L’articolo che segue è a cura di Mariella Zanetti, Letizia Villa e Marco Fumagalli, rispettivamente Medico Geriatra, Psicoterapeuta e Responsabile servizi educativi della Cooperativa La Meridiana, ed è comparso in forma più estesa sul n. 17 di CURA cartaceo.
La comunità al centro
È noto come l’istituzionalizzazione per la persona con demenza abbia spesso esiti negativi, poiché la persona diventa ulteriormente “disconnessa” dalla casa, dalla famiglia, dalla comunità e da un ritmo quotidiano che abbia per lei un “senso”.
Il villaggio per le persone con demenza de Il Paese Ritrovato nasce nel 2018 con l’intento di scostarsi da un modello assistenziale focalizzato su ambienti e modalità di cura istituzionali a prevalente contenuto sanitario, verso un modello di cura con al centro un senso di comunità e di socialità attiva per le persone con demenza.
In netto contrasto con i modelli di cura del passato, questo concetto di “cambiamento culturale” e “cura centrata sulla persona” descrive cambiamenti nella filosofia, nell’architettura e nei modelli organizzativi rispetto alle istituzioni del passato.
Tutto ciò restituisce il controllo ai residenti nel contesto assistenziale – trasformazione ancora in atto – con l’obiettivo finale di creare una cultura dell’invecchiamento e della demenza che confermi le competenze, dia benessere alla persona e cerchi di trasformare una “struttura” in una “casa”, un “residente” in una “persona” e un “programma” in una “scelta”.
Questo cambiamento culturale si basa fortemente sull’integrazione dell’assistenza centrata sulla persona (PCC di Kitwood), riferendosi alla pratica di basare le decisioni chiave su bisogni, desideri e preferenze dei residenti in aree diverse che vanno da come vengono serviti i pasti e come viene offerto il bagno, a come è strutturato il lavoro in un’organizzazione.
I cambiamenti sistematici si verificano a tutti i livelli: l’ambiente fisico, gli orari, il ritmo della giornata, le scelte dei residenti, le relazioni e l’appiattimento della tradizionale gerarchia del personale per consentire maggiori opportunità agli operatori sanitari di conoscere i residenti per comprendere e soddisfare i loro bisogni.
Le capacità di socialità attiva delle persone che vivono con demenza sono state fino ad ora sottostimate nella progettazione di modalità assistenziali a impronta biomedica, custodialistica o riabilitativa.
Nel villaggio si è voluto mettere al centro il senso di competenza e di comunità e in questo senso il Il Paese Ritrovato rappresenta proprio un incubatore di relazioni sociali all’interno di uno spazio di comunità che comprende tutti coloro che vivono o che attraversano il villaggio per motivi di lavoro o di interesse.
La comunità dei residenti di appartamento si integra con la comunità dell’intero villaggio e infine con la comunità dei lavoratori e di tutti coloro che vanno e vengono dal villaggio.
Chi lavora al Paese
L’équipe del Paese è attualmente composta dal personale OSS per l’assistenza, personale infermieristico, fisioterapisti, terapisti occupazionali, educatori, assistenti sociali, psicologi, terapeuti per le attività emotivo-relazionali (teatro, poesia). Il medico geriatra e il Responsabile del Paese sono le figure di riferimento utili a facilitare la comunicazione e il confronto tra tutti i collaboratori e a fare sintesi rispetto alla Direzione.
All’inizio del percorso il personale proveniente da altre esperienze o realtà assistenziali ha vissuto con maggiore fatica questa fase ed è stato necessario lavorare intensamente per sradicare ritmi dettati dalla fretta o dall’organizzazione anziché centrati sulla persona e sui suoi bisogni.
Co-disegnare la Cura
Avere un ritmo della giornata guidato dalle persone e dai loro bisogni ribalta infatti la dimensione della cura, mettendo sulle stesso piano la persona con demenza e l’operatore.
Questa orizzontalità e flessibilità ha reso necessario che l’operatore si mettesse in una dimensione più intima e di ascolto relazionale, nella quale il residente non subisce ma co-disegna la Cura.
Si tratta di un vero e proprio ribaltamento rispetto a modalità “apprese” dai sistemi sanitari che vedono il malato quasi sempre come oggetto di cure e non come protagonista.
La cooperazione con la persona con demenza, la sua ri-considerazione da oggetto a soggetto esperto, è stata la principale difficoltà e ha reso necessaria una continua ridiscussione.
Non tutti i professionisti erano infatti disponibili a un “lavoro emotivo” oltre a quello delle competenze tecniche.
“Manutenzione emotiva” e fatica invisibile
Non tutti gli operatori che hanno attraversato il villaggio hanno vissuto positivamente questa orizzontalità ed è stato necessario supportare il gruppo con momenti di condivisione costante.
Tra questi ricordiamo per esempio gli incontri di “manutenzione emotiva” tenuti da una psicologa esterna alla cooperativa e rivolti a tutti i lavoratori del Paese, affinché fosse offerto uno spazio di ascolto, lettura, condivisione degli stati mentali/emotivi legati alla professione di cura, nonché all’apprendimento di strumenti utili sia durante la giornata lavorativa, per affrontare i momenti più stressanti, sia nel restante tempo, per non sovraccaricarsi di pesi emotivi disturbanti.
Poiché mettere in campo un lavoro “emotivo” comporta un’ ulteriore fatica per l’operatore – una sorta di fatica invisibile spesso sottovalutata nelle pratiche quotidiane – abbiamo inoltre cercato di dare valore, tempo e riconoscimento rispetto a questo impegno, valorizzando e riconoscendo il senso di tutte le competenze relazionali espresse; ad esempio una buona osservazione in consegna, una conversazione dedicata alla Persona al di là del tempo assistenziale, il tempo di una buona consegna scritta o dedicato a conoscere la persona parlando con la famiglia.
Orizzontalità e integrazione tra i ruoli professionali
Essere sullo stesso piano con la persona con demenza è un processo di trasformazione culturale ancora in atto, in cui progressivamente ci siamo resi conto che la persona stessa è la vera “esperta” della propria condizione e di ciò che la può far stare bene o che le può al contrario creare disagio. Riteniamo che la persona con demenza sia la vera esperta di sé stessa proprio rispetto a come vuole trascorrere la giornata e a che senso dare alla sua vita in questa nuova condizione.
Le stesse tradizionali “attività” socio-educative sono progettate sulla base dei bisogni e dei significati che esse hanno per la persona e rimangono comunque solo una proposta che la persona può scegliere o rifiutare ogni giorno, per i più svariati motivi.
Questo assetto orizzontale riguarda tutti i professionisti dell’équipe poiché è dall’osservazione congiunta che nascono risposte e strategie.
Il percorso di comprensione di ciò che è benessere o qualità di vita per una persona beneficia di osservazioni da molteplici punti di vista.
In questo senso al Paese Ritrovato si è realizzata una forte destrutturazione del sistema biomedico tradizionale, inteso anche come sistema verticistico di chi prende decisioni calate sui collaboratori.
Il ruolo delle figure sanitarie si integra e si arricchisce delle osservazioni degli altri componenti dell’équipe che riportano, ciascuno secondo la propria competenza e punto di vista, le proprie osservazioni.
Le figure sanitarie possono far sintesi di questi dati in modo da integrarli con le proprie competenze cliniche per formulare una risposta.
Visione d’insieme e soluzioni condivise
Abbiamo trovato iniziali reticenze rispetto a questa integrazione che si sono smussate nel momento in cui questi aspetti sono stati percepiti come efficaci rispetto all’obiettivo prefissato.
Si può riportare l’esempio del momento in cui la persona si prepara alla giornata, spesso fonte di stress per operatore e residente.
In questo caso, per esempio, il terapista occupazionale può valutare aspetti ambientali che aumentano la piacevolezza del bagno o facilitano la memoria procedurale della persona; il familiare può riportare conoscenze sulle abitudini; l’operatore può aggiungere racconti di eventuali strategie sperimentate e l’infermiere una valutazione del dolore o del riposo notturno come possibili fonti di disagio. Il Residente stesso esprime invece il benessere e le difficoltà che prova attraverso il suo comportamento.
Dalla sintesi di queste osservazioni possono nascere soluzioni utili a rendere questo tempo più piacevole e meno fonte di stress per tutti coloro che lo vivono.
La condivisione delle criticità, la ricerca di soluzioni comuni, gli spazi di formazione e di discussione settimanali hanno consentito all’équipe di crescere rispetto a un processo di integrazione rispettosa, favorita dalla comunicazione attraverso il diario multidisciplinare, nel quale ogni figura descrive le situazioni sulla base delle proprie prospettive di competenza.
Ogni singolo evento può quindi essere letto da punti di vista differenti da cui scaturisce una visione di insieme più utile.
Anche nelle riunioni settimanali, nei PAI e in qualsiasi criticità viene valorizzata la forza di una soluzione condivisa e comunicata in modo chiaro.
Viaggiare insieme
Il viaggio di questi 7 anni di Paese Ritrovato è stato ed è per noi un viaggio bellissimo, in cui siamo stati seduti e abbiamo camminato insieme, in mezzo alle persone che lo hanno abitato e che lo abitano, senza camici, senza divise.
A volte spettinati e con la barba lunga, come durante gli anni del Covid. A volte scrivendo le consegne al bar, senza preoccuparsi di voci e rumori. A volte apparecchiando insieme e mangiando un boccone nelle case. A volte ballando un valzer senza più fiato.
Stiamo viaggiando insieme, capendoci per vie a volte sconosciute, fatte di tanto ascolto, silenzio e poche parole.
Entriamo e usciamo, vivendo un confine che è diventato anche la nostra normalità e che dà senso alle loro e alle nostre fragilità.

SALUTE
Eventi e Cultura

Semi di CURA
NEWSLETTER
Esiste un significato profondo nel lavoro di CURA e una ricchezza nascosta in RSA?
La newsletter
«Semi di CURA»
indaga questo e lo racconta ogni ultimo venerdì del mese.
L’articolo che segue è a cura di Mariella Zanetti, Letizia Villa e Marco Fumagalli, rispettivamente Medico Geriatra, Psicoterapeuta e Responsabile servizi educativi della Cooperativa La Meridiana, ed è comparso in forma più estesa sul n. 17 di CURA cartaceo.
La comunità al centro
È noto come l’istituzionalizzazione per la persona con demenza abbia spesso esiti negativi, poiché la persona diventa ulteriormente “disconnessa” dalla casa, dalla famiglia, dalla comunità e da un ritmo quotidiano che abbia per lei un “senso”.
Il villaggio per le persone con demenza de Il Paese Ritrovato nasce nel 2018 con l’intento di scostarsi da un modello assistenziale focalizzato su ambienti e modalità di cura istituzionali a prevalente contenuto sanitario, verso un modello di cura con al centro un senso di comunità e di socialità attiva per le persone con demenza.
In netto contrasto con i modelli di cura del passato, questo concetto di “cambiamento culturale” e “cura centrata sulla persona” descrive cambiamenti nella filosofia, nell’architettura e nei modelli organizzativi rispetto alle istituzioni del passato.
Tutto ciò restituisce il controllo ai residenti nel contesto assistenziale – trasformazione ancora in atto – con l’obiettivo finale di creare una cultura dell’invecchiamento e della demenza che confermi le competenze, dia benessere alla persona e cerchi di trasformare una “struttura” in una “casa”, un “residente” in una “persona” e un “programma” in una “scelta”.
Questo cambiamento culturale si basa fortemente sull’integrazione dell’assistenza centrata sulla persona (PCC di Kitwood), riferendosi alla pratica di basare le decisioni chiave su bisogni, desideri e preferenze dei residenti in aree diverse che vanno da come vengono serviti i pasti e come viene offerto il bagno, a come è strutturato il lavoro in un’organizzazione.
I cambiamenti sistematici si verificano a tutti i livelli: l’ambiente fisico, gli orari, il ritmo della giornata, le scelte dei residenti, le relazioni e l’appiattimento della tradizionale gerarchia del personale per consentire maggiori opportunità agli operatori sanitari di conoscere i residenti per comprendere e soddisfare i loro bisogni.
Le capacità di socialità attiva delle persone che vivono con demenza sono state fino ad ora sottostimate nella progettazione di modalità assistenziali a impronta biomedica, custodialistica o riabilitativa.
Nel villaggio si è voluto mettere al centro il senso di competenza e di comunità e in questo senso il Il Paese Ritrovato rappresenta proprio un incubatore di relazioni sociali all’interno di uno spazio di comunità che comprende tutti coloro che vivono o che attraversano il villaggio per motivi di lavoro o di interesse.
La comunità dei residenti di appartamento si integra con la comunità dell’intero villaggio e infine con la comunità dei lavoratori e di tutti coloro che vanno e vengono dal villaggio.
Chi lavora al Paese
L’équipe del Paese è attualmente composta dal personale OSS per l’assistenza, personale infermieristico, fisioterapisti, terapisti occupazionali, educatori, assistenti sociali, psicologi, terapeuti per le attività emotivo-relazionali (teatro, poesia). Il medico geriatra e il Responsabile del Paese sono le figure di riferimento utili a facilitare la comunicazione e il confronto tra tutti i collaboratori e a fare sintesi rispetto alla Direzione.
All’inizio del percorso il personale proveniente da altre esperienze o realtà assistenziali ha vissuto con maggiore fatica questa fase ed è stato necessario lavorare intensamente per sradicare ritmi dettati dalla fretta o dall’organizzazione anziché centrati sulla persona e sui suoi bisogni.
Co-disegnare la Cura
Avere un ritmo della giornata guidato dalle persone e dai loro bisogni ribalta infatti la dimensione della cura, mettendo sulle stesso piano la persona con demenza e l’operatore.
Questa orizzontalità e flessibilità ha reso necessario che l’operatore si mettesse in una dimensione più intima e di ascolto relazionale, nella quale il residente non subisce ma co-disegna la Cura.
Si tratta di un vero e proprio ribaltamento rispetto a modalità “apprese” dai sistemi sanitari che vedono il malato quasi sempre come oggetto di cure e non come protagonista.
La cooperazione con la persona con demenza, la sua ri-considerazione da oggetto a soggetto esperto, è stata la principale difficoltà e ha reso necessaria una continua ridiscussione.
Non tutti i professionisti erano infatti disponibili a un “lavoro emotivo” oltre a quello delle competenze tecniche.
“Manutenzione emotiva” e fatica invisibile
Non tutti gli operatori che hanno attraversato il villaggio hanno vissuto positivamente questa orizzontalità ed è stato necessario supportare il gruppo con momenti di condivisione costante.
Tra questi ricordiamo per esempio gli incontri di “manutenzione emotiva” tenuti da una psicologa esterna alla cooperativa e rivolti a tutti i lavoratori del Paese, affinché fosse offerto uno spazio di ascolto, lettura, condivisione degli stati mentali/emotivi legati alla professione di cura, nonché all’apprendimento di strumenti utili sia durante la giornata lavorativa, per affrontare i momenti più stressanti, sia nel restante tempo, per non sovraccaricarsi di pesi emotivi disturbanti.
Poiché mettere in campo un lavoro “emotivo” comporta un’ ulteriore fatica per l’operatore – una sorta di fatica invisibile spesso sottovalutata nelle pratiche quotidiane – abbiamo inoltre cercato di dare valore, tempo e riconoscimento rispetto a questo impegno, valorizzando e riconoscendo il senso di tutte le competenze relazionali espresse; ad esempio una buona osservazione in consegna, una conversazione dedicata alla Persona al di là del tempo assistenziale, il tempo di una buona consegna scritta o dedicato a conoscere la persona parlando con la famiglia.
Orizzontalità e integrazione tra i ruoli professionali
Essere sullo stesso piano con la persona con demenza è un processo di trasformazione culturale ancora in atto, in cui progressivamente ci siamo resi conto che la persona stessa è la vera “esperta” della propria condizione e di ciò che la può far stare bene o che le può al contrario creare disagio. Riteniamo che la persona con demenza sia la vera esperta di sé stessa proprio rispetto a come vuole trascorrere la giornata e a che senso dare alla sua vita in questa nuova condizione.
Le stesse tradizionali “attività” socio-educative sono progettate sulla base dei bisogni e dei significati che esse hanno per la persona e rimangono comunque solo una proposta che la persona può scegliere o rifiutare ogni giorno, per i più svariati motivi.
Questo assetto orizzontale riguarda tutti i professionisti dell’équipe poiché è dall’osservazione congiunta che nascono risposte e strategie.
Il percorso di comprensione di ciò che è benessere o qualità di vita per una persona beneficia di osservazioni da molteplici punti di vista.
In questo senso al Paese Ritrovato si è realizzata una forte destrutturazione del sistema biomedico tradizionale, inteso anche come sistema verticistico di chi prende decisioni calate sui collaboratori.
Il ruolo delle figure sanitarie si integra e si arricchisce delle osservazioni degli altri componenti dell’équipe che riportano, ciascuno secondo la propria competenza e punto di vista, le proprie osservazioni.
Le figure sanitarie possono far sintesi di questi dati in modo da integrarli con le proprie competenze cliniche per formulare una risposta.
Visione d’insieme e soluzioni condivise
Abbiamo trovato iniziali reticenze rispetto a questa integrazione che si sono smussate nel momento in cui questi aspetti sono stati percepiti come efficaci rispetto all’obiettivo prefissato.
Si può riportare l’esempio del momento in cui la persona si prepara alla giornata, spesso fonte di stress per operatore e residente.
In questo caso, per esempio, il terapista occupazionale può valutare aspetti ambientali che aumentano la piacevolezza del bagno o facilitano la memoria procedurale della persona; il familiare può riportare conoscenze sulle abitudini; l’operatore può aggiungere racconti di eventuali strategie sperimentate e l’infermiere una valutazione del dolore o del riposo notturno come possibili fonti di disagio. Il Residente stesso esprime invece il benessere e le difficoltà che prova attraverso il suo comportamento.
Dalla sintesi di queste osservazioni possono nascere soluzioni utili a rendere questo tempo più piacevole e meno fonte di stress per tutti coloro che lo vivono.
La condivisione delle criticità, la ricerca di soluzioni comuni, gli spazi di formazione e di discussione settimanali hanno consentito all’équipe di crescere rispetto a un processo di integrazione rispettosa, favorita dalla comunicazione attraverso il diario multidisciplinare, nel quale ogni figura descrive le situazioni sulla base delle proprie prospettive di competenza.
Ogni singolo evento può quindi essere letto da punti di vista differenti da cui scaturisce una visione di insieme più utile.
Anche nelle riunioni settimanali, nei PAI e in qualsiasi criticità viene valorizzata la forza di una soluzione condivisa e comunicata in modo chiaro.
Viaggiare insieme
Il viaggio di questi 7 anni di Paese Ritrovato è stato ed è per noi un viaggio bellissimo, in cui siamo stati seduti e abbiamo camminato insieme, in mezzo alle persone che lo hanno abitato e che lo abitano, senza camici, senza divise.
A volte spettinati e con la barba lunga, come durante gli anni del Covid. A volte scrivendo le consegne al bar, senza preoccuparsi di voci e rumori. A volte apparecchiando insieme e mangiando un boccone nelle case. A volte ballando un valzer senza più fiato.
Stiamo viaggiando insieme, capendoci per vie a volte sconosciute, fatte di tanto ascolto, silenzio e poche parole.
Entriamo e usciamo, vivendo un confine che è diventato anche la nostra normalità e che dà senso alle loro e alle nostre fragilità.
