Nella prima parte di questa intervista abbiamo affrontato uno delle principali aspetti della crisi del settore delle RSA: la carenza di personale. Nell’intervista condotta da Franco Iurlaro a Sebastiano Capurso, presidente di Anaste, sono emerse cause, concause e quali sono le soluzioni in prospettiva. La seconda parte dell’intervista si concentra sul futuro dell’assistenza territoriale.

Franco Iurlaro cura la rubrica “Il punto” creata per rivistacura.it, in cui approfondisce i problemi attuali che le RSA si trovano ad affrontare, con studi, interviste a esperti del settore ed esperienze.

  Franco Iurlaro Franco Iurlaro, giornalista e consulente per il settore sociosanitario.
  Sebastiano Capurso, Presidente nazionale di ANASTE.

Ti sei perso la prima parte? Trovi qui la parte iniziale di questa intervista a cura di Franco Iurlaro per la rubrica “Il punto”: Intervista a Sebastiano Capurso: RSA in crisi, quali prospettive?

 

Assistenza territoriale: davvero percorribili le soluzioni proposte?

C’è un altro punto di riflessione che voi di ANASTE ci tenete a valorizzare per il futuro del sistema sociosanitario.

HOMES

Il secondo punto su cui ragionare è il futuro dell’assistenza territoriale, a partire da quanto previsto dal PNRR unitamente al decreto 77/2022 (Regolamento recante la definizione di modelli e standard per lo sviluppo dell’assistenza territoriale nel Servizio sanitario nazionale). Il disegno complessivo che ne esce non è quello che auspichiamo, non solo come enti datoriali – cioè come strutture e come gestori – ma anche come esperti di questo settore, proprio perché ci lavoriamo da tantissimi anni.

Assistenza domiciliare: più costosa e manca il personale

Spesso si sente qualcuno che parla della residenzialità come alternativa all’assistenza domiciliare, ma non si considera che, da un lato, questo ultimo tipo di assistenza costa molto di più (a parità di prestazioni), e le risorse economiche per farla funzionare non le abbiamo; dall’altro non si considera che, l’assistenza domiciliare è un setting assistenziale ad alto assorbimento di risorse professionali, ma il personale non c’è e non ci sarà nei prossimi anni. Si sono pensate, e sono in corso di realizzazione, grandi infrastrutture come le centrali operative territoriali, le case della salute, gli ospedali di comunità, i centri di coordinamento per l’assistenza domiciliare, ecc… Ma poi mancano le unità di personale che vadano a fare le prestazioni e i servizi sul territorio.

Riforma Non Autosufficienza: dov’è il personale necessario?

C’è poi l’idea, con la riforma dei servizi per la Non Autosufficienza, di fare un’unità valutativa per tutti gli ultraottantenni. Andrebbe però considerato quanti geriatri e quante équipe servano per fare questo lavoro su milioni di persone: un problema che nessuno si è posto. Si può invece auspicare che possano essere unificate e centralizzate le Équipe di Valutazione Multidimensionale gestite oggi dall’INPS e dalle ASL; un vero meccanismo di unificazione di queste procedure non c’è. Si è prospettata una grandissima sovrastruttura che però presuppone di avere decine di migliaia di operatori che tutti i giorni andrebbero ad assistere le persone a domicilio: ma ci si deve chiedere dove siano nella realtà.

Ciò fa capire che la proposta PNRR ha in sé un vizio di partenza, cioè quello di doversi legare a strutture operative per utilizzare risorse professionali, dovendo necessariamente riempirle di contenuti, di servizi, di attività, di persone che non risultano disponibili e correndo pertanto il rischio di ottenere delle cosiddette centrali nel deserto.

Partire dalle strutture già operative

Nasce pertanto la convinzione che si potrebbe sprecare una grandissima occasione a non sfruttare invece le potenzialità delle strutture già esistenti, che potrebbero essere quindi meglio valorizzate o meglio utilizzate. È necessario un cambiamento di mentalità, quindi, per le progettualità: partire non da quello che potremmo mettere a disposizione o quello che di nuovo potremmo costruire, ma da quello che è necessario a chi esprime un bisogno e chiede assistenza e dalle strutture già operative che abbiamo oggi a disposizione. Per le riforme sociosanitarie non sono stati ascoltati i medici di famiglia o le società scientifiche mediche che nel merito hanno idee diverse. Non sono stati ascoltati i cittadini, che hanno esigenze diverse; non sono stati ascoltati i gestori che organizzano comunque una parte del sistema assistenziale, erogando una significativa quota dei LEA (Livelli essenziali di assistenza). Per la non autosufficienza in particolare si tratta di una riforma fino ad oggi completamente calata dall’alto. Fanno eccezione quelle piccole modifiche ottenute attraverso le proposte del “Patto per un nuovo welfare sulla Non Autosufficienza”.

Le lacune (colmabili) di chi legifera

Potremmo dire che nell’ambito dei decisori, dei legislatori e dell’apparato ministeriale vi sia una forte carenza conoscitiva di una parte dei temi e delle problematiche sociosanitarie. Potremmo definirla in questo senso ignoranza, ovvero lacune da dover completare con l’apporto delle competenze del sistema sociale, dei gestori, del terzo settore.

Purtroppo è così, e lavorare per colmare queste lacune e cercare di modificare le cose è molto più difficile che non avere un campo comune aperto e poter proporre delle cose serie, intelligenti fin dall’inizio.

Sarebbe più semplice trovare insieme soluzioni ragionate

Insomma, purtroppo siamo sempre a rincorrere. Ormai noi siamo abituati da decenni a rincorrere strutture burocratiche che si inventano proposte e soluzioni bizzarre. E costringono a trovare dei contatti, andarci, chiedere faticosamente di cambiare un articolo di legge, di correggere una circolare e di modificare una delibera o un decreto… mentre sarebbe più semplice discuterne insieme fin dall’inizio e magari trovare un ragionevole punto d’incontro (leggi anche Intervista a Sebastiano Capurso: RSA in crisi, quali prospettive?).

Disponibilità di posti letto e degenza inappropriata

Sul piano dell’accoglienza residenziale, dopo la commissione Paglia e le polemiche post Covid, la politica e l’ambito pubblico si stanno rendendo conto del problema delle RSA all’interno della logica degli attuali cambiamenti dati dall’invecchiamento della popolazione unito all’aumento di cittadini non più autosufficienti: una rottura dell’equilibrio del sistema, sebbene precario, di questi ultimi anni. Finora è stato possibile tamponare le esigenze attraverso la costruzione di nuove strutture, ma sostanzialmente mancano posti letto rispetto alle esigenze e alle richieste.

Adesso se ne rendono conto, ma i gestori stanno dicendo da anni che c’è una carenza grandissima rispetto alle medie europee; siamo veramente agli ultimissimi posti. Pochi giorni fa la FADOI (Federazione delle Associazioni dei Dirigenti Ospedalieri Internisti) in un comunicato evidenzia – secondo una ricognizione fatta da loro – che negli ospedali ci sono circa 2 milioni di giornate di degenza inappropriate, perché non si sa dove collocare gli anziani soli che stazionano in corsia, anche per una settimana in più. Questo non è un problema risolvibile con gli Ospedali di Comunità, dove gli anziani possono essere trattenuti altri dieci o quindici giorni; il problema sta nel fatto che questi anziani soli, gravemente compromessi, non possono rientrare a casa o perché o non la hanno o perché non hanno nessuno che li assista.

È necessario invece avere un’alternativa residenziale che li possa accogliere immediatamente. I numeri del prolungamento improprio dei ricoveri considerano come 2,1 milioni le giornate di degenza in eccesso, che influiscono molto sull’intasamento degli ospedali; considerando il costo medio di una giornata di degenza, pari a 712 euro secondo i dati OCSE, fanno in totale un miliardo e mezzo l’anno di spesa che si potrebbero reinvestire in vera assistenza sanitaria. Sono anche qui le risorse per aprire le migliaia di posti letto assistenziali di cui siamo carenti.

Crisi economica delle RSA

E per le RSA permane la situazione di grave crisi economica e finanziaria, ponendo il rischio di fallimenti gestionali e chiusura di strutture.

Un altro grande problema di questo momento storico. Per esempio il Piemonte in un mese e mezzo ha perso 800 posti letto; ad Asti una residenza pubblica di quattrocento posti letto ha dichiarato un buco in bilancio di elevate proporzioni, ed è stata pertanto chiusa. In Puglia, come in tutt’Italia, ci sono chiusure di RSA praticamente ogni settimana. Molte RSA a gestione pubblica si trovano in una situazione di dissesto economico perché con le rette non ce la fanno a coprire i costi: questi sono stati a lungo coperti con sovvenzioni da parte degli enti, ma oggi anche i Comuni e le Regioni faticano a mantenere in vita queste situazioni, e hanno difficoltà a coprire a piè di lista maggiori oneri. E i gestori privati oggi sono arrivati alla frutta; è brutto dirlo ma sono alla canna del gas.

Ciò nonostante, l’ANASTE ha recentemente firmato il nuovo contratto collettivo nazionale.

Abbiamo adottato l’aggiornamento contrattuale con un aumento di costo che per i gestori è un gravoso impegno di circa il 4%. Un lavoratore ANASTE si troverà in busta paga un aumento del tabellare di 15€ – 20€ al mese; è una goccia nel mare, che certo non gli risolve il problema delle bollette ecc., mentre per i datori di lavoro è uno sforzo micidiale perché con un altro 4% di incremento dei costi si rischia il tracollo. È la dimostrazione del nostro impegno e della volontà a non arrenderci, a non lasciare nello sbando questo settore: una dimostrazione di fiducia e di speranza nel futuro, un segnale di ottimismo e di fiducia, anche per indurre le istituzioni a una presa di coscienza su questa situazione.

Le rette sono per lo più ferme da dieci anni e quest’anno l’inflazione si attesta su più dell’8%; se le tariffe potessero aumentare con la disponibilità delle istituzioni – che al momento non si vede – anche solo per compensare i costi legati alla stessa inflazione, non si riuscirebbe comunque a parlare di miglioramenti nella qualità dei servizi o di adeguamento degli stessi all’aumento del livello di complessità degli ospiti, che richiederebbe comunque l’impegno di maggiori risorse. Il reale incremento tariffario dovrebbe infatti orientarsi attorno al 20%. In realtà dovremmo fare una verifica sull’effettiva consistenza delle patologie e sulle criticità assistenziali degli anziani ospiti.

Su questa base – contratti di lavoro e chiare normative in mano – dovremmo poi adottare nuove politiche delle rette di degenza, con l’obiettivo di dare continuità a questa tipologia progettuale di assistenza residenziale, anche perché si è chiamati oggi ad affrontare un problema enorme che si aggraverà nei prossimi anni. Ci sono sempre più anziani, sempre più avanti con gli anni, sempre con più patologie, sempre più compromessi, sempre con maggiori necessità di essere assistiti.

Una situazione che il sistema sanitario pubblico non ce la fa più a gestire, mentre le famiglie non ce la fanno a mantenere gli anziani a casa a proprie spese, con uno stato che le sostiene con poche centinaia di euro mensili. Per l’attuale generazione è tardi pensare alle assicurazioni integrative, servono almeno quindici anni contributivi; è necessario individuare chi se ne fa carico oggi, trovando nuove risorse ed evitando gli sprechi; ci vuole però un’adeguata sensibilità politica per capire che questa situazione vada affrontata adesso.

Sono quindi necessari un tempo e un processo di riforma dei servizi per la non autosufficienza.

Un’adeguata riforma della non autosufficienza unita alla riforma dell’assistenza territoriale: non bisogna inventarsi molte cose, le soluzioni ci sono, le abbiamo davanti, le hanno già adottate con successo altri paesi europei. Non vogliamo far morire soli gli anziani, non li vogliamo lasciare in strutture inadeguate: è un problema di responsabilità collettiva, deve essere chiaro che la responsabilità non può essere dei gestori, costretti dalla contingenza ad alzare le braccia e non poter più garantire un’assistenza appropriata e qualificata, così come la dignità delle persone e dei lavoratori.

Se si vuole organizzare un certo tipo di servizio ci vogliono risorse adeguate, oltre all’impegno del personale che è già enorme: fanno già molto più di quello che sarebbe logico e necessario aspettarsi. Quindi non possiamo esasperare più di tanto questa situazione; è necessaria una modifica del modo di vedere questo mondo, perché se continuiamo ad andare avanti senza cambiamenti l’assistenza andrà sempre più a essere limitata.

Articoli sull’argomento

PNNR salute, Riforma dell’assistenza territoriale.

Ansa, 14 gennaio 2023, Un milione di anziani soli in ospedale 7 giorni di più.

Quotidiano Sanità, 2 gennaio 2023: La sanità e il 2023. Dal Covid al Pnrr fino alla carenza di personale: ecco le principali sfide.

Rainews, 5 gennaio 2023, Controlli Nas in 607 strutture per anziani: farmaci scaduti e Rsa “pollaio”, “Irregolari una su 4”.

Quotidiano Sanità, 18 gennaio 2023, Rsa. Maxi operazione dei Nas: 1 su 4 irregolare. Chiuse sei strutture.

Mondosanità, 20 gennaio 2023, FADOI: Degenze troppo lunghe, anziani lasciati soli.

Anaste, 13 gennaio 2023, Rinnovato il CCNL ANASTE

Anaste, 9 Gennaio 2023, Il SSN arretra su tutti i fronti, per le RSA la disfatta è vicina.

Approfondimenti su rivistacura.it

Carenza di infermieri: dall’OSS con formazione complementare a una progettazione solida per il prossimo ventennio.

Carenza di infermieri: storia e profilo di una figura professionale in evoluzione.

Carenza di personale nelle RSA: le cause di un problema che non si vuole vedere.

Riforma sulla non autosufficienza: intervista a Cristiano Gori.

About the Author: Franco Iurlaro

Giornalista e consulente per il settore sociosanitario

Nella prima parte di questa intervista abbiamo affrontato uno delle principali aspetti della crisi del settore delle RSA: la carenza di personale. Nell’intervista condotta da Franco Iurlaro a Sebastiano Capurso, presidente di Anaste, sono emerse cause, concause e quali sono le soluzioni in prospettiva. La seconda parte dell’intervista si concentra sul futuro dell’assistenza territoriale.

Franco Iurlaro cura la rubrica “Il punto” creata per rivistacura.it, in cui approfondisce i problemi attuali che le RSA si trovano ad affrontare, con studi, interviste a esperti del settore ed esperienze.

  Franco Iurlaro Franco Iurlaro, giornalista e consulente per il settore sociosanitario.
  Sebastiano Capurso, Presidente nazionale di ANASTE.

Ti sei perso la prima parte? Trovi qui la parte iniziale di questa intervista a cura di Franco Iurlaro per la rubrica “Il punto”: Intervista a Sebastiano Capurso: RSA in crisi, quali prospettive?

 

Assistenza territoriale: davvero percorribili le soluzioni proposte?

C’è un altro punto di riflessione che voi di ANASTE ci tenete a valorizzare per il futuro del sistema sociosanitario.

Il secondo punto su cui ragionare è il futuro dell’assistenza territoriale, a partire da quanto previsto dal PNRR unitamente al decreto 77/2022 (Regolamento recante la definizione di modelli e standard per lo sviluppo dell’assistenza territoriale nel Servizio sanitario nazionale). Il disegno complessivo che ne esce non è quello che auspichiamo, non solo come enti datoriali – cioè come strutture e come gestori – ma anche come esperti di questo settore, proprio perché ci lavoriamo da tantissimi anni.

Assistenza domiciliare: più costosa e manca il personale

Spesso si sente qualcuno che parla della residenzialità come alternativa all’assistenza domiciliare, ma non si considera che, da un lato, questo ultimo tipo di assistenza costa molto di più (a parità di prestazioni), e le risorse economiche per farla funzionare non le abbiamo; dall’altro non si considera che, l’assistenza domiciliare è un setting assistenziale ad alto assorbimento di risorse professionali, ma il personale non c’è e non ci sarà nei prossimi anni. Si sono pensate, e sono in corso di realizzazione, grandi infrastrutture come le centrali operative territoriali, le case della salute, gli ospedali di comunità, i centri di coordinamento per l’assistenza domiciliare, ecc… Ma poi mancano le unità di personale che vadano a fare le prestazioni e i servizi sul territorio.

Riforma Non Autosufficienza: dov’è il personale necessario?

C’è poi l’idea, con la riforma dei servizi per la Non Autosufficienza, di fare un’unità valutativa per tutti gli ultraottantenni. Andrebbe però considerato quanti geriatri e quante équipe servano per fare questo lavoro su milioni di persone: un problema che nessuno si è posto. Si può invece auspicare che possano essere unificate e centralizzate le Équipe di Valutazione Multidimensionale gestite oggi dall’INPS e dalle ASL; un vero meccanismo di unificazione di queste procedure non c’è. Si è prospettata una grandissima sovrastruttura che però presuppone di avere decine di migliaia di operatori che tutti i giorni andrebbero ad assistere le persone a domicilio: ma ci si deve chiedere dove siano nella realtà.

Ciò fa capire che la proposta PNRR ha in sé un vizio di partenza, cioè quello di doversi legare a strutture operative per utilizzare risorse professionali, dovendo necessariamente riempirle di contenuti, di servizi, di attività, di persone che non risultano disponibili e correndo pertanto il rischio di ottenere delle cosiddette centrali nel deserto.

Partire dalle strutture già operative

Nasce pertanto la convinzione che si potrebbe sprecare una grandissima occasione a non sfruttare invece le potenzialità delle strutture già esistenti, che potrebbero essere quindi meglio valorizzate o meglio utilizzate. È necessario un cambiamento di mentalità, quindi, per le progettualità: partire non da quello che potremmo mettere a disposizione o quello che di nuovo potremmo costruire, ma da quello che è necessario a chi esprime un bisogno e chiede assistenza e dalle strutture già operative che abbiamo oggi a disposizione. Per le riforme sociosanitarie non sono stati ascoltati i medici di famiglia o le società scientifiche mediche che nel merito hanno idee diverse. Non sono stati ascoltati i cittadini, che hanno esigenze diverse; non sono stati ascoltati i gestori che organizzano comunque una parte del sistema assistenziale, erogando una significativa quota dei LEA (Livelli essenziali di assistenza). Per la non autosufficienza in particolare si tratta di una riforma fino ad oggi completamente calata dall’alto. Fanno eccezione quelle piccole modifiche ottenute attraverso le proposte del “Patto per un nuovo welfare sulla Non Autosufficienza”.

Le lacune (colmabili) di chi legifera

Potremmo dire che nell’ambito dei decisori, dei legislatori e dell’apparato ministeriale vi sia una forte carenza conoscitiva di una parte dei temi e delle problematiche sociosanitarie. Potremmo definirla in questo senso ignoranza, ovvero lacune da dover completare con l’apporto delle competenze del sistema sociale, dei gestori, del terzo settore.

Purtroppo è così, e lavorare per colmare queste lacune e cercare di modificare le cose è molto più difficile che non avere un campo comune aperto e poter proporre delle cose serie, intelligenti fin dall’inizio.

Sarebbe più semplice trovare insieme soluzioni ragionate

Insomma, purtroppo siamo sempre a rincorrere. Ormai noi siamo abituati da decenni a rincorrere strutture burocratiche che si inventano proposte e soluzioni bizzarre. E costringono a trovare dei contatti, andarci, chiedere faticosamente di cambiare un articolo di legge, di correggere una circolare e di modificare una delibera o un decreto… mentre sarebbe più semplice discuterne insieme fin dall’inizio e magari trovare un ragionevole punto d’incontro (leggi anche Intervista a Sebastiano Capurso: RSA in crisi, quali prospettive?).

Disponibilità di posti letto e degenza inappropriata

Sul piano dell’accoglienza residenziale, dopo la commissione Paglia e le polemiche post Covid, la politica e l’ambito pubblico si stanno rendendo conto del problema delle RSA all’interno della logica degli attuali cambiamenti dati dall’invecchiamento della popolazione unito all’aumento di cittadini non più autosufficienti: una rottura dell’equilibrio del sistema, sebbene precario, di questi ultimi anni. Finora è stato possibile tamponare le esigenze attraverso la costruzione di nuove strutture, ma sostanzialmente mancano posti letto rispetto alle esigenze e alle richieste.

Adesso se ne rendono conto, ma i gestori stanno dicendo da anni che c’è una carenza grandissima rispetto alle medie europee; siamo veramente agli ultimissimi posti. Pochi giorni fa la FADOI (Federazione delle Associazioni dei Dirigenti Ospedalieri Internisti) in un comunicato evidenzia – secondo una ricognizione fatta da loro – che negli ospedali ci sono circa 2 milioni di giornate di degenza inappropriate, perché non si sa dove collocare gli anziani soli che stazionano in corsia, anche per una settimana in più. Questo non è un problema risolvibile con gli Ospedali di Comunità, dove gli anziani possono essere trattenuti altri dieci o quindici giorni; il problema sta nel fatto che questi anziani soli, gravemente compromessi, non possono rientrare a casa o perché o non la hanno o perché non hanno nessuno che li assista.

È necessario invece avere un’alternativa residenziale che li possa accogliere immediatamente. I numeri del prolungamento improprio dei ricoveri considerano come 2,1 milioni le giornate di degenza in eccesso, che influiscono molto sull’intasamento degli ospedali; considerando il costo medio di una giornata di degenza, pari a 712 euro secondo i dati OCSE, fanno in totale un miliardo e mezzo l’anno di spesa che si potrebbero reinvestire in vera assistenza sanitaria. Sono anche qui le risorse per aprire le migliaia di posti letto assistenziali di cui siamo carenti.

Crisi economica delle RSA

E per le RSA permane la situazione di grave crisi economica e finanziaria, ponendo il rischio di fallimenti gestionali e chiusura di strutture.

Un altro grande problema di questo momento storico. Per esempio il Piemonte in un mese e mezzo ha perso 800 posti letto; ad Asti una residenza pubblica di quattrocento posti letto ha dichiarato un buco in bilancio di elevate proporzioni, ed è stata pertanto chiusa. In Puglia, come in tutt’Italia, ci sono chiusure di RSA praticamente ogni settimana. Molte RSA a gestione pubblica si trovano in una situazione di dissesto economico perché con le rette non ce la fanno a coprire i costi: questi sono stati a lungo coperti con sovvenzioni da parte degli enti, ma oggi anche i Comuni e le Regioni faticano a mantenere in vita queste situazioni, e hanno difficoltà a coprire a piè di lista maggiori oneri. E i gestori privati oggi sono arrivati alla frutta; è brutto dirlo ma sono alla canna del gas.

Ciò nonostante, l’ANASTE ha recentemente firmato il nuovo contratto collettivo nazionale.

Abbiamo adottato l’aggiornamento contrattuale con un aumento di costo che per i gestori è un gravoso impegno di circa il 4%. Un lavoratore ANASTE si troverà in busta paga un aumento del tabellare di 15€ – 20€ al mese; è una goccia nel mare, che certo non gli risolve il problema delle bollette ecc., mentre per i datori di lavoro è uno sforzo micidiale perché con un altro 4% di incremento dei costi si rischia il tracollo. È la dimostrazione del nostro impegno e della volontà a non arrenderci, a non lasciare nello sbando questo settore: una dimostrazione di fiducia e di speranza nel futuro, un segnale di ottimismo e di fiducia, anche per indurre le istituzioni a una presa di coscienza su questa situazione.

Le rette sono per lo più ferme da dieci anni e quest’anno l’inflazione si attesta su più dell’8%; se le tariffe potessero aumentare con la disponibilità delle istituzioni – che al momento non si vede – anche solo per compensare i costi legati alla stessa inflazione, non si riuscirebbe comunque a parlare di miglioramenti nella qualità dei servizi o di adeguamento degli stessi all’aumento del livello di complessità degli ospiti, che richiederebbe comunque l’impegno di maggiori risorse. Il reale incremento tariffario dovrebbe infatti orientarsi attorno al 20%. In realtà dovremmo fare una verifica sull’effettiva consistenza delle patologie e sulle criticità assistenziali degli anziani ospiti.

Su questa base – contratti di lavoro e chiare normative in mano – dovremmo poi adottare nuove politiche delle rette di degenza, con l’obiettivo di dare continuità a questa tipologia progettuale di assistenza residenziale, anche perché si è chiamati oggi ad affrontare un problema enorme che si aggraverà nei prossimi anni. Ci sono sempre più anziani, sempre più avanti con gli anni, sempre con più patologie, sempre più compromessi, sempre con maggiori necessità di essere assistiti.

Una situazione che il sistema sanitario pubblico non ce la fa più a gestire, mentre le famiglie non ce la fanno a mantenere gli anziani a casa a proprie spese, con uno stato che le sostiene con poche centinaia di euro mensili. Per l’attuale generazione è tardi pensare alle assicurazioni integrative, servono almeno quindici anni contributivi; è necessario individuare chi se ne fa carico oggi, trovando nuove risorse ed evitando gli sprechi; ci vuole però un’adeguata sensibilità politica per capire che questa situazione vada affrontata adesso.

Sono quindi necessari un tempo e un processo di riforma dei servizi per la non autosufficienza.

Un’adeguata riforma della non autosufficienza unita alla riforma dell’assistenza territoriale: non bisogna inventarsi molte cose, le soluzioni ci sono, le abbiamo davanti, le hanno già adottate con successo altri paesi europei. Non vogliamo far morire soli gli anziani, non li vogliamo lasciare in strutture inadeguate: è un problema di responsabilità collettiva, deve essere chiaro che la responsabilità non può essere dei gestori, costretti dalla contingenza ad alzare le braccia e non poter più garantire un’assistenza appropriata e qualificata, così come la dignità delle persone e dei lavoratori.

Se si vuole organizzare un certo tipo di servizio ci vogliono risorse adeguate, oltre all’impegno del personale che è già enorme: fanno già molto più di quello che sarebbe logico e necessario aspettarsi. Quindi non possiamo esasperare più di tanto questa situazione; è necessaria una modifica del modo di vedere questo mondo, perché se continuiamo ad andare avanti senza cambiamenti l’assistenza andrà sempre più a essere limitata.

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