Un colloquio inusuale

Faccio click sul salvataggio file. Anche per oggi ho finito con le registrazioni.

Il colloquio di oggi ha qualcosa di inusuale. Mi sento scossa. Mi è entrato dentro.

La storia di Dafne sembra un’eco.

Si dice che ci sono anime che vibrano con la stessa intensità. Quasi a dire che il mondo è un enorme auditorium dove ogni musicista mette alla prova il suo strumento.

Ma c’è chi, senza volerlo, finisce con l’emettere le stesse note.

Chi è Dafne

Dafne vive al terzo piano della nostra struttura: occhi grigi che scrutano il mondo, perforandolo; andatura indomita, di chi è abituato a combattere le proprie lotte in solitudine.

Ci ha raggiunto circa due mesi fa, in dimissione ospedaliera.

A casa non poteva tornare: aveva dato fuoco a uno scatolone posizionato all’entrata del suo condominio, rischiando di mandare a fuoco tutto il palazzo.

Nessuno aveva capito il perché di quel gesto, o meglio: nessuno aveva indagato.

Non ce n’era bisogno, perché Dafne era da sempre una signora strana, misteriosa e imprevedibile.

C’è chi dice di averla vista più volte parlare sola.

Ora è diventata anche pericolosa, per sé stessa e per gli altri.

Bambina stupida, ragazza bellissima

Scavo nel passato e scopro che è stata una bambina con disturbi dell’apprendimento.

A scuola è stata bocciata più di una volta. Così si è conquistata l’appellativo della “stupida” della casa.

Una volta diventata adolescente si è trasformata in una bellissima ragazza.

Viene però purtroppo adocchiata ben presto da un famoso professore, conosciuto all’università, dove Dafne è impiegata.

Dafne lavora silenziosamente, ignara di essersi trasformata, di colpo, da bambina senza casa, a preda.

Lui, adulto e abbiente, la sceglie. È sua, e per lei non c’è più scampo.

Semplicemente attendere

Costruisce attorno a Dafne il suo piccolo mondo dei balocchi, quel porto sicuro dove evadere quando lo stress si fa pressante.

Sì, perché la vita di lui è complicata.

Fatta di impegni di lavoro, responsabilità familiari, viaggi internazionali, successi da raggiungere, trofei da esibire. Non è facile stare sempre sul palco dei vincenti.

Ed è allora che deve entrare in scena Dafne.

Lei, che è stata strappata al suo lavoro e rinchiusa in un appartamento di lusso del centro storico. Lì deve stare, tranquilla, e semplicemente attenderlo.

Così Dafne, vomitata dall’utero materno, trova apparente accoglimento tra quelle braccia forti, che sembrano farla sentire al sicuro, protetta.

Non si accorge che piano piano la afferrano sempre più stretta e, giorno dopo giorno, la stritolano.

Guardare il mondo fuori

Fin quando una bambina le sussurra all’orecchio «Stai attenta! Non fidarti! Sta scappando».

È una voce sommessa inizialmente, poi a mano a mano comincia a farsi sempre più acuta. La coglie di sorpresa ogni volta.

Dafne cerca la bambina, ma non la trova.

«Chi sei?», chiede.

La bambina se n’è già andata via.

Poi torna, inesorabile, torna. È un avvertimento. Sente che lei vuole proteggerla. Vorrebbe ascoltarla, seguirla, ma le sfugge sempre.

«Dove vai? Non scappare! Spiegami! Ho bisogno di capire!», urla Dafne nel vuoto della sua stanza.

Questo perché Dafne vive sola soletta in un castello, non deve occuparsi di nulla durante il giorno. Non deve preparare pasti o fare lavatrici. Lei deve semplicemente aspettare.

Ha imparato ad aspettare: aspettare che qualcuno le apra la porta, la finestra… Quella finestra a cui a lei piace tanto affacciarsi, fin da quando era piccolina.

Ricorda ancora come in classe la maestra la riprendeva perché si distraeva guardando fuori dalla finestra.

Lei sperava che in quel “là fuori” ci fosse qualcosa di bello, una parola gentile, uno sguardo amorevole, una scintilla di vita, qualcosa di diverso da tutto il freddo delle mura domestiche e scolastiche.

Talvolta Dafne sente dentro di sé il desiderio di provare a parlare con le persone che vede oltre la finestra, le vorrebbe raggiungere, scambiare una parola gentile. Se solo la lasciasse uscire. Uscire però significherebbe potersi smarrire. Lei che si perdeva semplicemente nel tragitto scuola-casa.

No meglio di no, meglio aspettarlo.

Curiosa sì, ma senza volare

E così sono passati 55 anni.

55 anni fatti di giorni, di minuti, di secondi carichi di nostalgia per i pochi attimi vissuti assieme.

Momenti sacri, perché rubati alla famiglia di lui, al lavoro di lui.

Dafne aveva ben capito da subito la lezione.

Doveva gustarsi i momenti, non lamentarsi, non avanzare richieste. Essere obbediente e tacere. Tutto sarebbe andato per il meglio.

La bambina stupida era stata infilata nella gabbietta dorata.

Doveva cinguettare a comando, dondolarsi allegramente sull’altalena e rimanere lì, dentro, rinchiusa.

Poteva guardare il mondo, perché andava bene che fosse curiosa – altrimenti avrebbe annoiato chiunque – ma non doveva azzardarsi a spiccare il volo.

Finalmente Casa

Il destino ha voluto che quell’uccellino planasse proprio da noi.

Era stato deciso che qui sarebbe stata protetta e al sicuro, non avrebbe fatto del male, né a sé stessa né agli altri. Sarebbe stata bene.

In quell’istante, in quel click in cui ho chiuso la cartella dove avevo registrato la storia della nostra nuova residente, ho però deciso in cuor mio che questa non poteva essere la sua ennesima gabbia.

Doveva e poteva essere la sua prima Casa.

Forse era tardi… chi poteva saperlo?

Ma io e l’equipe intera avremmo provato a chiamare a noi quella bimba stupida, che guardava fuori dalla finestra mentre i suoi compagni facevano i compiti.

L’avremmo chiamata tra le nostre braccia e le avremmo sussurrato in un orecchio:

«qui c’è posto anche per te».

About the Author: Rossella Cappa

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Assistente sociale presso L'IPAB G. Veronesi di San Pietro In Cariano (VE).

Grazie di cuore

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Un colloquio inusuale

Faccio click sul salvataggio file. Anche per oggi ho finito con le registrazioni.

Il colloquio di oggi ha qualcosa di inusuale. Mi sento scossa. Mi è entrato dentro.

La storia di Dafne sembra un’eco.

Si dice che ci sono anime che vibrano con la stessa intensità. Quasi a dire che il mondo è un enorme auditorium dove ogni musicista mette alla prova il suo strumento.

Ma c’è chi, senza volerlo, finisce con l’emettere le stesse note.

Chi è Dafne

Dafne vive al terzo piano della nostra struttura: occhi grigi che scrutano il mondo, perforandolo; andatura indomita, di chi è abituato a combattere le proprie lotte in solitudine.

Ci ha raggiunto circa due mesi fa, in dimissione ospedaliera.

A casa non poteva tornare: aveva dato fuoco a uno scatolone posizionato all’entrata del suo condominio, rischiando di mandare a fuoco tutto il palazzo.

Nessuno aveva capito il perché di quel gesto, o meglio: nessuno aveva indagato.

Non ce n’era bisogno, perché Dafne era da sempre una signora strana, misteriosa e imprevedibile.

C’è chi dice di averla vista più volte parlare sola.

Ora è diventata anche pericolosa, per sé stessa e per gli altri.

Bambina stupida, ragazza bellissima

Scavo nel passato e scopro che è stata una bambina con disturbi dell’apprendimento.

A scuola è stata bocciata più di una volta. Così si è conquistata l’appellativo della “stupida” della casa.

Una volta diventata adolescente si è trasformata in una bellissima ragazza.

Viene però purtroppo adocchiata ben presto da un famoso professore, conosciuto all’università, dove Dafne è impiegata.

Dafne lavora silenziosamente, ignara di essersi trasformata, di colpo, da bambina senza casa, a preda.

Lui, adulto e abbiente, la sceglie. È sua, e per lei non c’è più scampo.

Semplicemente attendere

Costruisce attorno a Dafne il suo piccolo mondo dei balocchi, quel porto sicuro dove evadere quando lo stress si fa pressante.

Sì, perché la vita di lui è complicata.

Fatta di impegni di lavoro, responsabilità familiari, viaggi internazionali, successi da raggiungere, trofei da esibire. Non è facile stare sempre sul palco dei vincenti.

Ed è allora che deve entrare in scena Dafne.

Lei, che è stata strappata al suo lavoro e rinchiusa in un appartamento di lusso del centro storico. Lì deve stare, tranquilla, e semplicemente attenderlo.

Così Dafne, vomitata dall’utero materno, trova apparente accoglimento tra quelle braccia forti, che sembrano farla sentire al sicuro, protetta.

Non si accorge che piano piano la afferrano sempre più stretta e, giorno dopo giorno, la stritolano.

Guardare il mondo fuori

Fin quando una bambina le sussurra all’orecchio «Stai attenta! Non fidarti! Sta scappando».

È una voce sommessa inizialmente, poi a mano a mano comincia a farsi sempre più acuta. La coglie di sorpresa ogni volta.

Dafne cerca la bambina, ma non la trova.

«Chi sei?», chiede.

La bambina se n’è già andata via.

Poi torna, inesorabile, torna. È un avvertimento. Sente che lei vuole proteggerla. Vorrebbe ascoltarla, seguirla, ma le sfugge sempre.

«Dove vai? Non scappare! Spiegami! Ho bisogno di capire!», urla Dafne nel vuoto della sua stanza.

Questo perché Dafne vive sola soletta in un castello, non deve occuparsi di nulla durante il giorno. Non deve preparare pasti o fare lavatrici. Lei deve semplicemente aspettare.

Ha imparato ad aspettare: aspettare che qualcuno le apra la porta, la finestra… Quella finestra a cui a lei piace tanto affacciarsi, fin da quando era piccolina.

Ricorda ancora come in classe la maestra la riprendeva perché si distraeva guardando fuori dalla finestra.

Lei sperava che in quel “là fuori” ci fosse qualcosa di bello, una parola gentile, uno sguardo amorevole, una scintilla di vita, qualcosa di diverso da tutto il freddo delle mura domestiche e scolastiche.

Talvolta Dafne sente dentro di sé il desiderio di provare a parlare con le persone che vede oltre la finestra, le vorrebbe raggiungere, scambiare una parola gentile. Se solo la lasciasse uscire. Uscire però significherebbe potersi smarrire. Lei che si perdeva semplicemente nel tragitto scuola-casa.

No meglio di no, meglio aspettarlo.

Curiosa sì, ma senza volare

E così sono passati 55 anni.

55 anni fatti di giorni, di minuti, di secondi carichi di nostalgia per i pochi attimi vissuti assieme.

Momenti sacri, perché rubati alla famiglia di lui, al lavoro di lui.

Dafne aveva ben capito da subito la lezione.

Doveva gustarsi i momenti, non lamentarsi, non avanzare richieste. Essere obbediente e tacere. Tutto sarebbe andato per il meglio.

La bambina stupida era stata infilata nella gabbietta dorata.

Doveva cinguettare a comando, dondolarsi allegramente sull’altalena e rimanere lì, dentro, rinchiusa.

Poteva guardare il mondo, perché andava bene che fosse curiosa – altrimenti avrebbe annoiato chiunque – ma non doveva azzardarsi a spiccare il volo.

Finalmente Casa

Il destino ha voluto che quell’uccellino planasse proprio da noi.

Era stato deciso che qui sarebbe stata protetta e al sicuro, non avrebbe fatto del male, né a sé stessa né agli altri. Sarebbe stata bene.

In quell’istante, in quel click in cui ho chiuso la cartella dove avevo registrato la storia della nostra nuova residente, ho però deciso in cuor mio che questa non poteva essere la sua ennesima gabbia.

Doveva e poteva essere la sua prima Casa.

Forse era tardi… chi poteva saperlo?

Ma io e l’equipe intera avremmo provato a chiamare a noi quella bimba stupida, che guardava fuori dalla finestra mentre i suoi compagni facevano i compiti.

L’avremmo chiamata tra le nostre braccia e le avremmo sussurrato in un orecchio:

«qui c’è posto anche per te».

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