L’informazione sul decadimento cognitivo e sulla demenza attraverso Instagram: un progetto che sfida i giovani a prendere coscienza della malattia. Vi raccontiamo “Nonnodimentica

La consapevolezza del problema sul decadimento cognitivo

Un milione, dieci milioni, cinquanta milioni. Queste sono le cifre rappresentative nel 2019 del numero di persone affette da demenza, in Italia, in Europa, nel Mondo. Cifre elevate che purtroppo, secondo le stime dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS), sono destinate a crescere fino a triplicarsi nei prossimi 30 anni. E da questi numeri, non può rimanere escluso chi si occupa quotidianamente del malato, il “caregiver”, colui che “si prende cura”, affrontandone la patologia e tutto ciò che questa comporta.


Oggi, in Italia, i caregiver sono circa 3 milioni, destinati a crescere seguendo l’andamento crescente della malattia. È stata la consapevolezza di questo grave problema sociale che mi ha spinta a impegnarmi in un progetto mirato a promuovere una possibile idea di cura informata, offrendo il mio piccolo e personale contributo al processo di “umanizzazione” della malattia, affinché i numeri sopra citati debbano essere intesi non soltanto come identificazione della demenza e del decadimento cognitivo, ma più concretamente con la stessa esistenza delle persone.

La pagina Instagram Nonnodimentica: una sfida lanciata ai giovani

L’idea della pagina Instagram Nonnodimentica è nata durante il periodo di chiusura generale per Covid-19, quando l’isolamento forzato in casa mi ha portata a voler condividere con l’utilizzo di un social network le conoscenze acquisite mediante gli studi di Psicologia, i tirocini e le attività di volontariato svolte.

Gli obiettivi prefissati erano molteplici: fornire informazioni dettagliate sulle malattie neurodegenerative e il decadimento cognitivo, suggerire ai caregiver consigli utili per la gestione dei disturbi comportamentali, riuscire a suscitare la curiosità del lettore, cercando di rendere interessanti argomenti di cui spesso sente parlare senza però averne una corretta consapevolezza o un’informazione errata e superficiale.


“Mio nonno aveva l’Alzheimer quindi sicuramente lo avrò anch’ io”;
“La demenza senile è peggio dell’Alzheimer”;
“Avere la demenza è normale quando si invecchia”.


Sono tutte inesattezze che vengono ritenute dai meno esperti come verità, non conoscendo e non vivendo la loro quotidianità a contatto con le malattie neurodegenerative. Chi non ha coscienza o ignora il problema tende a preferire l’immediatezza di una spiegazione superficiale a una informazione approfondita e cosciente e ciò mi ha convinta che Nonnodimentica potesse essere uno strumento utile a chiarire dei dubbi, a dare la risposta ad alcuni quesiti sul decadimento cognitivo, ma anche a rivedere il proprio punto di vista per crearne di nuovi.

La demenza è qualcosa di reale e radicato nella nostra società e anche se si ha la fortuna di non esserne coinvolti direttamente, non si può semplicemente girare la testa dall’altra parte fingendo che non esista. Tutti noi abbiamo il dovere di affrontare il problema, informandoci e informando a nostra volta, un compito che le connessioni dei social network possono facilitare.


La scelta di Instagram come piattaforma per parlare di decadimento cognitivo è stata la vera sfida di questo progetto: al mio desiderio di aiutare i caregiver e creare rete con gli altri professionisti del settore si è unita la volontà di coinvolgere ed educare un pubblico di coetanei, ragazzi di 20-25 anni, che trascorrono molte ore al giorno proprio su questo social.
Mi sono innanzitutto domandata perché i giovani avrebbero dovuto interessarsi, per esempio, all’Alzheimer e a conoscerne i sintomi o informarsi sulle malattie degenerative. Come riuscire a risvegliare la curiosità in qualcosa che invece di aumentare i like alle fotografie postate porta sofferenza?

Instagram: da social “estetico” a strumento sociale


Instagram, piattaforma sviluppata e lanciata nel 2010 è nata con il fine di far socializzare le persone, costruendo un luogo virtuale dove, connettendosi, ci si potessero scambiare foto e impressioni tra amici, già esistenti o nuovi. Oggi, gli obiettivi di chi si collega ad Instagram sono per lo più cambiati: dall’idea positiva di condivisione, si è passati a un superficiale individualismo, che preferisce l’“apparenza” alla “concretezza” e che promuove stereotipi e idee di bellezza impossibili, mascherati dietro filtri e correzioni fotografiche.

A undici anni dalla sua creazione, l’applicazione conta un miliardo di utenti globali che si sono aggiunti alla sua community e i dati forniti dal report “We Are Social 2021” parlano chiaro: più del 50% degli account appartiene a giovani under trentacinque. Un’età media così bassa, lascia intendere che i suoi iscritti non siano interessati ad argomenti come la vecchiaia o l’invecchiamento, a maggior ragione se patologico, quanto piuttosto ad ostentare una vita perfetta, fatta di divertimento e felicità.


Tuttavia, rimangono evidenti le potenzialità derivanti dall’utilizzo del mezzo Instagram, tra cui quella di poter trasmettere su larga scala una nuova idea di assistenza consapevole che aiuti i giovani a prendere coscienza del ruolo da ricoprire in un contesto futuro. Con il crescere delle malattie degenerative, anche a causa del costante innalzamento dell’età media della popolazione (italiana in particolare), presto la patologia potrebbe colpire i nostri cari, familiari o genitori, facendo diventare noi giovani i prossimi “figli dell’Alzheimer”. È quindi in mano nostra l’onere di non farci trovare impreparati nel gestire le difficoltà.

La tecnologia social, attraverso Instagram, offre la possibilità fin da subito di responsabilizzare ed educare a queste tematiche un potenziale miliardo di persone, un numero talmente elevato da non poter essere ignorato. Sarebbe un cambiamento radicale del nostro punto di vista se si arrivasse a parlare della malattia fino a normalizzarla, per accoglierla, comprenderla o cercare, per quanto possibile, di limitarla.

L’importanza della corretta informazione sul decadimento cognitivo


Il lavoro di prevenzione alla malattia è tanto fondamentale quanto spesso ignorato dai ragazzi, ad oggi focalizzati nella ricerca di in un presente spensierato e privo di preoccupazioni per la propria salute, che sembra renderli invincibili. A tale proposito sono molti gli studi che hanno confermato l’importanza dello stile di vita condotto in giovinezza sull’esito del processo di invecchiamento nell’anziano. In ambito professionale viene denominata “riserva cognitiva” l’insieme di conoscenze, abilità e risorse cognitive che ognuno ha ottenuto dalle proprie esperienze di vita.

Per la sua formazione sono fondamentali gli anni di scolarità prima e l’attività lavorativa svolta o gli interessi del tempo libero poi, variabili che si iniziano a costruire e mantenere a partire dai 20-30 anni di vita. Aver dimostrato che un’elevata riserva cognitiva correli con una performance cerebrale migliore e che inoltre preveda una riduzione del rischio di decadimento cognitivo o dell’insorgenza di malattie neurodegenerative, indica un valido motivo per cui i giovani dovrebbero interessarsene. La consapevolezza di questa consequenzialità porta a ridurre la percezione del gap generazionale che esiste tra “vecchio” e “nuovo”, per definizione considerati agli antipodi, diametralmente opposti e sconosciuti l’uno all’altro.


Si ha sempre paura di ciò che non si conosce”, diceva Osho, e una diagnosi di demenza può rappresentare alla perfezione questo concetto. La patologia è qualcosa di informe, mutevole, ha i confini sfumati e trascina dietro di sé sentimenti di terrore per ciò che accadrà, per un futuro dubbio e allo stesso tempo segnato.

Il decorso della malattia prevede per chi ne è affetto la degenerazione cellulare, ma non prevede dei sintomi o un andamento completamente uniforme: il percorso varia costantemente, in meglio o in peggio, da persona a persona. È importante promuovere un lavoro di informazione corretto e completo con il fine di conoscere i diversi aspetti e sfaccettature del decadimento cognitivo: alcuni tragici, estenuanti e frustranti altri invece positivi, buffi ed esilaranti, all’interno di periodi di accettazione e di serenità.

Risvegliare l’empatia ai giovani


L’interesse che voglio suscitare per il decadimento cognitivo nella mia pagina Instagram non può prescindere, oltre che da una corretta informazione teorica, da una componente più affettiva e psicologica. Attraverso i post di Nonnodimentica cerco di risvegliare nei miei followers più giovani anche un sentimento di identificazione con il malato o con il suo caregiver, per creare un legame empatico con ciò che è diverso. Ispirandomi a quello che molti altri professionisti ed associazioni già fanno da anni, mi piace condividere testimonianze, racconti, parti di libri e trame di film che trattano di malattie neurodegenerative.

Sono infatti convinta che questi elementi facciano maggiore presa su un ragazzo che si approccia per la prima volta a queste tematiche, riuscendo a scatenare un interesse più profondo e comprensivo di quanto possa fare un trattato o un articolo medico scientifico. In un contesto più emotivo e intimo ciascuno si può sentire libero di riflettere su cosa significhi vivere veramente con la demenza, su cosa si provi e perché si presentino i sintomi del decadimento cognitivo.


Per un futuro più consapevole, mi auguro che Instagram riesca a diventare un luogo dove il malato racconti, anche di sé in prima persona, non tanto nelle fasi avanzate della malattia quando la comunicazione diventa cognitivamente difficoltosa, quanto piuttosto nei momenti iniziali della diagnosi, durante i quali ci si appresta a vivere un periodo di paura e di sbandamento. In tali momenti, chi ne è affetto può utilizzare il social per ricevere sostegno, supporto, condivisione oltre che per acquisire il coraggio di combattere il tabù della malattia, imparando a parlarne con la giusta coscienza indispensabile per farsi comprendere anche da chi ne è estraneo.

E la descrizione di uno, potrebbe rivelarsi lo specchio dello stato d’animo e della sintomatologia di molti: confusione, disorientamento, perdita di memoria, difficoltà nel tenere una conversazione, malinconia. Avere l’opportunità di descrivere la vita di tutti i giorni con la malattia, ne cambierebbe la percezione da parte di chi legge, aiutando a capire chi si trova nelle stesse condizioni, ma anche chi si deve approcciare alla malattia per dare il suo aiuto.

Rivaluterebbe l’immagine ormai stereotipata della patologia: prima tra tutte quello dell’anziano con lo sguardo fisso nel vuoto e incapace di capire. In realtà, chi ne è affetto rimane il protagonista della propria storia, con un bagaglio di esperienze e valori che devono essere rispettati, soprattutto da noi giovani.

Bibliografia


Riduzione del rischio di decadimento cognitivo e di demenza (iss.it)

About the Author: Sara Fenzo

Dottoressa in psicologia, autrice della pagina Instagram "Nonnodimentica"

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