Applicazioni per la demenza: teorie, evidenze, effetti

Dott.ssa Alba Malara. ANASTE Calabria – Responsabile Scientifico Fondazione ANASTE-HUMANITAS

Terapia come cura e non mera somministrazione di farmaci

Quando parliamo di terapia pensiamo subito alla somministrazione di farmaci come attuazione concreta di mezzi efficaci per contrastare le malattie e non alle terapie non farmacologiche. Questa accezione moderna del termine terapia è il risultato di un lungo percorso storico-culturale che ha rovesciato il significato originario del termine greco “therapeia”, che letteralmente vuol dire “servizio”, e quindi “servitore” è colui che svolga la funzione del “therapon”.

La therapeia non è dunque limitata alla distaccata applicazione di linee guida universalmente convalidate e quindi efficaci per qualunque paziente, a prescindere dalle peculiarità individuali, ma dipende piuttosto dalla funzione concreta che è svolta da chi sceglie di esercitarla. Di conseguenza include una molteplicità di espressioni relazionali, accomunate dalla volontà dell’essere al servizio.

Il termine latino cura corrisponde quasi letteralmente alla parola greca therapeia, indicando anzitutto “sollecitudine”, “premura”, “interesse” espressi nella relazione terapeutica intesa, secondo l’antico concetto filosofico, come “riattivazione del cammino interiore”. A rigore, potrà dirsi autentico terapeuta colui che manifesti il suo pieno coinvolgimento intellettuale, emotivo ed affettivo, verso colui cui si è posto al servizio.

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Il termine “terapie” è quindi correttamente usato [Si veda anche quanto sostiene Andrea Fabbo, più cauto nell’estendere il concetto di “terapia”. N.d.R.] per indicare tutte quegli interventi curativi non farmacologici applicati alla demenza basati su un approccio centrato sulla persona piuttosto che sulla malattia e che, pur non prevedendo la somministrazione di farmaci, da soli o in associazione a terapie farmacologiche, hanno acquistato sempre maggiore evidenza di efficacia nel promuovere salute e qualità di vita per il demente

L’estensione ad una visione immaginativa della demenza, al di là della diagnosi e delle cause di malattia, richiede a tutti i terapeuti di recuperare il significato originario del termine “terapia” e di contribuire all’acquisizione e alla diffusione di un modello di cura che non esclude affatto l’approccio farmacologico, anzi, quando necessario lo incorpora, in una visione più ampia della relazione terapeutica.

La capacità di ascoltare, osservare, sentire, toccare, comunicare, assumersi la responsabilità emotiva del relazionarsi con il demente, significa sviluppare una coscienza metodologica superiore e portare il campo della propria professionalità al di là delle specifiche competenze tecniche.

La relazione terapeutica, quando autentica, si svolge in uno spazio simbolico in cui si genera un’interazione emotiva tra demente e terapeuta; la struttura di questo spazio, che ha le sue regole, i suoi vincoli, le sue possibilità, si manifesta come luogo di produzione di significati e realizza un allineamento energetico denominato “risonanza interpersonale” nel quale il campo più disequilibrato del demente potrà trarre vantaggio da quello del terapeuta.

Comprendere i sintomi comportamentali e psicologici della demenza (BPSD)

I sintomi comportamentali e psicologici della demenza (BPSD) sono molto difficili da gestire: includono agitazione, comportamento motorio aberrante, ansia, irritabilità, depressione, apatia, disinibizione, delusioni, allucinazioni e cambiamenti del sonno o dell’appetito (1) e fino al 97% delle persone con demenza sperimenta almeno un BPSD.

Agitazione psico-motoria, aggressività̀, perdita dell’orientamento e vagabondaggio, insonnia e confusione notturna, rifiuto ad alimentarsi o iperfagia, allucinazioni, deliri, disinibizione sessuale, sono quelli che maggiormente generano stress per il caregiver e per la famiglia, aumentano il carico assistenziale e sono la principale causa di ricovero in residenza (2).

I sintomi comportamentali possono essere influenzati da molti fattori: disturbi o malattie organiche, dolori, paura dell’ambiente circostante, frustrazione dovuta all’incapacità di comunicare, capire o compiere le attività quotidiane.

La maggior parte delle terapie non farmacologiche per la demenza è tesa alla comprensione dei BPSD e a ridurre o eliminare questi sintomi.  Tali terapie sono particolarmente auspicabili soprattutto considerando che gli antipsicotici e altri farmaci psicotropi sono generalmente controindicati per il trattamento cronico dei BPSD. Non solo vi sono prove di beneficio limitato, ma l’uso di tali farmaci è associato a un rischio più elevato di infarto miocardico (3), ictus (4), cadute e mortalità (5).

L’uso di farmaci antipsicotici dovrebbe essere considerato solo nei casi in cui i sintomi rappresentino un pericolo per la persona e solo dopo aver identificato le cause mediche, fisiche, psichiatriche, sociali e ambientali dei BPSD.

Allo stesso modo, le restrizioni fisiche sono controindicate, poiché possono provocare lesioni e influenzare negativamente la cognizione, l’umore e le opportunità di interazione sociale (6).

Terapie non farmacologiche per la gestione dei BPSD

Alzheimer e terapie non farmacologiche. Anziana signora dipinge con l'assistenza di una caregiver
Alzheimer e terapie non farmacologiche

Ad oggi, diverse revisioni sistematiche di Evidence Based Medicine (EBM) hanno identificato una serie di terapie non farmacologiche con significative prove di applicabilità per la gestione dei BPSD.

La maggior parte di queste terapie sono sviluppate su un modello concettuale che concepisce i BPSD come riflesso dell’interazione tra le capacità cognitive dell’individuo e i fattori di stress ambientali.

La progressione della malattia e della neuro degenerazione è il fattore immodificabile di gravità: le capacità di coping, la tolleranza allo stress e la soglia di adattamento ambientale si riducono, così forze ambientali anche lievi influenzano lo stato psicologico dell’individuo inducendo reazioni comportamentali apparentemente aberranti.

In modo complementare, i BPSD sono considerati espressioni per comunicare un bisogno insoddisfatto, dal disinteresse (ad esempio, apatia) a lieve disagio (ad esempio, wandering o irritabilità) al bisogno urgente (ad esempio, aggressione fisica).

Maslow nel 1943 spiegò il comportamento umano in termini di soddisfazione dei bisogni, e descrisse una gerarchia di bisogni umani con i bisogni fisiologici più fondamentali nella parte inferiore di una piramide, ponendo al vertice i bisogni psicologici di auto-realizzazione (7). Soddisfatti quelli di base, gli individui cercano di soddisfare i propri bisogni psicologici. Ciò vale anche per le persone con demenza, ma, man mano che la loro condizione progredisce, hanno sempre più necessità di un supporto per soddisfare i loro bisogni emotivi, spirituali e sociali.

Un siffatto modello comportamentale che concepisce i BPSD come una risposta a stimoli personali, ambientali o sociali non può prescindere dalla considerazione delle altre caratteristiche specifiche della persona come la personalità, la biografia, lo stato cognitivo e funzionale secondo il modello dialettico di Kitwood che è alla base di una cura centrata sulla persona (8).

Una recente revisione sistematica dei dati di letteratura da gennaio 2010 a gennaio 2017 sulle prove di efficacia delle terapie non farmacologiche per la demenza, ha riassunto e descritto le basi concettuali di ciascuna terapia e le relative prove di efficacia secondo i termini di significatività dell’EBM (9).

Riferimenti bibliografici

  1. Cerejeira, J., Lagarto, L., & Mukaetova-Ladinska, E. B. (2012). Behavioral and psychological symptoms of dementia. Frontiers in Neurology, 3, 73. doi:10.3389/fneur.2012.00073
  2. Steinberg, M., Shao, H., Zandi, P., Lyketsos, C. G., Welsh-Bohmer, K. A., & Norton, M. C.; Cache County Investigators. (2008). Point and 5-year period prevalence of neuropsychiatric symptoms in dementia: The Cache County study. International Journal of  Geriatric Psychiatry, 23, 170. doi:10.1002/gps.1858
  3.  Pariente, A., Fourrier-Réglat, A., Ducruet, T., Farrington, P., Béland, S. G., Dartigues, J. F., & Moride, Y. (2012). Antipsychotic use and myocardial infarction in older patients with treated dementia. Archives of Internal Medicine, 172, 648–653; discussion 654. doi:10.1001/archinternmed.2012.28
  4. Douglas, I. J., & Smeeth, L. (2008). Exposure to antipsychotics and risk of stroke: Self controlled case series study. British Medical Journal, 337, a1227. doi:10.1136/bmj.a1227
  5. Kales, H. C., Gitlin, L. N., & Lyketsos, C. G. (2015). Assessment and management of behavioral and psychological symptoms of dementia. British Medical Journal, 350, h369. doi:10.1136/bmj. h369
  6. Scherder, E. J., Bogen, T., Eggermont, L. H., Hamers, J. P., & Swaab, D. F. (2010). The more physical inactivity, the more agitation in dementia. International Psychogeriatrics, 22, 1203–1208. doi:10.1017/S1041610210001493
  7. Abraham Maslow, Toward a Psychology of Being, 1968
  8. Tom Kitwood  Dementia Reconsidered, 1997
  9. Scales K., Zimmerman S., and Miller S.J. (2018) Evidence-Based Nonpharmacological Practices to Address Behavioral and Psychological Symptoms of Dementia. Gerontologist, Vol. 58, No. S1, S88–S102 doi:10.1093

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Quando parliamo di terapia pensiamo subito alla somministrazione di farmaci come attuazione concreta di mezzi efficaci per contrastare le malattie. Questa accezione moderna del termine terapia è il risultato di un lungo percorso storico-culturale che ha rovesciato il significato originario del termine greco “therapeia”. Eppure, per trattare i casi di demenza, l’efficacia delle terapie non-farmacologiche non ha nulla da invidiare ai trattamenti farmaceutici. Ad oggi, la maggior parte delle terapie non farmacologiche per la demenza è infatti tesa alla comprensione dei BPSD e a ridurre o eliminare questi sintomi. Tali terapie sono particolarmente auspicabili soprattutto considerando che gli antipsicotici e altri farmaci psicotropi sono generalmente controindicati per il trattamento cronico dei BPSD.

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