Quello della scrittura terapeutica è un vero e proprio metodo. Qui vi presentiamo quello messo a punto da Sonia Scarpante, utile per sviluppare una conoscenza approfondita di se stessi e per prendersi meglio cura degli altri.


La scrittura terapeutica: da dove nasce il Metodo Scarpante

Perché vi parlo di scrittura terapeutica? Da cosa nasce il metodo Scarpante da me realizzato, registrato e di supporto per chi si occupa di relazione di aiuto e di lavori di gruppo? Tutto vede la luce dopo una patologia vissuta 24 anni fa e da cui è nato un lavoro introspettivo di forte densità evolutiva ma anche di rinascita emotiva, di creazione del senso di sé.

Esercitavo allora la mia professione come Architetto e l’irruzione della malattia ha dettato nuovi tempi con un interrogativo preciso: perché non trasformare una fase difficile e di sofferenza in catarsi di crescita, in positività verso il cambiamento?

Per affrontare quel cambiamento era necessario non temere l’imprevedibilità, aprirsi al coraggio per calarsi nelle tele dell’interiorità, per imparare a sciogliere i nodi e a dare parola alle paure, alle fragilità. La scrittura terapeutica è stata la mia salvezza, la mia grande alleata. È nato così quel primo lavoro autobiografico e di forte valenza terapeutica: “Lettere ad un interlocutore reale. Il mio senso”, da cui si sono realizzate, nel trascorrere degli anni, ben 15 pubblicazioni diverse.

Un saggio, due raccolte di poesie, un libro di racconti che ha partecipato al Campiello, storie di vita, un romanzo…e a breve un manuale, ma tutto in linea e sempre sotto l’ordito della scrittura come cura e di conoscenza del sé.

L’uso della scrittura terapeutica nelle dinamiche di gruppo


Il progetto, da individuale e iniziato in quel 1998,  si è sviluppato attraverso gruppi sempre più eterogenei e quindi si è aperto sempre più verso ambiti sociali di diversa caratterizzazione (ospedali, case circondariali, scuole…) fino a diventare formativo attraverso Master di formazione per professionisti dediti alla cura (Medici, psicologi, educatori…) che attraverso il Metodo desiderano avvalersi di uno strumento in più come propria competenza nei gruppi di lavoro di sostegno e cura alla persona.


Nel lavoro svolto insieme ai corsisti, la mia autobiografia e alcune letture dei testimoni presenti nel gruppo diventano lo strumento, il primo strumento per entrare in contatto “con l’altro” e organizzare da quell’incipit (lettera a me stessa-o) il lavoro sull’interiorità.


Dopo la messa a nudo di una parte dell’esperienza della conduttrice come incipit coesivo (lettera a me stessa da “Lettere ad un interlocutore reale. Il mio senso”), il partecipante si sente indotto a produrre una narrazione simile, a scavare nella propria interiorità al fine di giungere a un tema condiviso, per quanto soggettivamente elaborato. Nel lavoro che si impara a condividere i corsisti interiorizzano il valore e l’importanza del non sentirsi giudicati, l’appartenenza ad una sofferenza comune, la valenza positiva di limitare i pregiudizi.


Attraverso la forma epistolare e temi simbolici che fanno parte del Metodo emerge sempre più la consapevolezza di un lavoro inusuale ma importante per imparare ad approfondire se stessi  anche in una auspicata cucitura con gli affetti che diventano, in step successivi, pietra miliare su cui costruire, tramite la scrittura terapeutica, rapporti più solidi e propositivi.


La scrittura terapeutica di chi partecipa al lavoro di gruppo, da ruvida, come traspare all’inizio del percorso, diviene sempre più fluida e precisa, via via che aumenta la consapevolezza della sofferenza attraversata ed analizzata.
Il gruppo impara già dal primo incontro a fraternizzare con i sentimenti altrui, a percepire l’altro come soggetto carico di una storia emotiva importante e ricca di esperienze toccanti.

La lettera a se stessi come approccio alla scrittura terapeutica

La lettera dedicata a se stessi costituisce la base di partenza che, incontro dopo incontro, consente la messa a punto del meccanismo conoscitivo, dell’osservazione e dell’esplorazione interiore, modalità contrassegnate dalla stesura di altre più approfondite lettere.
Il gruppo riesce a produrre, con crescente partecipazione via via che il lavoro procede per step successivi, e in fase di stesura e in fase di lettura, una condivisione e una solidarietà crescenti, soprattutto quando si toccano temi delicati o percepiti come ferite di disagio dai singoli partecipanti: lettere dedicate ai propri cari o a persone pur sempre decisive, nonostante l’incapacità di raccontare loro.

In tal modo si impara a produrre una lettura di se stessi, ad elaborare lutti e fragilità attraverso lettere indirizzate a persone amate e non, di ieri e di oggi. Lettere scritte a persone essenziali della nostra vita: genitori, nonni, familiari più stretti, figure carismatiche che hanno segnato profondamente i pensieri e le azioni dei soggetti partecipanti.


Utilizzare la lettera come approccio terapeutico facilita l’apertura della sequenza temporale che dall’oggi consente al soggetto di ripercorrere le tappe salienti della propria esistenza, dall’infanzia all’età adulta. La forma epistolare diviene la più duttile per riportare alla memoria, senza troppe censure, le emozioni appartenute, i dispiaceri, i sentimenti più intensi.

Questo lavoro, attraverso la scrittura terapeutica, si rivela, man mano che si prosegue nel viaggio introspettivo, sempre più efficace, fondamentale. La scrittura mette in luce, attraverso uno scavo interiore, nodi esistenziali recenti e di vecchia data, fragilità relazionali, antiche paure.
Gli stati d’animo negativi rivissuti del soggetto che si racconta oralmente, cominciano a perdere, riga dopo riga, una parte dell’ansia che li caratterizzava, mentre quelli positivi, per quanto timidamente scritti ed espressi, trovano nel sorriso e nella naturale accoglienza di alcuni un motivo in più per essere sperimentati di nuovo.
In alcuni soggetti anche durante il percorso con la scrittura si evidenzia il bisogno di esprimere più facilmente la propria interiorità con i propri familiari e l’importanza di estendere il lato emotivo, non visto come disvalore ma come valore aggiunto all’esperienza.


Nonostante, a volte, alcuni effetti contingenti legati alla precarietà della salute si affaccino in vari partecipanti, il soggetto inizia a scorgere un segno di fiducia e di speranza anche come propria capacità di misurare e valorizzare la memoria per rendere la propria vita meno dolorosa e artefice di un senso nuovo.
Davanti al foglio bianco e dentro la bolla di solitudine propria di chi è intento a pensare per scrivere, diviene più facile acquisire una particolare centralità, sentirsi artefici di un proprio spazio riflessivo, in cui raggiungere, con un carico emotivo sopportabile, un ulteriore gradino di consapevolezza. 

Nel seguire il pensiero che si traduce in linee orizzontali, delimitiamo i nostri affanni, diamo corpo verbale al disagio, delineiamo visivamente il nostro malessere e, contemporaneamente, ci apriamo uno spiraglio sul futuro. Prima di scrivere siamo portati a indugiare nelle nostre paure, a conviverci senza mai dar loro un volto e un nome, a permettere che offuschino il nostro più vivo bisogno di equilibrio interiore, condizione imprescindibile per ogni duraturo cambiamento. Anche per questo la scrittura, soprattutto all’inizio, è faticosa, risulta impegnativa, chiede una concentrazione e un’energia cui non siamo abituati.

Lo sforzo richiesto, tuttavia, è indispensabile per trasformare l’esercizio in mezzo espressivo, per commutarlo in atto introspettivo e comunicativo, a sua volta generatore di una scrittura personale che darà forza, sostegno e visibilità ad espressioni interiori nuove: non a caso, nei gruppi di lavoro, dopo la fatica iniziale, dopo essere riusciti a smuovere dentro energie latenti, non è infrequente scoprirsi portati alla scrittura, consapevoli di un talento narrativo tutto da esprimere. Alla prevedibile difficoltà della prima lettera, si aggiunge, poi, la zavorra dei sentimenti negativi – rabbia, rancore, ansia, paura, senso d’impotenza, frustrazione, etc. – in attesa di essere definiti e contestualizzati prima del pieno controllo, della gestione matura, preludio fondamentale per il passo successivo: la loro trasformazione in qualcosa di positivo.

La trasformazione dei sentimenti negativi in qualcosa d’altro

Per riuscire a trasformarli, però, c’è bisogno di guardare avanti, di combattere contro l’incantesimo della consuetudine, di lasciarsi alle spalle il finto o illusorio benessere acquisto: c’è da attraversare il fiume, insomma, c’è da oltrepassare una sorta di guado terapeutico, la prova di coraggio che ci insegna a trasformare in altro la paura del dolore, le angosce e le ansie legate a stati di sofferenza più o meno consapevoli.

Proprio come succede nella vita non scritta, in quella reale, sempre pronta in ogni momento a presentarci le sfide da superare, anche qui, nel nostro lavoro-percorso di scrittura, possiamo scegliere fra due precise opzioni: rinunciare al guado, fermarci per negare il cambiamento – non stimolarlo nemmeno – restare in attesa, tirarci indietro, oppure scrollarci di dosso la pigrizia, l’indifferenza, l’apatia e attivarci per proseguire, insistendo e impegnandoci per toccare, il più presto possibile, l’altra sponda: solo giunti dall’altra parte del guado, con la riva di partenza oramai alle spalle, è possibile dare alla fatica della traversata il giusto e meritato senso.  Anche nel lavoro di gruppo, quindi, come nella vita, i successi acquisiti sono direttamente proporzionali all’energia investita, all’intensità delle battaglie condotte per raggiungerli.

È risaputo come noi evitiamo di allontanarci dalle nostre sicurezze, dalle nostre certezze, concrete e mentali, perché abbiamo paura delle cadute, dell’imprevisto che ci sconcerta, delle novità che non controlliamo: preferiamo rimanere nel nostro stato di insoddisfazione e di disagio, anche a costo di risultare estranei a noi stessi. Ci piace far finta di non sapere che la momentanea perdita di equilibrio, il passo verso l’ignoto, i primi metri del guado, quella “caduta” da affrontare, costituiscono il trampolino che ci proietta verso la salvezza. Dalla mia esperienza posso dire che attraverso quanto scritto nelle mie lettere del 1998, sono riuscita a formulare interrogativi che per anni avevo nascosto e taciuto: dubbi, illusioni e fragilità che, nel tempo, mi hanno resa più sicura nel modo di pensare e più determinata nell’agire.

Esserne stata consapevole, aver imparato a dar loro il giusto nome, mi ha aiutato nelle scelte più delicate. Questo lavoro, attraverso la scrittura terapeutica, si è rivelato oltremodo efficace, fondamentale: ha messo in luce, attraverso un lungo scavo interiore, nodi esistenziali recenti e di vecchia data, fragilità relazionali, antiche paure in agguato nella mia mente. Solo col tempo, senza fretta e forte di un nuovo modo di pensare e vedermi, ne avrei desunto la sua strategica importanza per il mio nuovo equilibrio.

Con la scrittura, singolarmente o in gruppo abbiamo la possibilità, pertanto, di sciogliere molte resistenze, anche le più dense, quelle refrattarie ad ogni trattamento. I benefici dell’operazione di scrittura compiuta dal singolo trovano una felice corrispondenza, incluso un ampliamento, nella condivisione della lettura. Nulla risulta essere così efficace e di sostegno alla persona sofferente come il riconoscere sul volto degli altri le paure o le emozioni trasmesse dalla propria voce. Gli stati d’animo negativi rivissuti dal soggetto, che si racconta oralmente, cominciano a perdere, riga dopo riga, una parte dell’ansia che li caratterizza, mentre quelli positivi, per quanto timidamente scritti ed espressi, trovano nel sorriso e nella naturale accoglienza degli altri un motivo in più per essere sperimentati di nuovo.


[…] Ci sono sguardi che si illuminano, che si accompagnano ad una vertiginosa trascendenza, e ad una assoluta trasparenza, anche quando i volti sono divorati dalla malinconia e dall’angoscia, dallo smarrimento e dalla disperazione. Ci sono sguardi che implorano aiuto, e che fiammeggiano, in volti apparentemente aridi e ghiacciati, impassibili e nondimeno ardenti. Ci sono sguardi che si armonizzano con lo stato d’animo dei volti dai quali sgorgano, e ci sono sguardi in dissonanza radicale con i volti. C’è bisogno di intuizione, di ininterrotta logica del cuore, di impalpabile leggerezza dell’essere, se si vuole avvicinarsi al mistero del guardare.

[E. Borgna. Di armonia risuona e di follia, Feltrinelli, Milano 2012]

Bibliografia:

  • E. Borgna. Di armonia risuona e di follia, Feltrinelli, Milano 2012]
  • Lettere ad un interlocutore reale. Il mio senso Milano 2003 Melusine
  • Non avere paura. Conoscersi per Curarsi. San Paolo 2010
  • Storia di Maura. San Paolo 2012
  • Parole evolute. Esperienze e Tecniche di scrittura terapeutica. Sampognaro & Pupi 2015

Per approfondire l’argomento sulla scrittura terapeutica di Sonia Scarpante clicca qui o vai sul sito La cura di sé

Articoli correlati:

Sulla rivista CURA abbiamo trattato l’argomento delle competenze comunicative come strumenti di cura nell’articolo di Danila Zuffetti: “La medicina narrativa nei luoghi di cura. Conoscere, elaborare e poi rinascere“.

About the Author: Sonia Scarpante

Semi di CURA
NEWSLETTER

Vuoi ricevere una volta al mese spunti di riflessione per il tuo lavoro in RSA?

La newsletter Semi di CURA fa questo ogni ultimo venerdì del mese

HOMES

Quello della scrittura terapeutica è un vero e proprio metodo. Qui vi presentiamo quello messo a punto da Sonia Scarpante, utile per sviluppare una conoscenza approfondita di se stessi e per prendersi meglio cura degli altri.

Per continuare la lettura attiva la registrazione gratuita.
Così avrai libero accesso a tutti i contenuti di rivistacura.it!

Iscriviti
Sei già iscritto?
Accedi

About the Author: Sonia Scarpante

Semi di CURA
NEWSLETTER

Vuoi ricevere una volta al mese spunti di riflessione per il tuo lavoro in RSA?

La newsletter Semi di CURA fa questo ogni ultimo venerdì del mese