È giusto definire ospite una persona in RSA? Le parole hanno il potere di cambiare il modo di pensare, e cambiare il modo di pensare ci fa agire in maniera diversa.
Gli anziani in RSA non sono ospiti di passaggio: così dovremmo vederli noi che abbiamo il compito di averne cura, e così dovrebbero sentirsi loro. Ne parla Letizia Espanoli, fondatrice del modello Sente-mente, consulente e formatrice per il settore sociosanitario, in questo articolo scritto a quattro mani con Evelina Loffredi, animatrice presso la Residenza per Anziani Villa Sorriso di Marano sul Panaro e autrice anche della vignetta che segue.
![Ospite o abitante in RSA](https://www.rivistacura.it/wp-content/uploads/2022/10/Ospite-o-abitante-vignetta-di-Evelina-Loffredi-1024x724.jpg)
L’ospite in RSA
Quando si scrivono le consegne in una struttura residenziale, spesso ci si riferisce alle persone che vi abitano con il sostantivo il sostantivo di ospite.
A Villa Sorriso succedeva quasi sempre che il nome proprio della persona venisse sostituito da questo aggettivo: l’ospite.
Ospite: etimologia e significato
La parola ospite deriva dal latino hospes, –ĭtis, e conservava già allora il doppio significato di “colui che ospita e quindi albergatore” e di “colui che è ospitato e quindi forestiero”.
Per quanto nella nostra mente la parola ospitalità può rimandare a un concetto positivo – si potrebbe obiettare che gli ospiti vengono trattati coi guanti, e dunque non ci sarebbe nulla di male a chiamarli così – non bisogna dimenticare che le persone che accogliamo in struttura ci vengono ad abitare e a vivere, per un tempo indefinito o comunque fino all’ultimo respiro.
Questa casa non è un albergo
La residenza assistita dunque non è un albergo che ospita persone per un breve soggiorno, ma una casa in cui le persone vivono, interagiscono, decidono e scelgono; in cui, appunto, ri-siedono.
E per quanto può essere bello ogni tanto sentirsi coccolati come ospite, magari in una bella Spa, se permettete a casa nostra vogliamo tutti starci comodi, e non sentirci ospiti.
Una parola può innescare una rivoluzione culturale
Se nella nostra testa passa il concetto che sono loro i padroni di casa, ecco che allora potremmo tranquillamente sentirci noi gli ospiti a casa loro, e di conseguenza svolgere il nostro lavoro con doveroso rispetto.
La rivoluzione culturale passa attraverso le parole.
A Villa Sorriso lo abbiamo capito grazie al Sente-Mente e abbiamo cominciato a riportare piccole vittorie perché ad oggi le persone vengono indicate nelle consegne sempre col proprio nome oppure con l’aggettivo che ha restituito loro la dignità giuridica di abitante della casa: residente.
Per approfondire
Sente-mente: facciamo crescere l’organizzazione della cultura della cura
Aver cura della persona con demenza: 3 elementi costitutivi e una nuova visione
Il respiro delle organizzazioni felici
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È giusto definire ospite una persona in RSA? Le parole hanno il potere di cambiare il modo di pensare, e cambiare il modo di pensare ci fa agire in maniera diversa.
Gli anziani in RSA non sono ospiti di passaggio: così dovremmo vederli noi che abbiamo il compito di averne cura, e così dovrebbero sentirsi loro. Ne parla Letizia Espanoli, fondatrice del modello Sente-mente, consulente e formatrice per il settore sociosanitario, in questo articolo scritto a quattro mani con Evelina Loffredi, animatrice presso la Residenza per Anziani Villa Sorriso di Marano sul Panaro e autrice anche della vignetta che segue.
![Ospite o abitante in RSA](https://www.rivistacura.it/wp-content/uploads/2022/10/Ospite-o-abitante-vignetta-di-Evelina-Loffredi-1024x724.jpg)
L’ospite in RSA
Quando si scrivono le consegne in una struttura residenziale, spesso ci si riferisce alle persone che vi abitano con il sostantivo il sostantivo di ospite.
A Villa Sorriso succedeva quasi sempre che il nome proprio della persona venisse sostituito da questo aggettivo: l’ospite.
Ospite: etimologia e significato
La parola ospite deriva dal latino hospes, –ĭtis, e conservava già allora il doppio significato di “colui che ospita e quindi albergatore” e di “colui che è ospitato e quindi forestiero”.
Per quanto nella nostra mente la parola ospitalità può rimandare a un concetto positivo – si potrebbe obiettare che gli ospiti vengono trattati coi guanti, e dunque non ci sarebbe nulla di male a chiamarli così – non bisogna dimenticare che le persone che accogliamo in struttura ci vengono ad abitare e a vivere, per un tempo indefinito o comunque fino all’ultimo respiro.
Questa casa non è un albergo
La residenza assistita dunque non è un albergo che ospita persone per un breve soggiorno, ma una casa in cui le persone vivono, interagiscono, decidono e scelgono; in cui, appunto, ri-siedono.
E per quanto può essere bello ogni tanto sentirsi coccolati come ospite, magari in una bella Spa, se permettete a casa nostra vogliamo tutti starci comodi, e non sentirci ospiti.
Una parola può innescare una rivoluzione culturale
Se nella nostra testa passa il concetto che sono loro i padroni di casa, ecco che allora potremmo tranquillamente sentirci noi gli ospiti a casa loro, e di conseguenza svolgere il nostro lavoro con doveroso rispetto.
La rivoluzione culturale passa attraverso le parole.
A Villa Sorriso lo abbiamo capito grazie al Sente-Mente e abbiamo cominciato a riportare piccole vittorie perché ad oggi le persone vengono indicate nelle consegne sempre col proprio nome oppure con l’aggettivo che ha restituito loro la dignità giuridica di abitante della casa: residente.
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