Vase Hristova sognava fin da bambina di poter aiutare gli altri. Oggi ha coronato il suo sogno ed è operatrice socio-sanitaria presso l’APSP Collini di Pinzolo. La sua testimonianza ci invita a riflettere su che cosa significa una cura oltre le differenze, culturali e di ruolo, diffusa a ogni livello dell’organizzazione.
Dalla Macedonia all’Italia, per amore
Vase giunse in Italia nel 2005 per seguire il marito, “non per bisogno, ma per amore”.
Entrambi lavoravano anche prima di arrivare qui, e vivevano bene a Ocrida, nella Macedonia del Nord, città turistica, nota anche come la “Gerusalemme dei Balcani”, centro religioso e culturale con una ricca storia che risale a oltre 8000 anni fa.

Questo non significa però che sia stato per lei un percorso semplice.
L’anno in cui arrivò, infatti, era in dolce attesa del loro primogenito David e, neanche tre anni dopo, sarebbe arrivato anche il secondogenito Philip.
Purtroppo, fu proprio durante la seconda gravidanza di Vase che David iniziò a vivere crisi epilettiche sempre più frequenti, subendo molti ricoveri, fino alla diagnosi di epilessia.
Mamma di due figli, di cui uno con difficoltà, senza conoscere ancora bene la lingua e senza poter contare sull’aiuto della famiglia – rimasta in Macedonia – Vase non ebbe modo sulle prime di realizzare il sogno che la muoveva fin da bambina: trovare un lavoro che le permettesse di aiutare il prossimo.
Il desiderio di aiutare gli anziani
“Io sono una persona solare che deve avere il contatto con la gente. Tutti i lavori che avevo fatto prima – e ne ho fatti tanti – avevano in comune questo: ero in contatto con le persone. Se non ci sono le persone io non trovo senso, soddisfazioni o felicità. Devo sentirmi utile, devo trovarmi lì la persona, altrimenti sono infelice”.
Il suo carattere socievole fu d’altra parte ciò che le permise di integrarsi bene, a poco a poco, nel paese di Bondo (TN), dove insieme al marito avevano preso casa.
“Sapevo di dover conquistare la fiducia delle persone con pazienza, dovevo dare loro il tempo di scoprirmi pian piano, per ciò che sono, autenticamente e senza forzature. In particolar modo, mi piaceva fermarmi a parlare con le persone anziane del paese. E lì ho capito che il mio desiderio di aiutare era rivolto soprattutto a loro”.
Desiderio che le aumentò ulteriormente nel momento in cui le fu offerto un lavoro come addetta alle pulizie in ospedale:
“Lì infatti c’erano soprattutto anziani e io scambiavo due parole e portavo loro il sorriso, o semplicemente li ascoltavo. Con il loro sorriso mi sentivo gratificata. Era come una medicina, per loro e per me”.
Il coronamento di un sogno
Vase racconta di come due cose l’abbiano sempre aiutata nella vita: la forza di volontà e la fede.
La prima per non arrendersi mai e continuare a impegnarsi per realizzare i propri desideri; la seconda per accettare con coraggio e ottimismo tutte le sofferenze e le delusioni che inevitabilmente la vita ci riserva.
Con queste due armi ha affrontato la malattia del figlio e ha frequentato la scuola per diventare OSS con una costante “sete di imparare”, fino ad acquisire il titolo, coronando così il suo sogno.
La chiamata dall’APSP Collini di Pinzolo
Tempo dopo, riceve una telefonata.
Dall’altra parte del telefono c’è Valeria Giovannini, la direttrice dell’APSP Collini di Pinzolo, che le propone di andare a lavorare come OSS proprio lì.
“Sono con loro da neanche un anno, però posso dire che mi sento molto a mio agio, perché è una struttura bellissima, soprattutto perché le persone anziane sono trattate molto bene: possono esprimere i propri bisogni e vengono ascoltate.
L’eccellenza parte dall’organizzazione, che dall’alto si prende cura di noi operatori, e così noi riusciamo a prenderci cura degli anziani.”
Vase ammette che le giornate di lavoro non filano sempre tutte lisce, ma riconosce che c’è profondo rispetto per il loro lavoro da parte della direzione e anche un grande senso di equità da parte della coordinatrice, Sonia Bomè, che si sforza di andare incontro alle esigenze di tutti gli operatori e di ascoltarli con imparzialità.
“Noi operatori lo percepiamo chiaro e forte, ed è questo che ci motiva poi a ricambiare e a continuare a fare bene il nostro lavoro”.
La cura oltre le differenze
Una struttura, dunque, in cui la cultura della cura si manifesta a ogni livello.
D’altra parte, agli occhi di Vase – che di ambienti di cura ne ha frequentati molti, non solo per lavoro, ma anche come volontaria prima e per seguire suo figlio David poi – la cultura della cura in Italia è molto evoluta.
Tuttavia, per quanto riconosca che, in senso tecnico, la Macedonia abbia ancora alcuni passi da fare sulla Cura, Vase insiste nella sua visione dove contano di più le somiglianze piuttosto che le differenze:
“I miei genitori hanno girato l’Europa, erano persone molte aperte, che rispondevano a tutte le mie domande di bambina curiosa, e che mi hanno insegnato ad amare tutte le culture.
Per cui, quando guardo bene, io non vedo una vera differenza culturale tra la cura in Italia e quella in Macedonia:
Siamo esseri umani. Fare una carezza, dire due parole in più: è fondamentale in ogni relazione di cura.”
Un cuore aperto e non giudicante
C’è solo un elemento nei luoghi di Cura qui, in Italia, che genera in lei tristezza. Ovvero, quando vede persone anziane che ricevono meno visite da parte della famiglia di altre, e per questo ne soffrono.
Ma ancora una volta, è il suo cuore aperto e non giudicante a parlare, e a dare a tutti noi una lezione di Cura:
“Sì, mi rammarica vedere gli anziani soli, ma noi non possiamo permetterci di giudicare.
Perché c’è una storia, una vita, un percorso e noi non possiamo dire nulla sui figli; sul perché vengono o non vengono; sul perché parlano o non parlano;
L’unica cosa che possiamo fare in questi casi, è fare meglio e di più noi.
Dopo tutto, è anche questo che significa essere professionisti della Cura”.
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Vase Hristova sognava fin da bambina di poter aiutare gli altri. Oggi ha coronato il suo sogno ed è operatrice socio-sanitaria presso l’APSP Collini di Pinzolo. La sua testimonianza ci invita a riflettere su che cosa significa una cura oltre le differenze, culturali e di ruolo, diffusa a ogni livello dell’organizzazione.
Dalla Macedonia all’Italia, per amore
Vase giunse in Italia nel 2005 per seguire il marito, “non per bisogno, ma per amore”.
Entrambi lavoravano anche prima di arrivare qui, e vivevano bene a Ocrida, nella Macedonia del Nord, città turistica, nota anche come la “Gerusalemme dei Balcani”, centro religioso e culturale con una ricca storia che risale a oltre 8000 anni fa.

Questo non significa però che sia stato per lei un percorso semplice.
L’anno in cui arrivò, infatti, era in dolce attesa del loro primogenito David e, neanche tre anni dopo, sarebbe arrivato anche il secondogenito Philip.
Purtroppo, fu proprio durante la seconda gravidanza di Vase che David iniziò a vivere crisi epilettiche sempre più frequenti, subendo molti ricoveri, fino alla diagnosi di epilessia.
Mamma di due figli, di cui uno con difficoltà, senza conoscere ancora bene la lingua e senza poter contare sull’aiuto della famiglia – rimasta in Macedonia – Vase non ebbe modo sulle prime di realizzare il sogno che la muoveva fin da bambina: trovare un lavoro che le permettesse di aiutare il prossimo.
Il desiderio di aiutare gli anziani
“Io sono una persona solare che deve avere il contatto con la gente. Tutti i lavori che avevo fatto prima – e ne ho fatti tanti – avevano in comune questo: ero in contatto con le persone. Se non ci sono le persone io non trovo senso, soddisfazioni o felicità. Devo sentirmi utile, devo trovarmi lì la persona, altrimenti sono infelice”.
Il suo carattere socievole fu d’altra parte ciò che le permise di integrarsi bene, a poco a poco, nel paese di Bondo (TN), dove insieme al marito avevano preso casa.
“Sapevo di dover conquistare la fiducia delle persone con pazienza, dovevo dare loro il tempo di scoprirmi pian piano, per ciò che sono, autenticamente e senza forzature. In particolar modo, mi piaceva fermarmi a parlare con le persone anziane del paese. E lì ho capito che il mio desiderio di aiutare era rivolto soprattutto a loro”.
Desiderio che le aumentò ulteriormente nel momento in cui le fu offerto un lavoro come addetta alle pulizie in ospedale:
“Lì infatti c’erano soprattutto anziani e io scambiavo due parole e portavo loro il sorriso, o semplicemente li ascoltavo. Con il loro sorriso mi sentivo gratificata. Era come una medicina, per loro e per me”.
Il coronamento di un sogno
Vase racconta di come due cose l’abbiano sempre aiutata nella vita: la forza di volontà e la fede.
La prima per non arrendersi mai e continuare a impegnarsi per realizzare i propri desideri; la seconda per accettare con coraggio e ottimismo tutte le sofferenze e le delusioni che inevitabilmente la vita ci riserva.
Con queste due armi ha affrontato la malattia del figlio e ha frequentato la scuola per diventare OSS con una costante “sete di imparare”, fino ad acquisire il titolo, coronando così il suo sogno.
La chiamata dall’APSP Collini di Pinzolo
Tempo dopo, riceve una telefonata.
Dall’altra parte del telefono c’è Valeria Giovannini, la direttrice dell’APSP Collini di Pinzolo, che le propone di andare a lavorare come OSS proprio lì.
“Sono con loro da neanche un anno, però posso dire che mi sento molto a mio agio, perché è una struttura bellissima, soprattutto perché le persone anziane sono trattate molto bene: possono esprimere i propri bisogni e vengono ascoltate.
L’eccellenza parte dall’organizzazione, che dall’alto si prende cura di noi operatori, e così noi riusciamo a prenderci cura degli anziani.”
Vase ammette che le giornate di lavoro non filano sempre tutte lisce, ma riconosce che c’è profondo rispetto per il loro lavoro da parte della direzione e anche un grande senso di equità da parte della coordinatrice, Sonia Bomè, che si sforza di andare incontro alle esigenze di tutti gli operatori e di ascoltarli con imparzialità.
“Noi operatori lo percepiamo chiaro e forte, ed è questo che ci motiva poi a ricambiare e a continuare a fare bene il nostro lavoro”.
La cura oltre le differenze
Una struttura, dunque, in cui la cultura della cura si manifesta a ogni livello.
D’altra parte, agli occhi di Vase – che di ambienti di cura ne ha frequentati molti, non solo per lavoro, ma anche come volontaria prima e per seguire suo figlio David poi – la cultura della cura in Italia è molto evoluta.
Tuttavia, per quanto riconosca che, in senso tecnico, la Macedonia abbia ancora alcuni passi da fare sulla Cura, Vase insiste nella sua visione dove contano di più le somiglianze piuttosto che le differenze:
“I miei genitori hanno girato l’Europa, erano persone molte aperte, che rispondevano a tutte le mie domande di bambina curiosa, e che mi hanno insegnato ad amare tutte le culture.
Per cui, quando guardo bene, io non vedo una vera differenza culturale tra la cura in Italia e quella in Macedonia:
Siamo esseri umani. Fare una carezza, dire due parole in più: è fondamentale in ogni relazione di cura.”
Un cuore aperto e non giudicante
C’è solo un elemento nei luoghi di Cura qui, in Italia, che genera in lei tristezza. Ovvero, quando vede persone anziane che ricevono meno visite da parte della famiglia di altre, e per questo ne soffrono.
Ma ancora una volta, è il suo cuore aperto e non giudicante a parlare, e a dare a tutti noi una lezione di Cura:
“Sì, mi rammarica vedere gli anziani soli, ma noi non possiamo permetterci di giudicare.
Perché c’è una storia, una vita, un percorso e noi non possiamo dire nulla sui figli; sul perché vengono o non vengono; sul perché parlano o non parlano;
L’unica cosa che possiamo fare in questi casi, è fare meglio e di più noi.
Dopo tutto, è anche questo che significa essere professionisti della Cura”.
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