Il punto di vista dell’Approccio Capacitante®
Di Pietro Vigorelli. Medico Psicoterapeuta, Promotore e Formatore del Gruppo Anchise
L’Approccio Capacitante si basa sul riconoscimento delle competenze elementari delle persone con demenza: la competenza a parlare, a comunicare, emotiva, a contrattare, a decidere. In questo intervento mi concentrerò sulle ultime due, riflettendo in particolare sulla libertà, un valore di riferimento della nostra civiltà, spesso misconosciuto nel mondo delle demenze.
Che cosa vuole una persona con demenza?
Proviamo a entrare, in punta di piedi, nel mondo interiore di una persona con demenza che vive in RSA. Che cosa sta pensando?
“Voglio fare di testa mia. Voglio essere libero. Voglio essere rispettato per quello che sono”.
Può sembrare una provocazione, ma questa è una riflessione che riguarda ciascuno di noi e che riguarda anche le persone con demenza. Forse non sono persone come noi? Dobbiamo distinguere le persone in due categorie? Noi e loro, quelli che ricordano (abbastanza) e quelli che dimenticano (molto)? Se caratterizziamo la persona in base al suo deficit (mnesico, cognitivo) facciamo un’opera di riduzione, di impoverimento della persona fino a renderla invisibile.
La persona con demenza e la patologia del curante
Chi si prende cura di una persona con demenza, chi lavora nelle RSA dove le persone con demenza tendono a essere sempre più numerose, rapidamente non vede più la persona che ha di fronte ma il malato da curare e in ogni espressione del malato vede la conferma della diagnosi di demenza. Questa distorsione percettiva è una vera patologia del curante.
A tutt’oggi possiamo fare poco per combattere le malattie dementigene, l’Alzheimer in particolare, ma possiamo fare molto per combattere la patologia del curante, una patologia che innesca un circolo vizioso per cui il soggetto non viene più preso sul serio. Il risultato è che la persona vive in un ambiente che contribuisce a rendere più evidenti i suoi deficit, quello che Tom Kitwood chiama Psicologia Sociale Maligna.
Patologia del curante vs Approccio Capacitante
Un aspetto particolare della patologia del curante riguarda la negazione della competenza a contrattare e a decidere. Il problema è complesso, perché le scelte delle persone con demenza sembrano spesso inadeguate e controproducenti, dal punto di vista del curante, mentre sembrano adeguate e importanti dal punto di vista di chi le fa.
Questo succede perché ciascuno vive in un suo mondo possibile. Anche nella nostra vita quotidiana, in famiglia o con gli amici, spesso l’interlocutore ha un punto di vista diverso dal nostro sulla stessa questione e qualche volta ci sorprendiamo di come l’altro non veda quello che per noi è evidente. Dobbiamo prendere atto che, anche quando viviamo la stessa situazione e nello stesso momento, ciascuno vive in un suo proprio mondo possibile. Questo fenomeno è ancora più evidente quando il nostro interlocutore ha una demenza, per esempio l’Alzheimer.
Osvaldo aveva l’Alzheimer e per l’operatore era facile riconoscere nel suo comportamento un segno della demenza, un disturbo comportamentale. Un operatore capacitante, invece, di fronte a questa situazione si interroga, sapendo che, almeno dal punto di vista del paziente, ogni parola e ogni azione hanno un senso. Dobbiamo prendere atto che chi si trova ad essere deficitario non è il paziente ma è l’operatore, incapace di capire quello che il paziente sta facendo.
Nel caso in questione la soluzione del problema era semplice, bastava leggere in cartella la sua anamnesi lavorativa. Osvaldo era un panificatore che si è alzato alle due di mattina per tutta la vita e che se non andava presto al lavoro non riusciva a preparare il pane per i clienti del mattino. La sua ansia, la sua determinazione a voler uscire anche col buio, erano ben motivate ed erano sufficienti per comprendere il comportamento aggressivo nei confronti di chi voleva ostacolarlo.
È vero, Osvaldo ha un io malato, disorientato nel tempo, che vive in un suo mondo possibile in cui è ancora un panificatore, ma ha anche un io sano, l’io di un lavoratore consapevole della propria responsabilità.
Approccio Capacitante e identità molteplici
Un operatore che vede Roberto nella sua monoidentità di vecchio demente che vive in una RSA non può capire nulla di questa situazione e si trova sprovvisto di argomenti e di strumenti per convincerlo a vestirsi con abiti da casa per restare all’interno della RSA. Un operatore capacitante, invece, parte dall’idea che anche questo comportamento, apparentemente inadeguato, è probabilmente adeguato dal punto di vista del paziente.
Roberto infatti, dal punto di vista dell’Approccio Capacitante, non ha una sola identità, ma ha identità molteplici. Tutte le identità che hanno caratterizzato la sua vita, da quando era bambino fino alle fasi successive, rivestendo vari ruoli nella vita familiare e lavorativa. Roberto è stato figlio, padre e nonno, è stato studente, poi conducente di tram a Milano, poi controllore. Tutte queste identità sono stratificate nel suo essere persona di adesso, sono ancora presenti, costituiscono la ricchezza della sua persona, sono parte del suo io sano. Il suo problema, il suo io malato, è che non sa scegliere tra le sue tante identità quella adeguata al contesto del momento presente.
Parlando con Roberto è emerso che negli ultimi anni della sua vita lavorativa era stato un integerrimo controllore sui tram e sugli autobus. Il suo punto d’onore era il rispetto delle regole e degli orari. Non era mai arrivato in ritardo al lavoro ed era esigente con sé stesso così come era esigente con chi trovava senza il biglietto. Un uomo di questo tipo non poteva certo lasciarsi trattenere da un giovane operatore che l’avrebbe fatto arrivare in ritardo al lavoro infangando la sua onorabilità.
La competenza a contrattare e a decidere e i disturbi comportamentali
Raccogliendo l’esperienza di centinaia di operatori mi sono reso conto che gran parte dei disturbi comportamentali delle persone con demenza dipende dal fatto che la loro competenza a contrattare e a decidere su quello che le riguarda viene sistematicamente negata.
Alcuni operatori sono abituati a ritenere che i disturbi comportamentali (agitazione, aggressività, urlare, opporsi, non partecipare) siano una conseguenza della malattia e non sono abituati, invece, a interrogarsi sul perché si verifichino. Due esempi li abbiamo visti nei paragrafi precedenti.
Se il comportamento non viene riconosciuto come l’espressione dell’io sano, della competenza a contrattare e a decidere, tutto lo sforzo dell’operatore sarà teso a contrastare tale comportamento. L’anziano, da parte sua, non si sente riconosciuto, si sente negato e cerca di resistere, di opporsi finché riesce. In qualche caso finisce poi per arrendersi, per rinunciare a far valere le proprie competenze, a esprimere il proprio punto di vista, a vivere nel suo proprio mondo possibile; rinuncia a vivere, si chiude nel mutismo, nell’immobilità e nell’apatia, fino a lasciarsi morire.
L’Approccio Capacitante: una bussola che punta alla libertà
Una riflessione sull’essere persona comporta necessariamente una riflessione sulla libertà.
Per quel che mi riguarda, mi sento persona quando sono libero e posso scegliere. Quanto più ampio è il mio margine di libertà tanto più mi sento persona, quanto più mi sento vincolato, invece, tanto più il mio essere persona si sente costretto e sminuito.
Non parlo di una libertà utopica, infinita, slegata dalla realtà e dalla consapevolezza dei limiti connaturati alla natura umana, dalle necessità della convivenza e dal mio essere quello che sono, un uomo che comincia a invecchiare, che ha sempre avuto tanti limiti e adesso ancora di più.
Parlo di libertà in termini elementari, di una libertà che andrebbe sempre rispettata, anche e soprattutto nel caso degli anziani fragili e in particolare quelli con demenza.
Il rispetto della libertà dell’altro è un valore fondamentale cui tutti dovrebbero fare riferimento. Quando ci troviamo ad assistere una persona con demenza, però, anche i migliori propositi si trovano a confliggere con difficoltà molto concrete: il rischio di cadute, di uscire di casa e di perdersi, di fare dei danni a sé o agli altri. Dobbiamo tenerne conto, ma dobbiamo anche cercare in ogni momento di offrire piccoli spazi di libertà per chi la cerca e la esige ostinatamente e disperatamente.
L’Approccio Capacitante ci fornisce una bussola e dei suggerimenti per accettare l’altro così com’è e per riconoscere la sua competenza a contrattare e a decidere.
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