Nel nostro stare accanto a una persona con demenza ciò che conta davvero è il modo in cui ci relazioniamo nel qui e ora. In quest’articolo Cinzia Siviero (Insegnante del Metodo Validation) ci mostra quanto può essere difficile e che cosa significa essere davvero presenti nella relazione di cura. La presenza tocca in profondità e ha il potere di trasformare l’incontro con l’altro in un momento autentico di connessione.
Si ringrazia l’educatrice professionale Silvia Grandi per la testimonianza riportata nell’articolo.
L’allineamento emotivo nella relazione
Quante volte abbiamo sofferto per l’assenza?
Se andiamo ad analizzare questo aspetto avremo probabilmente facilitata la strada poi dell’analisi di come va con il nostro atteggiamento.
Chissà quante volte, infatti, nella vita abbiamo sperimentato il dolore dell’assenza, della mancanza. Forse stavamo attraversando un momento di difficoltà, eravamo vulnerabili. Sta di fatto che quelle parole o quel silenzio ci hanno ferito: la nostra emotività ne ha risentito.
Nei momenti difficili si sente tanto il bisogno di un’attenzione, di un Ascolto con la A maiuscola, di un gesto o di una parola gentile come anche di un silenzio che dica però al nostro cuore che la Persona è lì, pienamente con noi.
Non è tanto il cosa dice o cosa fa, è il come.
Ancora una volta è l’allineamento emotivo a fare la differenza, la vera partecipazione, quel collegamento con noi profondo e autentico che anche solo uno sguardo di pochi attimi esprime, o il tono della voce o un tocco.
Essere presenti per l’altro e per sé stessi
Il concetto di presenza, quell’essere lì nel momento, è stato oggetto di studio fin dall’antichità.
Lo ritroviamo in molte filosofie di pensiero, pratiche e religioni. Negli ultimi anni la Mindfulness ha contribuito molto ad arricchirci al riguardo. L’intento in questo breve articolo è quello di declinare il concetto di presenza ad un ambito ben preciso: quello della relazione con l’anziano con fragilità cognitiva.
In che modo possiamo parlare di presenza quando ci ritroviamo a stare accanto a una persona con demenza?
Quanto è importante riuscire ad esserci se la relazione ha a che fare con questo tipo di fragilità?
Ha senso dato che forse non comprende e soprattutto poi dimenticherà?
Per poter rispondere a queste domande proviamo a partire da una premessa: vivere il momento presente nella relazione è qualcosa che non ha a che fare solo con l’altro, ma anche con me.
Posso essere lì, nel momento, per l’altro solo se so essere presente a me stesso. E anche la ricaduta di questo esserci non è solo sull’altro, ma anche su di me.
La fatica di essere pienamente presenti
Perché mai è difficile quindi? Non dovrebbe essere un movimento dell’anima spontaneo?
Eppure, essere presenti davvero, pienamente presenti, non è affatto semplice: richiede consapevolezza, energia, un lavoro su di sé e molto esercizio.
Se ci osserviamo, dobbiamo ammettere che in svariate situazioni non siamo presenti.
La nostra mente è debole, estremamente influenzabile e con grande facilità viene portata via da ciò che accade fuori (come, per esempio, da un rumore) o dentro (come, per esempio, da una preoccupazione). Per alcuni di noi questo è un vero piccolo grande problema.
Essere presenti non significa solo “essere lì con il corpo“, ma anche portare l’attenzione su ciò che sta avvenendo, sospendendo tutto il resto. Spesso però i sentimenti, le preoccupazioni, le cose da fare, i pensieri che la nostra mente ci propone in continuazione non ci danno tregua e non hanno quasi mai a che fare con il momento che stiamo vivendo. Qui sta la fatica.
Quante volte sono il passato o il futuro a farla da padrone!
L’ansia di ciò che ci aspetta spesso ci invade, proibendoci di vivere serenamente un certo momento. D’altra parte, una sensazione del qui e ora ci può richiamare emozioni vissute in passato, in qualche modo collegate a ciò che stiamo sperimentando e così emergono in noi situazioni che ancora forse non sono del tutto superate.
L’arte dell’accettazione di sé
Anche alle persone anziane affette da demenza tra l’altro accade questo.
Naomi Feil scrive tra i suoi Principi Fondamentali:
“Gli eventi, le emozioni, i colori, i suoni, gli odori, i sapori e le immagini danno vita ad emozioni che attirano emozioni simili provate in passato. Le persone anziane reagiscono al presente alla stessa maniera del passato”.
Una cosa che mi ha molto aiutato riguardo a questo tema è stato apprendere l’arte, certamente difficile, dell’accettazione.
Non è combattendo con noi stessi che possiamo arrivare alla presenza, bensì accettando i pensieri che emergono, dando valore alle emozioni che affiorano, accogliendo questa “debolezza della mente”.
Ci sarà un motivo se ci accade.
Se mai potremo fare uno sforzo nell’osservare, diventare cioè sempre più consapevoli di come funzioniamo dentro e provare e provare e riprovare a tornare qui, nel presente, con l’esercizio. Accogliendoci dunque, non combattendo.
Con quello stesso atteggiamento gentile che spesso regaliamo agli altri. Essere amorevoli verso sé stessi, in grado di parlarci senza giudicarci, bensì accompagnandoci nel cambiamento, è un vero dono. Così potremo piano piano imparare a centrarci, mettere cioè tutto da parte per esserci per l’altro.
La presenza tocca nel profondo
E a proposito del dimenticare: il signor Dario dimentica, è vero; dimentica il mio nome, dimentica che sono stata ad ascoltarlo questa mattina, dimentica dove si trova, ma questo, se ci pensiamo bene, non toglie nulla al valore profondo di quell’attimo.
Quella presenza si deposita in profondità, dove nessuno la vede, ma c’è. C’è stata e ha riscaldato, rincuorato, nutrito.
Tutto ciò poi non è relegato al mondo della demenza, bensì ci viene in aiuto anche nella relazione con tutte le persone che sperimentano fragilità.
Nelle professioni di cura, lavori più che mai di tipo emozionale, incontriamo molto la fragilità dell’anziano affetto da demenza ma non è l’unico ambito.
Siamo tutti soggetti a momenti difficili nella vita, nel corpo e nell’anima.
Silvia Grandi, una cara collega, mi ha raccontato tempo fa quanto leggete sotto. Credo possa essere molto utile a questo proposito:
Ricordo ancora una nottata difficile di qualche tempo fa. Un piccolo guaio di salute mi aveva causato il mal di testa più doloroso che io abbia mai sperimentato e non riuscivo né a parlare, né a tenere gli occhi aperti. Stavo rannicchiata occupando tre quarti del divano, sperando che gli antidolorifici facessero effetto e che il sonno prima o poi mi portasse via.
Una persona di famiglia mi vegliò tutta la notte, rimanendo seduta nello spazio libero del divano. Non aveva con me punti di contatto, si limitò ad essere presente e disponibile qualora avessi avuto bisogno di qualcosa. Probabilmente verso mattina fui sopraffatta dal sonno e finalmente mi addormentai.
In tarda mattinata mi svegliai che mi sentivo molto meglio. Fu solo successivamente, durante la giornata, che mi riaffiorò la sensazione di non essere stata sola in quell’esperienza di dolore e la consapevolezza di quanto benessere avevo ricevuto da quella compagnia discreta e, al tempo stesso, risoluta. Sento ancora gratitudine ripensando all’accaduto.
Offrire qualità di presenza nella relazione di cura, nella mia esperienza, significa proprio questo. Come dice un proverbio buddista è non limitarsi a fare qualcosa ma, prima di tutto, essere ed esser-ci per l’altro.
Questa intenzione ha un grande valore soprattutto in quella particolare relazione di cura che è lo stare accanto a chi è fragile a causa della demenza. Un tipo di relazione che spesso ci fa sentire impotenti di fronte ad una condizione della mente così ineffabile, a degli stati emotivi così difficili da raggiungere.
Vivere il momento presente in questa relazione è qualcosa che non ha a che fare solo con l’altro ma anche con me.
Si tratta di essere in connessione con ciò che è vivo nell’altro (a livello di emozioni e bisogni), rimanendo connessi anche con ciò che è vivo in noi, con un atteggiamento aperto, accogliente, non giudicante.
Quando riusciamo ad essere presenti a noi stessi e a guardare con benevolenza i nostri bisogni più profondi, riusciamo a contattare in noi anche quell’energia vitale che ci apre a nuove possibilità.
Allo stesso modo, offrire presenza a chi è fragile nei pensieri a causa della demenza, significa aiutarlo/a a connettersi con la vita che c’è in lui/lei e che ancora si può esprimere.
Facciamoci catturare dalla bellezza delle relazioni che viviamo. Questo ci aiuterà molto a vivere il momento.
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Nel nostro stare accanto a una persona con demenza ciò che conta davvero è il modo in cui ci relazioniamo nel qui e ora. In quest’articolo Cinzia Siviero (Insegnante del Metodo Validation) ci mostra quanto può essere difficile e che cosa significa essere davvero presenti nella relazione di cura. La presenza tocca in profondità e ha il potere di trasformare l’incontro con l’altro in un momento autentico di connessione.
Si ringrazia l’educatrice professionale Silvia Grandi per la testimonianza riportata nell’articolo.
L’allineamento emotivo nella relazione
Quante volte abbiamo sofferto per l’assenza?
Se andiamo ad analizzare questo aspetto avremo probabilmente facilitata la strada poi dell’analisi di come va con il nostro atteggiamento.
Chissà quante volte, infatti, nella vita abbiamo sperimentato il dolore dell’assenza, della mancanza. Forse stavamo attraversando un momento di difficoltà, eravamo vulnerabili. Sta di fatto che quelle parole o quel silenzio ci hanno ferito: la nostra emotività ne ha risentito.
Nei momenti difficili si sente tanto il bisogno di un’attenzione, di un Ascolto con la A maiuscola, di un gesto o di una parola gentile come anche di un silenzio che dica però al nostro cuore che la Persona è lì, pienamente con noi.
Non è tanto il cosa dice o cosa fa, è il come.
Ancora una volta è l’allineamento emotivo a fare la differenza, la vera partecipazione, quel collegamento con noi profondo e autentico che anche solo uno sguardo di pochi attimi esprime, o il tono della voce o un tocco.
Essere presenti per l’altro e per sé stessi
Il concetto di presenza, quell’essere lì nel momento, è stato oggetto di studio fin dall’antichità.
Lo ritroviamo in molte filosofie di pensiero, pratiche e religioni. Negli ultimi anni la Mindfulness ha contribuito molto ad arricchirci al riguardo. L’intento in questo breve articolo è quello di declinare il concetto di presenza ad un ambito ben preciso: quello della relazione con l’anziano con fragilità cognitiva.
In che modo possiamo parlare di presenza quando ci ritroviamo a stare accanto a una persona con demenza?
Quanto è importante riuscire ad esserci se la relazione ha a che fare con questo tipo di fragilità?
Ha senso dato che forse non comprende e soprattutto poi dimenticherà?
Per poter rispondere a queste domande proviamo a partire da una premessa: vivere il momento presente nella relazione è qualcosa che non ha a che fare solo con l’altro, ma anche con me.
Posso essere lì, nel momento, per l’altro solo se so essere presente a me stesso. E anche la ricaduta di questo esserci non è solo sull’altro, ma anche su di me.
La fatica di essere pienamente presenti
Perché mai è difficile quindi? Non dovrebbe essere un movimento dell’anima spontaneo?
Eppure, essere presenti davvero, pienamente presenti, non è affatto semplice: richiede consapevolezza, energia, un lavoro su di sé e molto esercizio.
Se ci osserviamo, dobbiamo ammettere che in svariate situazioni non siamo presenti.
La nostra mente è debole, estremamente influenzabile e con grande facilità viene portata via da ciò che accade fuori (come, per esempio, da un rumore) o dentro (come, per esempio, da una preoccupazione). Per alcuni di noi questo è un vero piccolo grande problema.
Essere presenti non significa solo “essere lì con il corpo“, ma anche portare l’attenzione su ciò che sta avvenendo, sospendendo tutto il resto. Spesso però i sentimenti, le preoccupazioni, le cose da fare, i pensieri che la nostra mente ci propone in continuazione non ci danno tregua e non hanno quasi mai a che fare con il momento che stiamo vivendo. Qui sta la fatica.
Quante volte sono il passato o il futuro a farla da padrone!
L’ansia di ciò che ci aspetta spesso ci invade, proibendoci di vivere serenamente un certo momento. D’altra parte, una sensazione del qui e ora ci può richiamare emozioni vissute in passato, in qualche modo collegate a ciò che stiamo sperimentando e così emergono in noi situazioni che ancora forse non sono del tutto superate.
L’arte dell’accettazione di sé
Anche alle persone anziane affette da demenza tra l’altro accade questo.
Naomi Feil scrive tra i suoi Principi Fondamentali:
“Gli eventi, le emozioni, i colori, i suoni, gli odori, i sapori e le immagini danno vita ad emozioni che attirano emozioni simili provate in passato. Le persone anziane reagiscono al presente alla stessa maniera del passato”.
Una cosa che mi ha molto aiutato riguardo a questo tema è stato apprendere l’arte, certamente difficile, dell’accettazione.
Non è combattendo con noi stessi che possiamo arrivare alla presenza, bensì accettando i pensieri che emergono, dando valore alle emozioni che affiorano, accogliendo questa “debolezza della mente”.
Ci sarà un motivo se ci accade.
Se mai potremo fare uno sforzo nell’osservare, diventare cioè sempre più consapevoli di come funzioniamo dentro e provare e provare e riprovare a tornare qui, nel presente, con l’esercizio. Accogliendoci dunque, non combattendo.
Con quello stesso atteggiamento gentile che spesso regaliamo agli altri. Essere amorevoli verso sé stessi, in grado di parlarci senza giudicarci, bensì accompagnandoci nel cambiamento, è un vero dono. Così potremo piano piano imparare a centrarci, mettere cioè tutto da parte per esserci per l’altro.
La presenza tocca nel profondo
E a proposito del dimenticare: il signor Dario dimentica, è vero; dimentica il mio nome, dimentica che sono stata ad ascoltarlo questa mattina, dimentica dove si trova, ma questo, se ci pensiamo bene, non toglie nulla al valore profondo di quell’attimo.
Quella presenza si deposita in profondità, dove nessuno la vede, ma c’è. C’è stata e ha riscaldato, rincuorato, nutrito.
Tutto ciò poi non è relegato al mondo della demenza, bensì ci viene in aiuto anche nella relazione con tutte le persone che sperimentano fragilità.
Nelle professioni di cura, lavori più che mai di tipo emozionale, incontriamo molto la fragilità dell’anziano affetto da demenza ma non è l’unico ambito.
Siamo tutti soggetti a momenti difficili nella vita, nel corpo e nell’anima.
Silvia Grandi, una cara collega, mi ha raccontato tempo fa quanto leggete sotto. Credo possa essere molto utile a questo proposito:
Ricordo ancora una nottata difficile di qualche tempo fa. Un piccolo guaio di salute mi aveva causato il mal di testa più doloroso che io abbia mai sperimentato e non riuscivo né a parlare, né a tenere gli occhi aperti. Stavo rannicchiata occupando tre quarti del divano, sperando che gli antidolorifici facessero effetto e che il sonno prima o poi mi portasse via.
Una persona di famiglia mi vegliò tutta la notte, rimanendo seduta nello spazio libero del divano. Non aveva con me punti di contatto, si limitò ad essere presente e disponibile qualora avessi avuto bisogno di qualcosa. Probabilmente verso mattina fui sopraffatta dal sonno e finalmente mi addormentai.
In tarda mattinata mi svegliai che mi sentivo molto meglio. Fu solo successivamente, durante la giornata, che mi riaffiorò la sensazione di non essere stata sola in quell’esperienza di dolore e la consapevolezza di quanto benessere avevo ricevuto da quella compagnia discreta e, al tempo stesso, risoluta. Sento ancora gratitudine ripensando all’accaduto.
Offrire qualità di presenza nella relazione di cura, nella mia esperienza, significa proprio questo. Come dice un proverbio buddista è non limitarsi a fare qualcosa ma, prima di tutto, essere ed esser-ci per l’altro.
Questa intenzione ha un grande valore soprattutto in quella particolare relazione di cura che è lo stare accanto a chi è fragile a causa della demenza. Un tipo di relazione che spesso ci fa sentire impotenti di fronte ad una condizione della mente così ineffabile, a degli stati emotivi così difficili da raggiungere.
Vivere il momento presente in questa relazione è qualcosa che non ha a che fare solo con l’altro ma anche con me.
Si tratta di essere in connessione con ciò che è vivo nell’altro (a livello di emozioni e bisogni), rimanendo connessi anche con ciò che è vivo in noi, con un atteggiamento aperto, accogliente, non giudicante.
Quando riusciamo ad essere presenti a noi stessi e a guardare con benevolenza i nostri bisogni più profondi, riusciamo a contattare in noi anche quell’energia vitale che ci apre a nuove possibilità.
Allo stesso modo, offrire presenza a chi è fragile nei pensieri a causa della demenza, significa aiutarlo/a a connettersi con la vita che c’è in lui/lei e che ancora si può esprimere.
Facciamoci catturare dalla bellezza delle relazioni che viviamo. Questo ci aiuterà molto a vivere il momento.