Covid-19: L’impatto della pandemia sugli anziani è più forte che sulle altre fasce d’età. Serve una nuova visione della persona e della medicina.

L’emergenza pandemica Covid-19 continua a suscitare un senso di smarrimento a livello sia individuale che collettivo. Si tratta infatti di una malattia inedita e trasmissibile che obbliga ciascuno di noi, e quindi non solo le persone contagiate dal virus, a cambiare i propri comportamenti e gli stili di vita.

Basti pensare a come sono mutati i rapporti interpersonali dopo l’introduzione delle norme di distanziamento sociale. L’evento pandemico si traduce allora per tutti in uno sconvolgimento esistenziale perché ha delle ricadute inevitabili sulle varie dimensioni dell’esistenza umana, in particolare su quella psicologica, emotiva e relazionale.

L’impatto della pandemia sugli anziani: quale portata?

Non vi è dubbio però che la pandemia abbia colpito in misura maggiore i soggetti più fragili e bisognosi. L’impatto della pandemia sugli anziani è stato senza dubbio più forte. Durante il lockdown la persona anziana, magari già limitata nel movimento a causa dell’età o di un determinato quadro patologico, ha subìto ulteriori limitazioni dovute all’isolamento, alla lontananza dai familiari e all’impossibilità di usufruire come prima dei servizi di supporto socio-sanitario.

Per ridurre il rischio del contagio, sia gli anziani ricoverati negli ospedali sia gli ospiti delle RSA hanno vissuto poi il confinamento all’interno di un unico reparto o persino dentro le quattro mura di una stanza. Pur ricevendo assistenza in quei contesti di cura, gli anziani hanno provato un senso di solitudine, se non addirittura di abbandono, perché privati dei loro affetti più cari.

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E ancora oggi misure quali accessi limitati alle strutture assistenziali e breve durata delle visite a orari prestabiliti continuano ad arrecare all’anziano un carico emotivo e psicologico; egli è in buona parte privato della vicinanza e del sostegno della propria famiglia nonché della possibilità, nella fase terminale della vita, di congedarsi dai propri cari. Questi ultimi a loro volta provano la frustrazione di non poter stare quanto vorrebbero a fianco del malato nel momento di maggiore dolore e sofferenza.

Una cultura sfavorevole per le persone anziane

Ai tempi del Covid, la persona anziana deve spesso fare i conti persino con altre ferite dovute a ragioni culturali. Malgrado i casi di positività siano in aumento anche tra i giovani, i soggetti maggiormente a rischio di contagio e di morte continuano ad essere coloro che sono in età avanzata e che presentano già una o più patologie croniche.

È necessario quindi un impegno particolare verso le fasce più deboli della popolazione, ma è meno probabile che questa necessità venga colta in un contesto culturale dove la presenza di malattie o disabilità sembra costituire una sorta di ostacolo per la realizzazione di una vita felice.

In un tale contesto, la persona anziana e sofferente rischia di considerarsi e di essere considerata come un soggetto obsoleto nonché oneroso anche dal punto di vista economico. Da qui gli atteggiamenti di indifferenza e non curanza che all’inizio della pandemia hanno addirittura portato a dire “Tanto muoiono solo i vecchi”.

O ancora la proposta a livello nazionale e internazionale di introdurre un limite di età all’ingresso in terapia intensiva per dare priorità d’accesso alle cure ai pazienti più giovani e con una maggiore speranza di vita. Approcci di questo tipo rischiano di non guardare alla persona nella sua completezza e di stabilire in maniera discriminatoria chi è meritevole o meno di cure in base al criterio aprioristico dell’età.

Riconsiderare il valore della persona e il ruolo della medicina

La pandemia potrebbe allora divenire un’occasione per riconoscere il valore di ogni persona, giovane o anziana che sia, incrementando l’attenzione verso i soggetti più vulnerabili e quindi maggiormente bisognosi.

In vista di un tale impegno, la stessa emergenza pandemica ha mostrato come sia necessario riconsiderare il ruolo della medicina nella promozione della salute e nel contrasto alle malattie.

Focalizzata sulla patologia acuta, la medicina tende tuttora a fornire una risposta tempestiva per ripristinare lo stato di salute precedente all’evento acuto. È questo un approccio medico che non riesce a fronteggiare le malattie croniche, patologie queste particolarmente diffuse tra gli anziani.

In effetti, malgrado possano sperimentare episodi acuti con il conseguente bisogno di un intervento medico immediato, le persone anziane affette da malattie croniche (quali cancro, diabete, patologie cardiovascolari e respiratorie croniche) richiedono un’assistenza medico-specialistica continua e a lungo termine.

Occorre allora ripensare quell’organizzazione delle cure concentrata soprattutto nelle strutture ospedaliere e valorizzare il contributo della cosiddetta medicina del territorio. Quest’ultima ha mostrato le sue lacune proprio nella gestione dell’emergenza pandemica: la scarsa rete di cure territoriali ha precluso a molti anziani la possibilità di ricevere assistenza a domicilio, cioè in quel contesto che, con l’intervento di professionisti sanitari, può favorire una presa in carico globale della persona bisognosa e vulnerabile.

Se questo articolo ti è piaciuto puoi trovare altre interessanti riflessioni della Professore Francesca Marin anche nell’articolo: Nuova cultura per la cura dell’anziano: urge un cambiamento capace di una visione d’insieme.


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