“L’anziano che non riconosce la propria casa” è il tema di questo appuntamento della rubrica “I miei giorni con te“, a cura della psicologa Sara Sabbadin, che in ogni articolo affronta problemi che i caregiver possono incontrare nella loro quotidianità.

«Questa non è casa mia…»

Potrebbe succedere in ogni momento della giornata, ma il più delle volte capita all’imbrunire,quando la luce cala e il cervello è ormai stanco e provato dalla giornata, creando uno spazio e un tempo particolarmente fertili per confusione e agitazione. E così accade che papà, che magari fino a poco prima se ne stava tranquillo seduto sulla sua poltrona, inizi ad essere inquieto, ad alzarsi e cercare qualcosa che non sa nemmeno lui dire cosa sia, e poi prenda il cappello e poi cerchi la porta per uscire…

Ma dove vai?”

“Vado a casa mia…”

“Ma quale casa?! Guarda che sei a casa!”

“Fammi andare a casa!!”

“Ma papà! È questa casa tua! L’hai costruita tu! Hai fatto tu questi mobili!…guarda, qui c’è la foto con la mamma di quando vi siete sposati..”

“Questa non è la mia casa!!VOGLIO ANDARE A CASA MIA!”

«Resta calmo e asseconda», dicono ai corsi su come gestire i disturbi del comportamento. Non contraddirlo che fai peggio. Verissimo… ma che fatica! Non è semplice mantenere calma e lucidità se davanti a te c’è un papà anziano che non riconosce la propria casa, che ha tirato su con le sue mani e di cui andava tanto orgoglioso.

Eppure più ci accaniamo a cercare di fargliela ricordare, più lui, incredibilmente, sembra non vedere l’ovvio davanti ai suoi occhi, impermeabile alle foto di famiglia e persino alla poltrona con la forma del suo sedere.

Ma è proprio questo il punto. In quel momento, davvero, non la riconosce. E per trovare risposte e reazioni che aiutino a contenere la sua (e la tua) angoscia, dobbiamo partire da questa consapevolezza.

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Come è possibile, dopo una vita vissuta in quel posto?

Le malattie neurodegenerative erodono lentamente la capacità del cervello di comprendere il mondo.Normalmente viviamo in ambienti pieni di stimoli, suoni, oggetti e persone che sappiamo collocare correttamente e riconosciamo senza difficoltà. Per un malato le cose vanno diversamente.

Il mondo che lo circonda diventa progressivamente più confuso, le cose che prima rendevano un ambiente familiare ora non vengono più riconosciute, le foto di famiglia rimandano volti che non riesce più ad identificare. E tutto questo fa paura, una paura che cresce al crescere della confusione, in un circolo vizioso alimentato dalla sensazione di non avere il controllo della situazione e, spesso, dalle persone attorno a lui che cercano di convincerlo che si sta sbagliando.

E allora vien da allontanarsi, da scappare verso uno spazio sicuro. La propria casa, appunto. Magari quella della propria infanzia, che spesso rappresenta un ricordo che la malattia erode con più difficoltà.

Del resto, provando a mettersi nei suoi panni, se ora improvvisamente vi trovaste in un posto che non conoscete, non sapete come ci siete arrivati, ma attorno a voi tutti vi dicono che vi state sbagliando, che quella è casa vostra, come vi sentireste? Accettereste la spiegazione senza protestare?

Che fare di fronte a un anziano che non riconosce la propria casa?

Andiamo per punti.

1.Prima di tutto…calma e gesso!

In cima, come regola aurea da applicarsi in ogni caso, con ogni persona, in ogni momento complicato che l’Alzheimer ci mette davanti:Tira un bel sospiro e mantieni la calma. Nei momenti di agitazione chi ha la demenza fatica enormemente a capire le parole ma le emozioni le sente forti e chiare. Ricorda che la tua agitazione amplifica la sua.

2. Chiediti che cosa sta succedendo e agisci di conseguenza

I disturbi del linguaggio sono una componente frequente della demenza e spesso rendono il malato incapace di trovare le parole giuste per spiegare il proprio stato d’animo e per dirci cosa c’è che non va. «Voglio andare a casa» potrebbe in realtà significare «Non sono a mio agio, ho paura, sono confuso, aiutami»- La casa è il posto dove tutti noi vogliamo tornare quando siamo stanchi, quando ne abbiamo abbastanza, quando siamo in difficoltà. Rappresenta uno spazio psicologico sicuro. Vale anche se abbiamo una demenza.

Chiediti se potrebbe essere fame, sete, dolore o fastidio da qualche parte, se è troppo caldo o troppo freddo, se c’è troppa confusione nella stanza (ricorda: più confusione fuori, più confusione dentro!). Cerca di capire se qualcosa gli crea disagio e se possibile risolvilo.

3. Accetta che in quel momento non riconosce l’ambiente e non cercare di convincerlo del contrario.

Si tratta di un delirio, una convinzione errata sulla realtà che un discorso razionale, per quanto pacato e paziente, non potrà modificare. Metti da parte la logica e scendi nella sua realtà accogliendo la sua angoscia.

Hai ragione, ormai siamo qui da un po’… sarai stanco…”

“Va bene papà, ti aiuto io…”

4. Rispondi al bisogno di “andare”

Cerca di dare una risposta concreta.Non un generico “si si poi andiamo”, ma una risposta vera, che lo faccia sentire compreso. Le persone con demenza si accorgono se non li prendiamo sul serio e, di solito, questo li fa agitare ancora di più.

“Appena arriva Bruno con la macchina andiamo…”
“Appena tornano i tuoi figli da lavoro ti accompagnano a casa…”
“Ci metteremo un po’ ad arrivare, vuoi mangiare qualcosa prima del viaggio?

“Beviamo un te e poi andiamo…”

L’obiettivo deve essere farlo sentire compreso. Niente aiuta a placare l’angoscia come sentirsi capiti, sentire che qualcuno si è reso conto che sono in difficoltà e si attiva per aiutarmi.

E se non è sufficiente, asseconda. Andate davvero. Mettete il cappotto, fate il giro dell’isolato e tornate indietro. Il più delle volte, incredibilmente, vedere la casa da un’altra angolazione aiuta il riconoscimento ma, soprattutto, è l’aver accolto il bisogno di andare che placa l’angoscia al punto da alleggerire anche la confusione. Di fatto qualsiasi cosa che possa rassicurarlo senza sminuire la portata della sua preoccupazione va bene. Stai mentendo ma non lo stai ingannando, è una diversa verità, a fin di bene.

E quando vedi che l’angoscia si è placata un pochino, allora puoi provare a cambiare argomento e a orientare l’attenzione su qualcosa che lo interessa. In momenti di agitazione come questo, un obiettivo realistico è aiutarlo a contenere l’angoscia quel tanto che basta a permettergli di rivolgere l’attenzione anche su altro.

Naturalmente nessuna strategia né spiegazione è buona sempre e per tutti.

E quello che funziona oggi potrebbe non funzionare domani.

L’obiettivo più realistico che possiamo darci quando ci prendiamo cura di una persona con una malattia neurodegenerativa è arrivare a sera il più possibile sereni (lui ma anche noi!).

Val la pena perdonarsi sempre se qualche volta le cose non vanno come dovrebbero, se nonostante i tentativi non siamo riusciti a gestire la situazione. Andrà meglio la prossima volta. Ci sono giorni in cui è più difficile mantenere la calma, in cui si è più stanchi, o più scoraggiati, o più arrabbiati con questa malattia così difficile da capire e da accettare. E quei giorni è ancora più dura arrivare a sera senza impazzire assieme a lui.

Ecco, è proprio in quei giorni che è importante tenere a mente che non è il crollo del momento che dà la misura della cura. Quello che ha davvero valore, che fa la differenza nella vita di chi stiamo assistendo, è l’impegno che ci mettiamo ogni giorno.

Ci rivediamo tra qualche settimana per parlare di “Il bagno, che battaglia!”. E se ancora non lo avete letto, vi suggerisco anche il mio articolo: “La ricerca della mamma nella persona malata d’Alzheimer: che fare?

About the Author: Sara Sabbadin

Ex caregiver e psicologa Pagina facebook: I miei giorni con te - In viaggio con la demenza

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