C’è chi sostiene che sia meglio lasciarsi alle spalle i ricordi della pandemia. Ma dimenticare significa anche rischiare di perdere ciò che abbiamo imparato. La storia di ASP Montedomini, che ha dato vita alla prima RSA Total Covid della Toscana, non è solo un resoconto di quei giorni drammatici, ma una testimonianza di coraggio, scelte difficili e umanità.
In questo articolo ripercorriamo quell’esperienza attraverso le voci di chi l’ha vissuta in prima linea, per capire cosa ha significato allora per loro e quale eredità lascia oggi a tutti noi.
Si ringraziano Emanuele Pellicanò, Silvia Senatori e Giulia Fabbrucci, rispettivamente Direttore, Responsabile dei Servizi Assistenza Disabili e Anziani, e Responsabile della Comunicazione Istituzionale di ASP Firenze Montedomini, per le testimonianze che hanno scelto di condividere, in favore di una rilettura dell’identità delle RSA e di quanto accaduto in questi luoghi in tempo di pandemia.
Il coraggio di sbagliare
Ricordiamo tutti quella sensazione mista di ansia e dubbio che ci attraversò il 21 febbraio 2020, quando apprendemmo che il Covid era ormai certamente tra noi, qui, in Italia.
Così come ricordiamo che le prime notizie che circolavano sulle modalità di diffusione del Virus erano poco chiare e spesso tra loro contrastanti: c’era per esempio chi mostrava scetticismo sul fatto che il semplice contatto fisico fosse sufficiente per la trasmissione.
Inoltre, come sappiamo, se a ospedali, ambulatori e studi medici arrivarono fin dal 22 febbraio delle chiare linee guida nazionali con una circolare del Ministero della Salute(1), il mondo RSA, più frammentato e meno noto nella sua natura, non ricevette le stesse attenzioni.
In questo contesto di incertezza e assenza di linee guida nazionali, si mosse con coraggio in quei giorni il direttore Emanuele Pellicanò, che chiamò in sala riunioni tutti i responsabili degli uffici e il consulente medico della struttura, per chiedere loro un confronto e decidere quindi subito di chiudere le porte di tutte le strutture di ASP Firenze Montedomini:
“Era una situazione in cui si doveva decidere velocemente per il sì o per il no alla chiusura. Capimmo che se era vero che il Covid passava dalle mani, ogni centimetro di questo luogo sarebbe stato a rischio. Sarebbe stata la tempesta perfetta”.
L’obiettivo fu dunque quello di proteggere le persone vulnerabili che lì dentro vivevano e tutti coloro che vi lavoravano. Ma fu una responsabilità che l’Ente, nella persona di Pellicanò, dovette prendersi in totale autonomia.
Al contempo, non fu facile scrivere una comunicazione per parenti e visitatori, avendo loro scelto di sbilanciarsi senza una cornice regolativa di riferimento. Non avevano diritto di far passare la scelta come un’indicazione “dall’alto” e non avevano evidenze, in quel momento, per dimostrare che i rischi erano reali.

Il direttore e lo staff di direzione scrissero così autonomamente delle linee di indirizzo, andando incontro con pazienza alle reazioni di rabbia e di scontento che sorsero tra molti operatori e familiari.
La prima RSA total Covid della Toscana
Seguirono giorni molto difficili, dove la fatica di “resistere” all’interno si mescolava alla tristezza di sentirsi ingiustamente visti, all’esterno, come “la causa del male”.
Nel frattempo, come ricordiamo, il virus dilagava nel nostro Paese e gli ospedali erano arrivati nel mese di marzo 2020 al limite di tolleranza della pressione.
Fu in quel mese che Montedomini insieme alla SdS Firenze avviarono la prima esperienza di “RSA total Covid” della Regione Toscana(2), interamente gestita dall’ASP in integrazione con SdS/AUSL TC e personale della cooperativa che allora operava all’interno dell’Ente.
L’obiettivo era non solo quello di allentare la pressione sugli ospedali, ma anche di evitare di rimandare persone positive in RSA covid free, così come di aiutare persone anziane positive che al domicilio non avrebbero potuto avere le cure adeguate.
Era però un’impresa che richiedeva un grande sforzo organizzativo, come mi racconta la dottoressa Silvia Senatori, ai tempi infermiere con incarico di responsabile dei servizi territoriali ASL, attualmente responsabile dei servizi socioassistenziali di Montedomini:
“Fu molto difficile per gli operatori abituati a lavorare in RSA passare, dall’oggi al domani, a un’alta intensità. In particolare il salto più grosso fu per gli infermieri, che non erano abituati a doversi prendere cura tutti i giorni di persone a rischio di vita e la stretta collaborazione con i geriatri e gli infermieri del GIROT si rivelò essere elemento determinante“.
Di fatto quindi la cooperativa accettò una grande sfida e, di nuovo, tutte le decisioni cruciali vennero prese in pochissimo tempo.
“Fu un’operazione complessa sotto molti punti di vista”, prosegue Pellicanò, “che scegliemmo di affrontare anche perché proprio in quel momento avevamo una struttura vuota.
Ma anche solo far arrivare in tempi record gli arredi, accogliere i montatori e far montare loro tutto in due giorni, fu complicatissimo”.
“Eppure fu un’esperienza di grande integrazione tra il personale che operava in Montedomini e il territorio, che rifornì anche tutti i presidi sanitari necessari”, conclude Senatori, “e i risultati positivi non sono mancati: gli operatori riuscirono a curare e salvare molte persone, il tasso di sopravvivenza fu altissimo.
Per gli operatori di Montedomini l’RSA total Covid è servita moltissimo perché, anche quando è stata chiusa, le competenze sono rimaste; e questo da un lato li ha fatti sentire più orgogliosi del loro lavoro e dall’altro è stato utile per gestire meglio anche altri tipi di virus influenzali”.
Si trattava infatti di competenze di cui in qualche modo le RSA avevano già bisogno, anche prima della pandemia.
Il Covid-19 infatti ha avuto un particolare tempismo: è arrivato nel nostro Paese proprio in un’epoca storica in cui le RSA stavano abbracciando una trasformazione verso un più elevato grado di sanitarizzazione (3).
È emersa cioè in quel momento una fragilità connaturata alla gran parte di queste strutture, che negli anni precedenti si erano impegnate prima di tutto a essere “Case”, sviluppando soprattutto competenze sociali e relazionali, anche al fine di aprirsi e integrarsi sempre meglio con il territorio e la cittadinanza.
Aria di Basaglia
Una cultura della cura, questa, che all’interno di Montedomini si era fatta strada in modo importante proprio sotto la direzione di Emanuele Pellicanò:
“È stata l’esperienza della psichiatria fiorentina a contagiarmi”, spiega Pellicanò: “qui a Firenze la cultura portata da Basaglia ha fatto da scuola di come ci si apre alla città, al territorio e alla cultura”.
Un contagio pressoché inevitabile, vien da dire, dal momento che fu proprio suo padre, il medico Carmelo Pellicanò, a chiudere il famoso manicomio San Salvi di Firenze.
Chiudere, in quel caso, significava in realtà aprire i cancelli: questo accadde a San Salvi, la cosiddetta “città negata”, che divenne finalmente “città aperta” quando Carmelo Pellicanò accompagnò l’ultimo ospite a uscire nell’ormai lontano 13 dicembre 1998.
Un contesto storico completamente diverso da quello in cui si trovò immerso Emanuele Pellicanò allo scoppio della pandemia, che ancora una volta ci fa riflettere su quanto il parallelismo tra l’esperienza basagliana di allora e quella delle RSA di oggi non possa essere presentato in modo semplicistico(4).
I Malcontenti di oggi
Per una complessità di fattori sociali, economici e culturali, infatti, le persone oggi arrivano alle nostre strutture sempre più tardi, in condizioni di maggiore compromissione dello stato di salute e sociale rispetto al passato, restando talvolta solo per pochi mesi in quella che sarà probabilmente la loro ultima Casa (5).
L’RSA è quindi molto spesso l’unica alternativa che rimane alle famiglie quando non è più possibile aver cura dei propri cari in modo adeguato al domicilio, con tutto l’inevitabile groviglio di sentimenti negativi che ne consegue al momento dell’ingresso(6).
D’altro canto, è forse proprio anche in virtù di queste ragioni che agli occhi di molti cittadini le strutture non possono assumere un’immagine fondamentalmente positiva.
Il caso di Montedomini è in questo senso l’emblema di un’Istituzione che ha da sempre dovuto “lottare” con una percezione negativa radicata a priori:
“I fiorentini hanno da sempre di noi l’idea di un luogo non fortunato, perché l’Istituzione nacque a fine Quattrocento per accogliere gli appestati. Sorse qui, ai margini, accanto al carcere della città, proprio nella via chiamata ‘Dei Malcontenti’, che erano le persone che venivano portate al patibolo.
Poi si trasformò in IPAB per accogliere bisognosi e indigenti, perché la mendicità era considerata reato.
Solo dopo l’alluvione del ’66 iniziò il proprio percorso di riconversione in RSA, fino ad arrivare ad ora, che accoglie persone anziane ormai nella loro fase finale della vita”.
I Malcontenti nel tempo cambiano, ma non esiste epoca storica che non ne tenga in grembo. Oggi, nel nostro Paese, pare che tocchi alle RSA l’arduo ruolo di accompagnarli.
Questo rende sempre più necessario investire in termini di comunicazione, non solo nei riguardi delle famiglie che già sono “dentro” (prime potenziali e fondamentali alleate), ma anche verso tutte quelle numerosissime famiglie che sono “là fuori” e potrebbero – come no – varcare un giorno le porte di una struttura.
Per loro – e per tutti noi – resta fondamentale scattare una fotografia più ampia della vecchiaia e della morte, proprio come i Basagliani ci mostrarono, alla loro epoca, un’altra faccia della malattia mentale.
Note
- Circolare ministeriale n. 5443 del 22/02/2020, che imponeva un regime di severo lockdown e forniva indicazioni precise sulle misure da applicare.
- Ricordiamo che il Ministero della Salute emanerà proprio il 25 marzo 2020 un “Aggiornamento delle linee di indirizzo organizzative dei servizi ospedalieri e territoriali in corso di emergenza Covid-19”, dove sarà presente finalmente un paragrafo ad hoc dedicato alle RSA, alle quali verrà chiesto di organizzarsi interamente o per nuclei atti a ospitare pazienti infetti dal virus.
- C. Ranci, Cronaca di una strage nascosta. La pandemia nelle case di riposo, Mimesis 2023, p. 163. Questo era particolarmente vero per Regione Toscana, dove tra l’altro per normativa non è prevista la figura di Direttore Sanitario per la RSA. E dove dunque si creò subito un nodo problematico al momento del DPCM del 4 marzo 2020, che scaricava tutte le scelte sulle direzioni sanitarie delle strutture. Ricordiamo che il DPCM del 4 marzo disponeva la chiusura di scuole e luoghi pubblici, ma non delle RSA, per le quali si prevedeva invece solo una limitazione degli accessi, a discrezione, appunto, delle direzioni sanitarie. Ho già presentato un’analisi di cause e implicazioni di questi ritardi nell’articolo: “Morti invisibili. I primi 44 giorni di pandemia all’interno delle RSA”.
- Ci si riferisce qui in particolare alla narrazione che si è diffusa subito dopo i primi mesi di pandemia secondo la quale sarebbe stata l’istituzionalizzazione stessa la causa dell’elevato numero di decessi di persone anziane residenti in struttura e si sarebbe pertanto dovuta prevedere la chiusura delle RSA, proprio come un tempo fu proposta e attuata la chiusura dei manicomi (cfr. Editrice Dapero, Chiudiamo le RSA?).
- Gruppo di Lavoro ISS Bioetica Covid-19, Assistenza sociosanitaria residenziale agli anziani non autosufficienti: profili bioetici e biogiuridici. 10 marzo 2021, e il VII rapporto del Network Non Autosufficienza, L’assistenza agli anziani non autosufficienti in Italia, 2020-201.
- (Abbiamo parlato di questo tema nell’articolo L’ingresso in RSA: riflessioni sull’accoglienza delle famiglie in struttura, a cura di Sara Sabbadin).
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C’è chi sostiene che sia meglio lasciarsi alle spalle i ricordi della pandemia. Ma dimenticare significa anche rischiare di perdere ciò che abbiamo imparato. La storia di ASP Montedomini, che ha dato vita alla prima RSA Total Covid della Toscana, non è solo un resoconto di quei giorni drammatici, ma una testimonianza di coraggio, scelte difficili e umanità.
In questo articolo ripercorriamo quell’esperienza attraverso le voci di chi l’ha vissuta in prima linea, per capire cosa ha significato allora per loro e quale eredità lascia oggi a tutti noi.
Si ringraziano Emanuele Pellicanò, Silvia Senatori e Giulia Fabbrucci, rispettivamente Direttore, Responsabile dei Servizi Assistenza Disabili e Anziani, e Responsabile della Comunicazione Istituzionale di ASP Firenze Montedomini, per le testimonianze che hanno scelto di condividere, in favore di una rilettura dell’identità delle RSA e di quanto accaduto in questi luoghi in tempo di pandemia.
Il coraggio di sbagliare
Ricordiamo tutti quella sensazione mista di ansia e dubbio che ci attraversò il 21 febbraio 2020, quando apprendemmo che il Covid era ormai certamente tra noi, qui, in Italia.
Così come ricordiamo che le prime notizie che circolavano sulle modalità di diffusione del Virus erano poco chiare e spesso tra loro contrastanti: c’era per esempio chi mostrava scetticismo sul fatto che il semplice contatto fisico fosse sufficiente per la trasmissione.
Inoltre, come sappiamo, se a ospedali, ambulatori e studi medici arrivarono fin dal 22 febbraio delle chiare linee guida nazionali con una circolare del Ministero della Salute(1), il mondo RSA, più frammentato e meno noto nella sua natura, non ricevette le stesse attenzioni.
In questo contesto di incertezza e assenza di linee guida nazionali, si mosse con coraggio in quei giorni il direttore Emanuele Pellicanò, che chiamò in sala riunioni tutti i responsabili degli uffici e il consulente medico della struttura, per chiedere loro un confronto e decidere quindi subito di chiudere le porte di tutte le strutture di ASP Firenze Montedomini:
“Era una situazione in cui si doveva decidere velocemente per il sì o per il no alla chiusura. Capimmo che se era vero che il Covid passava dalle mani, ogni centimetro di questo luogo sarebbe stato a rischio. Sarebbe stata la tempesta perfetta”.
L’obiettivo fu dunque quello di proteggere le persone vulnerabili che lì dentro vivevano e tutti coloro che vi lavoravano. Ma fu una responsabilità che l’Ente, nella persona di Pellicanò, dovette prendersi in totale autonomia.
Al contempo, non fu facile scrivere una comunicazione per parenti e visitatori, avendo loro scelto di sbilanciarsi senza una cornice regolativa di riferimento. Non avevano diritto di far passare la scelta come un’indicazione “dall’alto” e non avevano evidenze, in quel momento, per dimostrare che i rischi erano reali.

Il direttore e lo staff di direzione scrissero così autonomamente delle linee di indirizzo, andando incontro con pazienza alle reazioni di rabbia e di scontento che sorsero tra molti operatori e familiari.
La prima RSA total Covid della Toscana
Seguirono giorni molto difficili, dove la fatica di “resistere” all’interno si mescolava alla tristezza di sentirsi ingiustamente visti, all’esterno, come “la causa del male”.
Nel frattempo, come ricordiamo, il virus dilagava nel nostro Paese e gli ospedali erano arrivati nel mese di marzo 2020 al limite di tolleranza della pressione.
Fu in quel mese che Montedomini insieme alla SdS Firenze avviarono la prima esperienza di “RSA total Covid” della Regione Toscana(2), interamente gestita dall’ASP in integrazione con SdS/AUSL TC e personale della cooperativa che allora operava all’interno dell’Ente.
L’obiettivo era non solo quello di allentare la pressione sugli ospedali, ma anche di evitare di rimandare persone positive in RSA covid free, così come di aiutare persone anziane positive che al domicilio non avrebbero potuto avere le cure adeguate.
Era però un’impresa che richiedeva un grande sforzo organizzativo, come mi racconta la dottoressa Silvia Senatori, ai tempi infermiere con incarico di responsabile dei servizi territoriali ASL, attualmente responsabile dei servizi socioassistenziali di Montedomini:
“Fu molto difficile per gli operatori abituati a lavorare in RSA passare, dall’oggi al domani, a un’alta intensità. In particolare il salto più grosso fu per gli infermieri, che non erano abituati a doversi prendere cura tutti i giorni di persone a rischio di vita e la stretta collaborazione con i geriatri e gli infermieri del GIROT si rivelò essere elemento determinante“.
Di fatto quindi la cooperativa accettò una grande sfida e, di nuovo, tutte le decisioni cruciali vennero prese in pochissimo tempo.
“Fu un’operazione complessa sotto molti punti di vista”, prosegue Pellicanò, “che scegliemmo di affrontare anche perché proprio in quel momento avevamo una struttura vuota.
Ma anche solo far arrivare in tempi record gli arredi, accogliere i montatori e far montare loro tutto in due giorni, fu complicatissimo”.
“Eppure fu un’esperienza di grande integrazione tra il personale che operava in Montedomini e il territorio, che rifornì anche tutti i presidi sanitari necessari”, conclude Senatori, “e i risultati positivi non sono mancati: gli operatori riuscirono a curare e salvare molte persone, il tasso di sopravvivenza fu altissimo.
Per gli operatori di Montedomini l’RSA total Covid è servita moltissimo perché, anche quando è stata chiusa, le competenze sono rimaste; e questo da un lato li ha fatti sentire più orgogliosi del loro lavoro e dall’altro è stato utile per gestire meglio anche altri tipi di virus influenzali”.
Si trattava infatti di competenze di cui in qualche modo le RSA avevano già bisogno, anche prima della pandemia.
Il Covid-19 infatti ha avuto un particolare tempismo: è arrivato nel nostro Paese proprio in un’epoca storica in cui le RSA stavano abbracciando una trasformazione verso un più elevato grado di sanitarizzazione (3).
È emersa cioè in quel momento una fragilità connaturata alla gran parte di queste strutture, che negli anni precedenti si erano impegnate prima di tutto a essere “Case”, sviluppando soprattutto competenze sociali e relazionali, anche al fine di aprirsi e integrarsi sempre meglio con il territorio e la cittadinanza.
Aria di Basaglia
Una cultura della cura, questa, che all’interno di Montedomini si era fatta strada in modo importante proprio sotto la direzione di Emanuele Pellicanò:
“È stata l’esperienza della psichiatria fiorentina a contagiarmi”, spiega Pellicanò: “qui a Firenze la cultura portata da Basaglia ha fatto da scuola di come ci si apre alla città, al territorio e alla cultura”.
Un contagio pressoché inevitabile, vien da dire, dal momento che fu proprio suo padre, il medico Carmelo Pellicanò, a chiudere il famoso manicomio San Salvi di Firenze.
Chiudere, in quel caso, significava in realtà aprire i cancelli: questo accadde a San Salvi, la cosiddetta “città negata”, che divenne finalmente “città aperta” quando Carmelo Pellicanò accompagnò l’ultimo ospite a uscire nell’ormai lontano 13 dicembre 1998.
Un contesto storico completamente diverso da quello in cui si trovò immerso Emanuele Pellicanò allo scoppio della pandemia, che ancora una volta ci fa riflettere su quanto il parallelismo tra l’esperienza basagliana di allora e quella delle RSA di oggi non possa essere presentato in modo semplicistico(4).
I Malcontenti di oggi
Per una complessità di fattori sociali, economici e culturali, infatti, le persone oggi arrivano alle nostre strutture sempre più tardi, in condizioni di maggiore compromissione dello stato di salute e sociale rispetto al passato, restando talvolta solo per pochi mesi in quella che sarà probabilmente la loro ultima Casa (5).
L’RSA è quindi molto spesso l’unica alternativa che rimane alle famiglie quando non è più possibile aver cura dei propri cari in modo adeguato al domicilio, con tutto l’inevitabile groviglio di sentimenti negativi che ne consegue al momento dell’ingresso(6).
D’altro canto, è forse proprio anche in virtù di queste ragioni che agli occhi di molti cittadini le strutture non possono assumere un’immagine fondamentalmente positiva.
Il caso di Montedomini è in questo senso l’emblema di un’Istituzione che ha da sempre dovuto “lottare” con una percezione negativa radicata a priori:
“I fiorentini hanno da sempre di noi l’idea di un luogo non fortunato, perché l’Istituzione nacque a fine Quattrocento per accogliere gli appestati. Sorse qui, ai margini, accanto al carcere della città, proprio nella via chiamata ‘Dei Malcontenti’, che erano le persone che venivano portate al patibolo.
Poi si trasformò in IPAB per accogliere bisognosi e indigenti, perché la mendicità era considerata reato.
Solo dopo l’alluvione del ’66 iniziò il proprio percorso di riconversione in RSA, fino ad arrivare ad ora, che accoglie persone anziane ormai nella loro fase finale della vita”.
I Malcontenti nel tempo cambiano, ma non esiste epoca storica che non ne tenga in grembo. Oggi, nel nostro Paese, pare che tocchi alle RSA l’arduo ruolo di accompagnarli.
Questo rende sempre più necessario investire in termini di comunicazione, non solo nei riguardi delle famiglie che già sono “dentro” (prime potenziali e fondamentali alleate), ma anche verso tutte quelle numerosissime famiglie che sono “là fuori” e potrebbero – come no – varcare un giorno le porte di una struttura.
Per loro – e per tutti noi – resta fondamentale scattare una fotografia più ampia della vecchiaia e della morte, proprio come i Basagliani ci mostrarono, alla loro epoca, un’altra faccia della malattia mentale.
Note
- Circolare ministeriale n. 5443 del 22/02/2020, che imponeva un regime di severo lockdown e forniva indicazioni precise sulle misure da applicare.
- Ricordiamo che il Ministero della Salute emanerà proprio il 25 marzo 2020 un “Aggiornamento delle linee di indirizzo organizzative dei servizi ospedalieri e territoriali in corso di emergenza Covid-19”, dove sarà presente finalmente un paragrafo ad hoc dedicato alle RSA, alle quali verrà chiesto di organizzarsi interamente o per nuclei atti a ospitare pazienti infetti dal virus.
- C. Ranci, Cronaca di una strage nascosta. La pandemia nelle case di riposo, Mimesis 2023, p. 163. Questo era particolarmente vero per Regione Toscana, dove tra l’altro per normativa non è prevista la figura di Direttore Sanitario per la RSA. E dove dunque si creò subito un nodo problematico al momento del DPCM del 4 marzo 2020, che scaricava tutte le scelte sulle direzioni sanitarie delle strutture. Ricordiamo che il DPCM del 4 marzo disponeva la chiusura di scuole e luoghi pubblici, ma non delle RSA, per le quali si prevedeva invece solo una limitazione degli accessi, a discrezione, appunto, delle direzioni sanitarie. Ho già presentato un’analisi di cause e implicazioni di questi ritardi nell’articolo: “Morti invisibili. I primi 44 giorni di pandemia all’interno delle RSA”.
- Ci si riferisce qui in particolare alla narrazione che si è diffusa subito dopo i primi mesi di pandemia secondo la quale sarebbe stata l’istituzionalizzazione stessa la causa dell’elevato numero di decessi di persone anziane residenti in struttura e si sarebbe pertanto dovuta prevedere la chiusura delle RSA, proprio come un tempo fu proposta e attuata la chiusura dei manicomi (cfr. Editrice Dapero, Chiudiamo le RSA?).
- Gruppo di Lavoro ISS Bioetica Covid-19, Assistenza sociosanitaria residenziale agli anziani non autosufficienti: profili bioetici e biogiuridici. 10 marzo 2021, e il VII rapporto del Network Non Autosufficienza, L’assistenza agli anziani non autosufficienti in Italia, 2020-201.
- (Abbiamo parlato di questo tema nell’articolo L’ingresso in RSA: riflessioni sull’accoglienza delle famiglie in struttura, a cura di Sara Sabbadin).