di crisi”, tenuto da Letizia Espanoli per Editrice Dapero, e dedicato ai leader del settore sociosanitario.

Se il tema ti interessa, scopri il prossimo percorso formativo (19 Febbraio-7 maggio, h. 16.30-18.30): ll futuro è delle organizzazioni positive: alleniamo la felicità interna lorda nel luogo di lavoro

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Presidente Letizia Espanoli Group S.r.l. - Founder Sentemente Project - Membro del Comitato Operativo della rivista CURA

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