Metodo Validation e atteggiamento convalidante: ascoltare e riconoscere l’altro, un ponte che supera la solitudine e restituisce dignità

di Francesco Mosetti D’Henry, Master Validation e Cinzia Siviero, Master Validation.

Ascoltare in modo autentico: un ponte per raggiungere l’altro

Il metodo Validation nasce in America alla fine degli anni ’60 e arriva in Italia nel 1996, con il primo workshop tenuto dall’ideatrice Naomi Feil presso l’Istituto Gerontologico Pio Albergo Trivulzio a Milano. Si tratta di una metodica che ci invita a una relazione profonda ed empatica con l’anziano con decadimento cognitivo.

Attraverso un “sentire dentro”, infatti, e grazie alle tecniche validanti (ovvero che danno valore), il caregiver validante lavora alla costruzione di un ponte che permette di raggiungere l’altro. Non è facile ascoltare in modo autentico chi è intrappolato in un altro mondo, chi non vive il nostro stesso piano di realtà; ma accogliere le sue emozioni, qualsiasi esse siano, prendere sul serio ciò che ci comunica, anche se non cognitivamente corretto, ci permette di andare oltre, di contattare la persona affiancandola nel suo difficile cammino, “…e così non si sentirà più sola“.

Validation aiuta anche a comprendere i meccanismi del disorientamento e a vivere il disturbo comportamentale in modo differente, depatologizzandolo e restituendo all’anziano dignità.

Ad uno sguardo attento molti dei comportamenti degli anziani affetti da demenza risultano essere reazioni naturali, forme di adattamento ai problemi della cognitività; essere validanti significa non avere come scopo quello di modificare tali comportamenti. Spesso l’anziano confuso ritorna a vivere il suo passato per esempio, una realtà del là e allora, quando si sentiva utile, vivo, e in questa realtà interiore si chiuderà sempre di più se non troverà nessuno capace di accettare la sua visuale.

Feil sostiene che tutti gli esseri umani sono collegati gli uni agli altri e che ciò non ha nulla a che fare con la religione, il colore della pelle, la cultura o la competenza cognitiva. Quando le persone invecchiano tornano a una “umanità di base” e per raggiungere queste persone non abbiamo altro che il livello emotivo. 

Gladys Wilson e Naomi Feil

Ascoltare per restituire dignità: un atteggiamento convalidante genera fiducia e autostima

La proposta di Naomi Feil arriva da una critica costruttiva nei confronti di modalità relazionali molto frequenti e spontanee (spesso spinte da sentimenti positivi, di amore o protezione) che purtroppo però, se osservate dal punto di vista dell’altro, negano la persona, non riconoscono il suo valore.

Sono modalità relazionali come l’infantilizzazione, il proporre ragionamenti logici quando le capacità logiche non ci sono più, il creare diversioni – spostare il problema – per poter interrompere il comportamento disturbante, l’imbrogliare nella speranza che ciò sia “terapeutico”. Anche l’atteggiamento paternalistico è molto spontaneo quando siamo immersi nella cura dell’anziano fragile e questo non è validazione, perché, anche se intenti ad accudire, non permettiamo all’individuo di dire la sua e di sentirsi libero. Un’autentica forma di incontro e di comunicazione emozionale non ha nulla a che vedere con tutto ciò.

L’interessante intuizione della Feil la spinge ad osservare le persone disorientate, a mettere da parte i suoi sentimenti per evitare il processo di con-fusione con l’altro, ad allinearsi emozionalmente regalando ascolto e rispetto e validando gli anziani che incontra per quello che sono. Così scopre che a nulla serve chiedere loro sforzi che non possono più compiere e che percorrere la strada della legittimazione riserva grandi sorprese. Quando vengono accolti, riconosciuti e accettati gli anziani confusi e disorientati diminuiscono l’intensità dei loro comportamenti inadeguati, perché diminuisce in loro la necessità di “legittima difesa”.

Lavorando con le persone, Feil scopre giorno dopo giorno che l’atteggiamento convalidante genera fiducia e autostima e apre una nuova via di comunicazione, spesso l’unica, nella quale non c’è più bisogno di soffermarsi sul contenuto. Utilizzando tecniche verbali e non verbali, rispondendo con rispetto e accogliendo la realtà che gli anziani vivono, si allontana infine il tanto temuto isolamento.

La popolazione su cui Validation ha maggior efficacia

Una delle peculiarità del metodo è la sua“plasticità”; gli insegnanti di tutto il mondo si interrogano e si confrontano continuamente sull’efficacia delle tecniche e su casi clinici, trovano criticità, discutono. Uno dei cambiamenti che possiamo considerare più rilevanti è stato quello sulla popolazione a cui si rivolge Validation. Il target con cui si era formata la teoria del metodo era un target molto specifico, quello dei grandi anziani con perdite fisiche/psichiche e sociali, quegli anziani cioè, molto anziani, che venivano diagnosticati in genere con termini come “decadimento cognitivo” o “demenza senile” (oggi diremmo “Alzheimer a insorgenza tardiva”).

Sono stati però negli anni riconosciuti alcuni aspetti del metodo, l’atteggiamento e alcune tecniche, che non solo possono essere usati con molte altre popolazioni, ma risultano di grande efficacia e incidono su quello che possiamo considerare un importante cambiamento nella comunicazione in generale nei confronti della fragilità.

Ci sono poi anche target indiretti, non meno importanti, che sono tutte le persone che ruotano attorno alla persona disorientata, familiari, operatori della cura residenziale o semiresidenziale, come anche quella domiciliare, che scoprono un modo nuovo di vivere la relazione e ricavano da questo maggior soddisfazione professionale e personale.

L’approfondimento del metodo permette infatti al caregiver di lavorare sulla possibilità di non soffocare i sentimenti dell’altro e di essere al contempo in grado di “ritornare” a sé stesso senza portare con sé il bagaglio emotivo che ha condiviso.

Percorsi Validation a partire da noi stessi

Nei corsi e percorsi Validation spesso invitiamo a una riflessione che parte da noi. Ciascuno, se può, si circonda di persone che, attraverso parole e gesti, ci fanno sentire compresi e accolti, poiché questo è un bisogno umano fondamentale. Questo bisogno non si affievolisce quando invecchiamo, anzi. Nella vecchiaia, in genere, aumentano le fragilità e dunque aumentano le richieste di comprensione. Se poi sviluppiamo una qualche forma di disorientamento o difficoltà cognitiva, questo bisogno viene amplificato. Non dimentichiamo di riflettere su quante volte in una giornata un anziano confuso si sente dire, pur con amorevolezza, che ha sbagliato, che le cose non stanno così, che non deve fare quella tal cosa o che deve fare quell’altra.

Nella formazione è fondamentale partire da noi, imparare concretamente, e non solo concettualmente, cosa significa “mettersi nei panni di”.  

Gli obiettivi della formazione Validation sono molti e vanno dal mettere in discussione le modalità comunicative più comuni per iniziare a modificarle, allo studio delle basi teoriche, all’ esercitare le competenze tecniche fino a che divengono spontanee, per costruire una comunicazione differente.

Gli operatori della cura imparano passo dopo passo a dare molta rilevanza alla relazione, dedicando, con il primo livello del corso certificato, vere e proprie sessioni individuali agli anziani disorientati e apprendendo, con il secondo livello, la conduzione del piccolo gruppo dove cose come la condivisione, l’agire ruoli e il circolo dell’energia donano a questo tipo di attività un valore straordinario.

La questione energetica

Validation: la questione energetica
Validation: la questione energetica

Conclusione

La comprensione emozionale è sempre possibile. Imparare a non negare le emozioni, nostre e altrui, anzi a dare loro valore, allenare l’ascolto dei bisogni, riconoscere all’altro la sua visione e lasciargli spazio, sono tutte azioni che generano sensazioni positive e portano a un cambiamento importante nella comunicazione.

Questo può contaminare l’atteggiamento comune, diventando un cammino che ha come scopo un cambiamento culturale. Non è strada facile indubbiamente, poiché si tratta di riconoscere a volte ciò che non ci piace, ciò che non ci appartiene, ciò che è difficile – come nel caso del disturbo comportamentale – ma come in tutti i percorsi difficili, se la meta è importante per noi, cammineremo spinti da un’energia sorprendente.

Per approfondire il metodo

About the Author: 123roberta456

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Metodo Validation e atteggiamento convalidante: ascoltare e riconoscere l’altro, un ponte che supera la solitudine e restituisce dignità

di Francesco Mosetti D’Henry, Master Validation e Cinzia Siviero, Master Validation.

Ascoltare in modo autentico: un ponte per raggiungere l’altro

Il metodo Validation nasce in America alla fine degli anni ’60 e arriva in Italia nel 1996, con il primo workshop tenuto dall’ideatrice Naomi Feil presso l’Istituto Gerontologico Pio Albergo Trivulzio a Milano. Si tratta di una metodica che ci invita a una relazione profonda ed empatica con l’anziano con decadimento cognitivo.

Attraverso un “sentire dentro”, infatti, e grazie alle tecniche validanti (ovvero che danno valore), il caregiver validante lavora alla costruzione di un ponte che permette di raggiungere l’altro. Non è facile ascoltare in modo autentico chi è intrappolato in un altro mondo, chi non vive il nostro stesso piano di realtà; ma accogliere le sue emozioni, qualsiasi esse siano, prendere sul serio ciò che ci comunica, anche se non cognitivamente corretto, ci permette di andare oltre, di contattare la persona affiancandola nel suo difficile cammino, “…e così non si sentirà più sola“.

Validation aiuta anche a comprendere i meccanismi del disorientamento e a vivere il disturbo comportamentale in modo differente, depatologizzandolo e restituendo all’anziano dignità.

Ad uno sguardo attento molti dei comportamenti degli anziani affetti da demenza risultano essere reazioni naturali, forme di adattamento ai problemi della cognitività; essere validanti significa non avere come scopo quello di modificare tali comportamenti. Spesso l’anziano confuso ritorna a vivere il suo passato per esempio, una realtà del là e allora, quando si sentiva utile, vivo, e in questa realtà interiore si chiuderà sempre di più se non troverà nessuno capace di accettare la sua visuale.

Feil sostiene che tutti gli esseri umani sono collegati gli uni agli altri e che ciò non ha nulla a che fare con la religione, il colore della pelle, la cultura o la competenza cognitiva. Quando le persone invecchiano tornano a una “umanità di base” e per raggiungere queste persone non abbiamo altro che il livello emotivo. 

Gladys Wilson e Naomi Feil

Ascoltare per restituire dignità: un atteggiamento convalidante genera fiducia e autostima

La proposta di Naomi Feil arriva da una critica costruttiva nei confronti di modalità relazionali molto frequenti e spontanee (spesso spinte da sentimenti positivi, di amore o protezione) che purtroppo però, se osservate dal punto di vista dell’altro, negano la persona, non riconoscono il suo valore.

Sono modalità relazionali come l’infantilizzazione, il proporre ragionamenti logici quando le capacità logiche non ci sono più, il creare diversioni – spostare il problema – per poter interrompere il comportamento disturbante, l’imbrogliare nella speranza che ciò sia “terapeutico”. Anche l’atteggiamento paternalistico è molto spontaneo quando siamo immersi nella cura dell’anziano fragile e questo non è validazione, perché, anche se intenti ad accudire, non permettiamo all’individuo di dire la sua e di sentirsi libero. Un’autentica forma di incontro e di comunicazione emozionale non ha nulla a che vedere con tutto ciò.

L’interessante intuizione della Feil la spinge ad osservare le persone disorientate, a mettere da parte i suoi sentimenti per evitare il processo di con-fusione con l’altro, ad allinearsi emozionalmente regalando ascolto e rispetto e validando gli anziani che incontra per quello che sono. Così scopre che a nulla serve chiedere loro sforzi che non possono più compiere e che percorrere la strada della legittimazione riserva grandi sorprese. Quando vengono accolti, riconosciuti e accettati gli anziani confusi e disorientati diminuiscono l’intensità dei loro comportamenti inadeguati, perché diminuisce in loro la necessità di “legittima difesa”.

Lavorando con le persone, Feil scopre giorno dopo giorno che l’atteggiamento convalidante genera fiducia e autostima e apre una nuova via di comunicazione, spesso l’unica, nella quale non c’è più bisogno di soffermarsi sul contenuto. Utilizzando tecniche verbali e non verbali, rispondendo con rispetto e accogliendo la realtà che gli anziani vivono, si allontana infine il tanto temuto isolamento.

La popolazione su cui Validation ha maggior efficacia

Una delle peculiarità del metodo è la sua“plasticità”; gli insegnanti di tutto il mondo si interrogano e si confrontano continuamente sull’efficacia delle tecniche e su casi clinici, trovano criticità, discutono. Uno dei cambiamenti che possiamo considerare più rilevanti è stato quello sulla popolazione a cui si rivolge Validation. Il target con cui si era formata la teoria del metodo era un target molto specifico, quello dei grandi anziani con perdite fisiche/psichiche e sociali, quegli anziani cioè, molto anziani, che venivano diagnosticati in genere con termini come “decadimento cognitivo” o “demenza senile” (oggi diremmo “Alzheimer a insorgenza tardiva”).

Sono stati però negli anni riconosciuti alcuni aspetti del metodo, l’atteggiamento e alcune tecniche, che non solo possono essere usati con molte altre popolazioni, ma risultano di grande efficacia e incidono su quello che possiamo considerare un importante cambiamento nella comunicazione in generale nei confronti della fragilità.

Ci sono poi anche target indiretti, non meno importanti, che sono tutte le persone che ruotano attorno alla persona disorientata, familiari, operatori della cura residenziale o semiresidenziale, come anche quella domiciliare, che scoprono un modo nuovo di vivere la relazione e ricavano da questo maggior soddisfazione professionale e personale.

L’approfondimento del metodo permette infatti al caregiver di lavorare sulla possibilità di non soffocare i sentimenti dell’altro e di essere al contempo in grado di “ritornare” a sé stesso senza portare con sé il bagaglio emotivo che ha condiviso.

Percorsi Validation a partire da noi stessi

Nei corsi e percorsi Validation spesso invitiamo a una riflessione che parte da noi. Ciascuno, se può, si circonda di persone che, attraverso parole e gesti, ci fanno sentire compresi e accolti, poiché questo è un bisogno umano fondamentale. Questo bisogno non si affievolisce quando invecchiamo, anzi. Nella vecchiaia, in genere, aumentano le fragilità e dunque aumentano le richieste di comprensione. Se poi sviluppiamo una qualche forma di disorientamento o difficoltà cognitiva, questo bisogno viene amplificato. Non dimentichiamo di riflettere su quante volte in una giornata un anziano confuso si sente dire, pur con amorevolezza, che ha sbagliato, che le cose non stanno così, che non deve fare quella tal cosa o che deve fare quell’altra.

Nella formazione è fondamentale partire da noi, imparare concretamente, e non solo concettualmente, cosa significa “mettersi nei panni di”.  

Gli obiettivi della formazione Validation sono molti e vanno dal mettere in discussione le modalità comunicative più comuni per iniziare a modificarle, allo studio delle basi teoriche, all’ esercitare le competenze tecniche fino a che divengono spontanee, per costruire una comunicazione differente.

Gli operatori della cura imparano passo dopo passo a dare molta rilevanza alla relazione, dedicando, con il primo livello del corso certificato, vere e proprie sessioni individuali agli anziani disorientati e apprendendo, con il secondo livello, la conduzione del piccolo gruppo dove cose come la condivisione, l’agire ruoli e il circolo dell’energia donano a questo tipo di attività un valore straordinario.

La questione energetica

Validation: la questione energetica
Validation: la questione energetica

Conclusione

La comprensione emozionale è sempre possibile. Imparare a non negare le emozioni, nostre e altrui, anzi a dare loro valore, allenare l’ascolto dei bisogni, riconoscere all’altro la sua visione e lasciargli spazio, sono tutte azioni che generano sensazioni positive e portano a un cambiamento importante nella comunicazione.

Questo può contaminare l’atteggiamento comune, diventando un cammino che ha come scopo un cambiamento culturale. Non è strada facile indubbiamente, poiché si tratta di riconoscere a volte ciò che non ci piace, ciò che non ci appartiene, ciò che è difficile – come nel caso del disturbo comportamentale – ma come in tutti i percorsi difficili, se la meta è importante per noi, cammineremo spinti da un’energia sorprendente.

Per approfondire il metodo

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