UN CAMBIAMENTO POSSIBILE PER LE CURE PALLIATIVE

In alcuni film di fantascienza abbiamo tutti assistito al saluto intimo tra l’astronauta con l’ormai destino certo, e i propri cari, moglie e figli rimasti sulla Terra. Nessuno di noi avrebbe immaginato che quel saluto a distanza, attraverso un computer, potesse capitare, in analogo modo, a molti di noi. L’emergenza Covid 19 ci ha catapultato nella fantascienza? Ci ha tolto il calore umano? Ci ha reso freddi e insensibili? 

Eppure quell’ultimo saluto dell’astronauta l’abbiamo vissuto come un momento necessario, dignitoso, amorevole, umano. 

Nessuno aveva insegnato ciò che si dovevano dire, via rete, quelle persone apparentemente distanti. La nuova condizione imponeva solo quella via per esprimere l’amore che tutti i protagonisti avevano in cuore.

Nel film poi tutti eravamo coinvolti, sembrava che quelle parole d’amore non avessero segreti da tutelare. Non ci ha dato disturbo “essere presenti”, organizzare l’incontro, permettere di parlare di un ultimo saluto. Tutti sappiamo bene cosa significhi salutare una persona cara e ci ritroviamo sempre nei mille modi in cui tale saluto avviene. Infatti la nostra storia di vita almeno su due questioni è chiara: si nasce e si muore.

Morire vivendo… significa che la morte non è altro che un momento di vita. Quante volte però pensiamo che è meglio non parlare di morte? Si parla della vita, ma non di quel momento di vita che è tanto importante come quello della nascita. 

Questi due momenti così importanti, nascita e morte, sono accomunati da un preciso fattore: deve esserci qualcuno che si deve prendere cura di noi. Un errore, sia nell’uno che nell’altro caso, comporta conseguenze pesanti. Quindi chi si prende cura di noi deve avere la competenza necessaria per accompagnare e far vivere questi momenti proprio per dare senso al tutto.

È presto detto quindi: bisogna prendersi cura di chi cura, anche di quanti, tra il personale sanitario e socio sanitario, si prendono carico di far fronte a detti momenti di vita. Formare alla vita, alla cura delle emozioni, alla gestione del dolore, della solitudine, della umana condizione, dello sconforto, della spiritualità… del buon utilizzo delle tecnologie è un dovere civico, comunitario, umano che dà senso e dignità alla nostra fragile condizione.

Siamo in qualche modo tutti resilienti, tutti lottiamo, giorno per giorno, per affrontare i cambiamenti. Nel morire vivendo non ci viene però chiesto di essere “originali” in quei momenti di naturale passaggio; ci viene semmai chiesto di essere originali nel percorso che permette di giungere a quell’appuntamento. Il percorso, il progetto sono infatti fondamentali per dar senso alla vita. È questo che è straordinariamente importante. Dimenticarci di un percorso di cura ci fa dimenticare di NOI.

https://youtu.be/U8xUGoWH1HU

Cercando di sviluppare questi temi si innestano subito quesiti di carattere economico; e le domande sono: 

“Ma ce lo possiamo permettere? Ci sono le risorse necessarie?”. 

Le comunità, i popoli che hanno investito sul senso di una vita dignitosa e sull’annessa formazione a riguardo sono quelli che in realtà hanno migliorato le loro risorse e hanno aumentato la produttività di un intero paese e la coesione comunitaria. Esiste una “economia antropologica” dalla quale non possiamo nasconderci.

Ogni crisi umana porta con sé anche opportunità: penso che debba essere colta quella di pensare alla Vita e a ciò che ha senso, ovviamente preparandoci.

Prof. Giovanni Sallemi Docente a contratto LUMSA – Roma. 

About the Author: Fabio Vidotto

FOUNDER E CEO DI STUDIOVEGA Collabora con la rivista CURA

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