Quando la persona con demenza cerca la mamma, generalmente, ogni tentativo razionale di riportarla alla realtà risulta fallimentare. La psicologa Sara Sabbadin ci spiega i motivi per cui questo avviene e ci suggerisce alcune strategie semplici per affrontare con più serenità questa difficoltà quotidiana.

Quando la persona con demenza cerca la mamma

“Devo andare, mia mamma mi aspetta…”

“Ma…mamma cosa dici? Non è possibile…”

“Fammi uscire da qui… devo andare… ha bisogno… mi aspetta…”

Vi è mai capitato di rimanere imbrigliati in un discorso cronologicamente assurdo?

Per chi vive con una persona affetta da malattia neurodegenerativa, situazioni come questa sono spesso pane quotidiano.

Le persone che convivono con Alzheimer e altre forme di demenza spesso cercano i genitori morti da tempo oppure i figli piccoli; vanno avanti indietro angosciati, spingono le porte, non si calmano con nulla.

Se chiediamo loro che cosa cercano ci rispondono che devono occuparsi della mamma, del figlio, della zia… devono andare!

E nulla di quello che diciamo li convince del contrario.

Sembra siano stati catapultati di colpo indietro nel tempo.

Ciò che colpisce, oltre all’incredibile sfasamento temporale, è l’urgenza, l’angoscia profonda che non si placa di fronte all’evidenza.

I tentativi fallimentari di riportarla alla realtà

Le risposte che ci vengono più spontanee e che solitamente sono poco efficaci sono del tipo.

“non hai figli piccoli… siamo tutti cresciuti!”

tua madre è morta da anni, mamma! Andiamo tutte le settimane a portarle i fiori!”

“Ma hai il suo santino nel portafoglio!”

Del resto non è la ragione la nostra arma migliore, anzi.

I nostri razionali tentativi di riportare la persona alla realtà solitamente ottengono come unico risultato quello di agitarla ancora di più, in un vortice di confusione che manda rapidamente entrambi in cortocircuito.

Perché la persona con demenza cerca la mamma che è morta da anni?

Ma cosa succede?

Com’è possibile che una donna di 80 anni cerchi i figli piccoli o si disperi al pensiero di una mamma sola che la aspetta a casa?

I disturbi di memoria, il lento sfumare delle proprie coordinate identitarie e la progressiva perdita di capacità di decodificare l’ambiente che le circonda – tipici sintomi della Malattia di Alzheimer e di altre neuro degenerazioni –  gettano le persone malate in uno stato di confusione che le disorienta ma, soprattutto, le spaventa.

L’agitazione che ne consegue si intreccia saldamente con le storie di vita passata, facendo riemergere vissuti emotivamente rilevanti.

Per esempio, una signora che da giovane ha accudito la madre malata potrebbe cercare con insistenza di andare da lei, convinta di trovarsi ancora nel periodo di vita in cui la madre era affidata alle sue cure.

Ma non è solo questo: in una visione più ampia, la mamma rappresenta uno spazio di sicurezza e rassicurazione emotiva per quasi tutti noi.

E maggiore è lo smarrimento e la paura, maggiore è la ricerca di un porto sicuro.

Cosa fare e come rispondere quindi all’angoscia della persona?

Andiamo per punti.

Mantieni la calma

In cima, come regola aurea da applicarsi in ogni caso, con ogni persona, in ogni momento complicato che l’Alzheimer ci mette davanti: tira un bel sospiro e mantieni la calma.

Nei momenti di agitazione, la persona con demenza fatica enormemente a capire le parole, ma le emozioni le sente forti e chiare. 

Ricorda sempre che la tua agitazione amplifica la sua.

Rispondi al bisogno

Cerca di comprendere che si tratta di un sintomo della malattia e che in quel momento il tuo caro è realmente convinto di ciò che dice: la ricerca della mamma è reale.

Inutile cercare di convincerlo del contrario, inutile opporsi.

Prendi per buona la sua realtà e accogli la preoccupazione, magari dicendo:

se ti aspetta, immagino che tu sia preoccupata per lei…”

Provare a metterti nei suoi panni per un momento può aiutarti a capire cosa prova.

Immagina che siano i tuoi figli piccoli ad essere a casa soli, che la tua mamma abbia urgente bisogno delle tue cure ma tu non possa raggiungerla.

Come ti sentiresti?

E se mentre cerchi di raggiungerli qualcuno ti dicesse che non è vero, che tu non hai figli piccoli, che la tua mamma è morta da tempo? Ti lasceresti convincere facilmente?

Ciò di cui la persona ha più bisogno in quel momento è di essere rassicurata.

La distrazione come ultima opzione

E poi, solo poi, distrai.

Prova a cambiare argomento e ad orientare l’attenzione su qualcosa che interessa al tuo caro.

Sentirsi ascoltati, sentire che l’altro è partecipe della nostra angoscia e si attiva per aiutarci, ha uno straordinario effetto rassicurante sulle persone che convivono con Alzheimer e altre forme di demenza, fragili rami esposti alle intemperie di una malattia che leva i punti di riferimento; questo vale ancora di più.

In momenti di agitazione come questo, un obiettivo realistico è aiutare la persona a contenere l’angoscia quel tanto che basta a permetterle di rivolgere l’attenzione anche su altro.

Da lì le difficoltà di memoria potrebbero giocare a tuo favore e far dimenticare il pensiero che prima la ossessionava.

ci beviamo un tè finché aspettiamo Luca con la macchina?”

“Mi aiuti a piegare i panni finché aspettiamo che smetta di piovere? “

Non insistere nel ricordare che la mamma non c’è più

Talvolta i nostri cari sembrano quasi ricordare da sé che la mamma non c’è più, oppure accettano di buon grado un pacato richiamo alla realtà. Bene, meglio!

Ma in tutte le altre situazioni in cui la razionalità sembra non fare alcuna presa io sconsiglio sempre di insistere nel ricordare loro che è morta.

Se ci rendiamo conto che non riescono a tenere a mente l’informazione, continueranno a cercarla, e ogni volta sarà un rinnovarsi del dolore legato alla notizia.

Naturalmente nessuna strategia né spiegazione è buona sempre e per tutti.

E quello che funziona oggi potrebbe non funzionare domani.

Molti caregiver a posteriori si stupiscono del numero di tentativi fatti negli anni per gestire le situazioni più paradossali e ancor più si meravigliano di come fossero riusciti a inventarsi le strategie più disparate, il più delle volte da completi autodidatti.

Indubbiamente, prendersi cura è anche un costante esercizio di creatività.

Ma altrettanto indubbiamente un po’ di formazione aiuterebbe.

Non possiamo controllare tutto, e va bene così

L’obiettivo più realistico che possiamo darci quando ci prendiamo cura di una persona con malattia neurodegenerativa è arrivare a sera il più possibile sereni: e ciò vale per la persona di cui ci prendiamo cura, ma anche per noi!

Questo significa accettare l’idea che talvolta le cose possono andare male anche se noi abbiamo fatto tutto bene.

E quando questo succede  – perché, credetemi, succede a tutti i caregiver! – occorre tenere bene a mente che non possiamo controllare tutto e che il nostro meglio non è un valore assoluto ma è il meglio che riusciamo a fare con quello che abbiamo in quel momento.

C’è una grossa differenza.

La perfezione non abita nessuna casa dove vive anche l’Alzheimer.

L’amore invece sì. Anzi, di solito è proprio quello che non le fa crollare.

About the Author: Sara Sabbadin

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Ex caregiver e psicologa perfezionata in counseling psicologico; Fa parte del team dei narratorə di CURA. Puoi seguire i suoi consigli anche sulla pagina facebook: "I miei giorni con te - In viaggio con la demenza".

Grazie di cuore

 

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rivista CURA settembre23

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Quando la persona con demenza cerca la mamma, generalmente, ogni tentativo razionale di riportarla alla realtà risulta fallimentare. La psicologa Sara Sabbadin ci spiega i motivi per cui questo avviene e ci suggerisce alcune strategie semplici per affrontare con più serenità questa difficoltà quotidiana.

Quando la persona con demenza cerca la mamma

“Devo andare, mia mamma mi aspetta…”

“Ma…mamma cosa dici? Non è possibile…”

“Fammi uscire da qui… devo andare… ha bisogno… mi aspetta…”

Vi è mai capitato di rimanere imbrigliati in un discorso cronologicamente assurdo?

Per chi vive con una persona affetta da malattia neurodegenerativa, situazioni come questa sono spesso pane quotidiano.

Le persone che convivono con Alzheimer e altre forme di demenza spesso cercano i genitori morti da tempo oppure i figli piccoli; vanno avanti indietro angosciati, spingono le porte, non si calmano con nulla.

Se chiediamo loro che cosa cercano ci rispondono che devono occuparsi della mamma, del figlio, della zia… devono andare!

E nulla di quello che diciamo li convince del contrario.

Sembra siano stati catapultati di colpo indietro nel tempo.

Ciò che colpisce, oltre all’incredibile sfasamento temporale, è l’urgenza, l’angoscia profonda che non si placa di fronte all’evidenza.

I tentativi fallimentari di riportarla alla realtà

Le risposte che ci vengono più spontanee e che solitamente sono poco efficaci sono del tipo.

“non hai figli piccoli… siamo tutti cresciuti!”

tua madre è morta da anni, mamma! Andiamo tutte le settimane a portarle i fiori!”

“Ma hai il suo santino nel portafoglio!”

Del resto non è la ragione la nostra arma migliore, anzi.

I nostri razionali tentativi di riportare la persona alla realtà solitamente ottengono come unico risultato quello di agitarla ancora di più, in un vortice di confusione che manda rapidamente entrambi in cortocircuito.

Perché la persona con demenza cerca la mamma che è morta da anni?

Ma cosa succede?

Com’è possibile che una donna di 80 anni cerchi i figli piccoli o si disperi al pensiero di una mamma sola che la aspetta a casa?

I disturbi di memoria, il lento sfumare delle proprie coordinate identitarie e la progressiva perdita di capacità di decodificare l’ambiente che le circonda – tipici sintomi della Malattia di Alzheimer e di altre neuro degenerazioni –  gettano le persone malate in uno stato di confusione che le disorienta ma, soprattutto, le spaventa.

L’agitazione che ne consegue si intreccia saldamente con le storie di vita passata, facendo riemergere vissuti emotivamente rilevanti.

Per esempio, una signora che da giovane ha accudito la madre malata potrebbe cercare con insistenza di andare da lei, convinta di trovarsi ancora nel periodo di vita in cui la madre era affidata alle sue cure.

Ma non è solo questo: in una visione più ampia, la mamma rappresenta uno spazio di sicurezza e rassicurazione emotiva per quasi tutti noi.

E maggiore è lo smarrimento e la paura, maggiore è la ricerca di un porto sicuro.

Cosa fare e come rispondere quindi all’angoscia della persona?

Andiamo per punti.

Mantieni la calma

In cima, come regola aurea da applicarsi in ogni caso, con ogni persona, in ogni momento complicato che l’Alzheimer ci mette davanti: tira un bel sospiro e mantieni la calma.

Nei momenti di agitazione, la persona con demenza fatica enormemente a capire le parole, ma le emozioni le sente forti e chiare. 

Ricorda sempre che la tua agitazione amplifica la sua.

Rispondi al bisogno

Cerca di comprendere che si tratta di un sintomo della malattia e che in quel momento il tuo caro è realmente convinto di ciò che dice: la ricerca della mamma è reale.

Inutile cercare di convincerlo del contrario, inutile opporsi.

Prendi per buona la sua realtà e accogli la preoccupazione, magari dicendo:

se ti aspetta, immagino che tu sia preoccupata per lei…”

Provare a metterti nei suoi panni per un momento può aiutarti a capire cosa prova.

Immagina che siano i tuoi figli piccoli ad essere a casa soli, che la tua mamma abbia urgente bisogno delle tue cure ma tu non possa raggiungerla.

Come ti sentiresti?

E se mentre cerchi di raggiungerli qualcuno ti dicesse che non è vero, che tu non hai figli piccoli, che la tua mamma è morta da tempo? Ti lasceresti convincere facilmente?

Ciò di cui la persona ha più bisogno in quel momento è di essere rassicurata.

La distrazione come ultima opzione

E poi, solo poi, distrai.

Prova a cambiare argomento e ad orientare l’attenzione su qualcosa che interessa al tuo caro.

Sentirsi ascoltati, sentire che l’altro è partecipe della nostra angoscia e si attiva per aiutarci, ha uno straordinario effetto rassicurante sulle persone che convivono con Alzheimer e altre forme di demenza, fragili rami esposti alle intemperie di una malattia che leva i punti di riferimento; questo vale ancora di più.

In momenti di agitazione come questo, un obiettivo realistico è aiutare la persona a contenere l’angoscia quel tanto che basta a permetterle di rivolgere l’attenzione anche su altro.

Da lì le difficoltà di memoria potrebbero giocare a tuo favore e far dimenticare il pensiero che prima la ossessionava.

ci beviamo un tè finché aspettiamo Luca con la macchina?”

“Mi aiuti a piegare i panni finché aspettiamo che smetta di piovere? “

Non insistere nel ricordare che la mamma non c’è più

Talvolta i nostri cari sembrano quasi ricordare da sé che la mamma non c’è più, oppure accettano di buon grado un pacato richiamo alla realtà. Bene, meglio!

Ma in tutte le altre situazioni in cui la razionalità sembra non fare alcuna presa io sconsiglio sempre di insistere nel ricordare loro che è morta.

Se ci rendiamo conto che non riescono a tenere a mente l’informazione, continueranno a cercarla, e ogni volta sarà un rinnovarsi del dolore legato alla notizia.

Naturalmente nessuna strategia né spiegazione è buona sempre e per tutti.

E quello che funziona oggi potrebbe non funzionare domani.

Molti caregiver a posteriori si stupiscono del numero di tentativi fatti negli anni per gestire le situazioni più paradossali e ancor più si meravigliano di come fossero riusciti a inventarsi le strategie più disparate, il più delle volte da completi autodidatti.

Indubbiamente, prendersi cura è anche un costante esercizio di creatività.

Ma altrettanto indubbiamente un po’ di formazione aiuterebbe.

Non possiamo controllare tutto, e va bene così

L’obiettivo più realistico che possiamo darci quando ci prendiamo cura di una persona con malattia neurodegenerativa è arrivare a sera il più possibile sereni: e ciò vale per la persona di cui ci prendiamo cura, ma anche per noi!

Questo significa accettare l’idea che talvolta le cose possono andare male anche se noi abbiamo fatto tutto bene.

E quando questo succede  – perché, credetemi, succede a tutti i caregiver! – occorre tenere bene a mente che non possiamo controllare tutto e che il nostro meglio non è un valore assoluto ma è il meglio che riusciamo a fare con quello che abbiamo in quel momento.

C’è una grossa differenza.

La perfezione non abita nessuna casa dove vive anche l’Alzheimer.

L’amore invece sì. Anzi, di solito è proprio quello che non le fa crollare.

About the Author: Sara Sabbadin

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Grazie di cuore

 

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