L’evoluzione del metodo Validation si ritrova ben espressa nella seconda edizione del libro Non trovo le parole. Il metodo Validation per comunicare con la persona affetta da demenza (Editrice Dapero 2020). In un trentennio di pratica è stato necessario integrare e rivedere alcune idee fondamentali del metodo. Scopriamo quali e perché!


A cura di Cinzia Siviero, Silvia Pellegrini, Ilaria Giardini ed Elisa Canestrari

Una cura per la persona affetta da demenza: la relazione

Un’interessante riflessione intorno al concetto di cura, argomentata da Daniele Roccon nel suo testo La Nave dei pazzi (Editrice Dapero 2020), è molto cara al metodo Validation[1] (approccio del quale abbiamo già parlato qui su rivistacura, finalizzato al miglioramento della relazione tra l’anziano con deterioramento cognitivo e la persona che se ne prende cura). L’autore, nel capitolo La relazione di cura, ragiona sul fatto che non è possibile separare il curare (to cure) in quanto azione terapeutica, dal farsi carico emotivamente, avere a cuore (to care). Senza un investimento emotivo ed affettivo, quindi relazionale, la cura risulterebbe a suo parere enormemente impoverita.

Nella cura della persona affetta da demenza in particolare la relazione è modalità di cura. Naomi Feil,in un’epoca in cui la medicina si teneva ben lontana dal to care e dal considerare l’uomo nella sua complessità, diede molta importanza alla relazione poiché osservò nella sua pratica che a seconda di come si approcciava agli anziani, gli effetti della comunicazione stessa cambiavano enormemente: proporre ragionamenti per esempio non dava buoni frutti, senonché nelle primissime fasi, imbrogliare comprometteva il rapporto di fiducia.

Con un atteggiamento più concentrato sull’accoglienza emozionale e sull’accettazione, quindi più legittimante, le cose cambiavano; per una relazione di questo tipo era fondamentale avere a cuore l’altro, contattarlo profondamente.

HOMES

I fattori psico-sociali che incidono sui disturbi del comportamento

La Feil cominciò a sostenere quello che poi diventò il punto di partenza della sua proposta metodologica, cioè che nelle persone molto anziane con disturbi di tipo comportamentale i fattori psico-sociali incidevano fortemente, insieme a quelli fisici, sul disorientamento.

I fattori psico-sociali di cui parlava erano principalmente questi:

  • Risolvere compiti di vita incompiuti. Studiando le vite degli anziani notò che vi erano maggiori comportamenti inadeguati quanto più dalla storia di vita emergeva una sorta di soffocamento dei sentimenti. Gli anziani con cui la Feil lavorava (di età molto avanzata), nella struttura dove il padre era direttore, erano impegnati nel bilancio finale (teoria di E. Erikson): emergevano spesso i nodi irrisolti di una vita in un momento in cui perdite fisiche, psichiche e sociali compromettevano le strategie di adattamento. L’ideatrice del metodo si chiedeva se questa condizione non fosse dovuta a quanto, durante la vita, fossero stati in grado o meno di accogliere i propri conflitti emozionali, le proprie difficoltà. Questo all’epoca non era né culturalmente né scientificamente accettabile.
  • Rivivere eventi del passato. La signora A. spesso si comporta come se gli altri anziani del reparto possano essere ragazzini: i ragazzini della scuola in cui ha lavorato come bidella per una vita. Non crediamo che questo accada unicamente perché la memoria recente non funziona più, facendo emergere le immagini del passato. Con Validation crediamo che ad A. sia molto piaciuto quando faceva la bidella e che rivivere quelle azioni di una vita l’aiuti.
  • Rendere più lieve il vuoto del presente. L’esempio sopra si presta a spiegare anche questo fattore, ma non dimentichiamo di osservare anche le persone maggiormente compromesse: forse anche fare continuamente un rumore con la bocca può riempire un silenzio, un vuoto interiore.
  • Ritirarsi da una quotidianità difficile. Un’operatrice, durante una chiacchierata calda e amorevole, dice alla signora I. che ha notato i suoi occhi chiusi e le chiede se le serve. E lei: «Sì, perché chiudendo gli occhi dimentico quello che vedo».

Le quattro fasi di risoluzione

Questi fattori psicosociali, insieme alla condizione fisica (di perdite) dei grandi anziani con “comportamenti inadeguati”, contribuiscono dunque al disorientamento, all’andamento del percorso dementigeno.

La Feil suddivideva in quattro tappe questo percorso, dette le fasi della RISOLUZIONE. I grandi anziani che lei osservava e studiava infatti entravano in un percorso di risoluzione a modo loro, di rivisitazione di vissuti antichi, di alleggerimento e ritiro da una quotidianità insopportabile, dove i disturbi del comportamento rappresentavano un modo per sopravvivere e andare verso l’ultimo passo.

La definizione che lei dava allora delle quattro fasi era questa: Ia malorientamento, IIa confusione nel tempo, IIIa movimenti ripetitivi e IVa vita vegetativa. Lei non parlava di malattia ma di processo naturale e questa erala popolazione Validation.

Nel suo libro Il metodo Validation, prima edizione italiana del ‘96 Sperling & Kupfer, a pag. 28 troviamo un elenco di caratteristiche di quelli che lei rifiutava di chiamare “dementi”: “Hanno modelli comportamentali non flessibili, si aggrappano a ruoli superati, devono lottare con sentimenti non espressi, si ritirano dalla realtà quotidiana presente per sopravvivere, presentano un grave deterioramento delle capacità cognitive e le loro funzioni intellettive ridotte non permettono più loro l’introspezione.”

L’intuizione di Validation secondo la quale la relazione è cura, nasce in un’epoca in cui la medicina si teneva ben lontana dal to care – dicevamo – e si trova a muovere i primi passi immersa in una cultura della cura che non comprende la relazione. Rappresenta in quel periodo una rivoluzione nell’approccio all’anziano, che passa da un modello biomeccanico, concentrato sul deficit, ad un modello olistico in cui si riconosce la PERSONA nella sua totalità e che propone proprio la relazione come cura. Attuale più che mai in questo.

Le persone con cui la Feil lavorava e su cui basava le sue riflessioni, erano quelle isolate, allontanate da tutti, molto anziane, confuse e con comportamenti disturbanti. Sappiamo oggi che questi anziani hanno spesso forme di demenza miste, una combinazione di malattie. Possiamo inserirvi qualsiasi forma di demenza, ma lo facciamo noi, oggi. Come detto, lei non parlava di malattia, ma di processo naturale.

L’evoluzione del Metodo Validation nel tempo

Successivamente i master e gli insegnanti Validation di tutto il mondo hanno discusso e si sono confrontati con passione su molti temi. Ancora oggi viene fatto; in questo modo Validation cresce, si modifica, si adatta alle nuove esperienze, mantenendo solide le sue fondamenta.

Con l’aiuto di casi studio, anni fa, un gruppo di insegnanti e master ha aggiunto per esempio alle quattro R della Feil un altro possibile fattore psico-sociale: il soddisfacimento dei bisogni umani di base. La signora L., per soddisfare il suo bisogno di sentirsi utile, dopo una vita passata a confezionare abiti, sta ore a stirare con le mani e a piegare gli orli di ogni pezzo di stoffa; quando ci fermiamo accanto a lei, ci aggiusta i vestiti come a verificare che tutto siaa posto.

Qualche giorno fa il signor M. durante una passeggiata in giardino, ci regalava questa considerazione: “La vedi la pianta di cicoria selvatica? Ora è foglioline verdi, tenere e buone per gli animali e il contadino. Poi diventa un fiore giallo che dà sostanza alle api; ed infine si trasforma in un soffione per regalare i suoi semi al vento per far nascere nuove cicorie. Le cose dovrebbero andare come per la cicoria: si deve cambiare e adattarsi per essere utili”.

Il metodo Validation è come quella pianta di cicoria: nasce come esplosione di primavera e di novità, si consolida e poi nel tempo si modifica e si adatta grazie al lavoro e all’esperienza sul campo di tutti gli operatori.

Così da “La popolazione Validation” si è passati a “Questa è la popolazione con cui Validation ha più efficacia”, definizione con la quale risulta implicita la possibilità di inserire anche altre tipologie di persone.

Nel 2020 si è arrivati a lavorare sulla dicitura delle quattro fasi; la necessità era quella di renderla più flessibile affinché potesse rappresentare con maggior ampiezza le diverse e numerose caratteristiche delle persone anziane affette da demenza. Era necessario che anche le parole venissero modificate, per dare luce e spazio a nuovi colori, forme, possibilità.

Nella nuova edizione del libro Non trovo le parole. Il metodo Validation® per comunicare con la persona affetta da demenza (Editrice Dapero 2020) troviamo descritte tutte queste dinamiche, le riflessioni dei gruppi di studio Validation del mondo e la descrizione più discorsiva delle quattro fasi. Le autrici del libro spiegano infatti come sia stato necessario rivedere le quattro fasi in modo più flessibile, in quanto «consapevoli che la strada che l’anziano percorre è il risultato di molti fattori e che non esiste una Persona uguale a un’altra». Da qui, appunto, la necessità di ampliare la descrizione delle fasi e di costruire una comunicazione più efficace e rispettosa insieme delle persone.

Per queste ragioni, per esempio, scompaiono in questa edizione termini specifici come “mal orientamento” o “confusione nel tempo”, lasciando spazio a descrizioni più aperte, per andare oltre le “etichette”. Dall’erba verde, al fiore giallo, al seme pronto a spiccare il volo: un metodo sempre nuovo, in evoluzione e chissà – in futuro – pronto a regalarci nuove visioni e possibilità.

I corsi Validation in programma prossimamente

Scopri di più a questo link: https://metodovalidation.it/corsi/

Le autrici dell’articolo

Cinzia Siviero (Master Metodo Validation, Responsabile AGAPE AVO)

Silvia Pellegrini (Educatrice prof.le, formatrice Validation)

Ilaria Giardini (psicologa, coordinatrice centro diurno Margherita di Fano)

Elisa Canestrari (Educatrice prof.le centro diurno Margherita di Fano)

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