La carenza di infermieri nelle RSA è uno dei principali problemi che il settore sociosanitario sta affrontando. Franco Iurlaro porta alla luce il tema, intervistando Fabio Toso, nella rubrica di attualità “Il punto”, che ha ideato e che cura per rivistacura.it.

Fabio Toso

Franco Iurlaro, (giornalista e consulente per il settore sociosanitario), approfondisce il tema della carenza di infermieri nelle RSA intervistando Fabio Toso (Direttore Generale della Fondazione Opera Immacolata Concezione Onlus di Padova Onlus e Vice Presidente Nazionale dell’UNEBA) che riporta l’esperienza della Regione Veneto nell’aver promosso la figura dell’OSSS, cioè dell’Operatore Sociosanitario con formazione supplementare.


Sul tema trovate anche l’intervista a Francesco Casile (infermiere di formazione, docente di infermieristica all’Università di Torino, Direttore di NEU, Rivista di Formazione Infermieristica, Periodico dell’Associazione degli Infermieri di Neuroscienze, ANIN) che ci parla della carenza di infermieri in base alla storia e al profilo di questa figura.

Premessa: i numeri per capire

Oggi in Italia mancano all’appello 70.000 infermieri di cui solo 28.500 al nord. Secondo il PNNR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza). Servirebbero 50.000 infermieri, ma il Decreto Ministeriale 71 li traduce in 70.000, in considerazione della presa in carico di pazienti over 65, del 10% in più rispetto al 4-6% di prima. Gli infermieri abbandonano la professione e gli studenti non la scelgono.

A fine articolo trovate anche i link ai principali articoli che permettono di comprendere il dibattito attuale sulla carenza di infermieri.

L’intervista a Fabio Toso

Origini e cause del problema

La carenza di infermieri ci riporta alle criticità degli anni ’90, quando iniziò la mobilità verso l’Italia di personale dal mondo balcanico. Quali sono gli elementi e i dati di problematicità sui cui ritiene urgente intervenire?

«Innanzitutto, prima della carenza di infermieri, è urgente fare una riflessione a 360 gradi sulla carenza di personale sanitario tout court su tutti i servizi in Italia», spiega Toso, «perché purtroppo si è cominciato a parlare esclusivamente della carenza di infermieri. Bisogna superare e guardare molto oltre, cioè la penuria di personale sanitario c’è nel Nord Europa, in Italia, Germania, Francia, Inghilterra da anni»

La crisi infermieristica è quindi solo la punta dell’iceberg di un enorme problema, non solo italiano, ma europeo.

«La carenza di infermieri e di personale sanitario viene da molto lontano, dalla fine degli anni ’90. Quando nel 2010 si è cominciato ad avere qualche risorsa in più perché le Università hanno cominciato a formare e la Sanità italiana aveva ridotto le assunzioni, gli infermieri italiani se ne sono andati all’estero.

Ciò testimonia una mancanza di corrispondenza fra la programmazione della salute dei cittadini e la contemporanea formazione del personale (che per gli infermieri richiede tre anni e per i medici dagli otto anni in su). Quindi il vero problema è la carenza nell’analisi e nella programmazione sistemica delle risorse umane per la sanità, con danno per operatoriinfermieri,  medici e anche le loro relative specializzazioni».

Quali possono essere le consapevolezze da attivare e le azioni da mettere in campo per far fronte a questa situazione?

Prima di tutto, Toso si sofferma su una riflessione a 360 gradi  rispetto alla gestione dell’assistenza nelle residenze sociosanitarie:

«Le persone accolte nelle residenze per anziani sono persone che hanno necessità sanitarie molto elevate rispetto al passato: entrano nelle residenze perché hanno bisogni che a casa non possono essere risolti. È quindi inutile la diatriba tra la domiciliarità e la residenzialità, perché tutto deve essere visto come un continuum di servizio.

L’invecchiamento della popolazione, e la cronicità che ne deriva, portano alla necessità di avere un servizio che una volta veniva gestito nelle lungodegenze, nella geriatria e nelle medicine ospedaliere, le quali oggi non sono più utilizzate per ospitare gli anziani. Dobbiamo essere consci che la situazione assistenziale all’interno delle residenze per anziani ha una componente sanitaria importante. Evidenziando questo problema, la componente infermieristica si trova a fare un’attività da cui si trova un po’ distaccata.

Non esiste infatti la facoltà di infermieristica con la specializzazione nella geriatria e lungodegenza, e dopo il triennio i tirocini sono fatti prevalentemente negli ospedali, mentre quelli nelle residenze per anziani sono rarissimi. La vocazione diventa quella ospedaliera e altri inserimenti come le residenze vengono considerati una situazione di parcheggio momentaneo.

Ci vorrebbero iniziative universitarie di master e specializzazioni per le realtà degli anziani non autosufficienti, con tirocini all’interno delle residenze. Anche le associazioni di categoria e gli ordini professionali conoscono parzialmente o solo parzialmente il mondo delle RSA. Quindi la conoscenza va fatta attraverso un interscambio culturale con la formazione universitaria».

Di fatto, alla radice del problema dunque, risiede la mancanza di un’adeguata informazione sulla situazione reale nelle residenze per anziani, sulla non autosufficienza, sulla Long Term Care. Prosegue Toso infatti:

«Abbiamo visto sui giornali che ne parlano tutti, ma tutti ne parlano a caso o prendono in considerazione solo un aspetto parziale del problema, mentre i gestori e chi opera all’interno delle residenze è abituato a parlare dell’anziano a 360 gradi, in senso olistico, come équipe multidisciplinare.

Dobbiamo far cultura su questo tipo di attività, consapevoli che l’unico luogo per la presa in carico della persona anziana è l’équipe interdisciplinare. Non esiste nessun altro luogo sanitario o sociosanitario che abbia questa funzione».

Carenza di infermieri: OSS con formazione complementare?

Cosa ci può dire dell’esperienza nella Regione Veneto riguardo l’OSSS, ovvero l’operatore sociosanitario con formazione complementare (specializzazione per diventare una figura di supporto all’assistenza infermieristica e ostetrica)?

«La Regione, come è noto, aveva deliberato di adottare la figura dell’OSSS incontrando resistenze di visioni professionali, sindacali e di albo professionale. Il problema qui non era, tuttavia, la cura dell’anziano, ma chi se ne prendeva cura.

Se ognuno fa il suo gioco di ruolo non si arriva da nessuna parte. Infatti, per quanto riguarda l’OSSS non stiamo parlando di una figura che deve sostituire gli infermieri; dobbiamo concentrarci sulle persone che hanno patologie e cronicità da curare. Non possiamo pensare che basti solo la figura dell’operatore sociosanitario. Ci vuole una figura che abbia caratteristiche in più di conoscenza, anche sanitaria, che possa aiutare l‘infermiere, non tanto a fare l’infermiere, quanto a sostenerlo in un carico di lavoro che per questa figura è aumentato tantissimo».

Un aumento che rende necessaria una revisione del modello organizzativo, dunque.

«C’è l’operatore OSS, c’è l’operatore con formazione complementare OSSS e c’è l’infermiere: un’équipe più qualificata. Su questo tema l’ordine professionale degli infermieri del Veneto ha accettato di sedersi intorno a un tavolo, con il risultato che la delibera della Regione Veneto, la numero 650 del 1º giugno 2022, ha espresso che l’assessore regionale e l’ordine professionale infermieri concordano che va bene fare la formazione per gli operatori con funzione complementare e che questa formazione sia fatta dagli infermieri, mentre domani questi faranno la supervisione sulle attività.

Per cui, l’integrazione delle due componenti professionali porterà al miglior risultato per tutti, ma soprattutto per l’ospite anziano. Il Veneto ha dimostrato che, sedendosi attorno a un tavolo, si riesce a raggiungere l’obiettivo di definire insieme quali siano i ruoli di operatori sanitari ed infermieri tra loro integrati. Questa è la chiave per risolvere le difficoltà, la condivisione e l’interazione fra professionisti.»

Deve essere chiaro quindi che la terza “S” per l’OSS non è in sostituzione dell’apporto professionale di un infermiere.

«L’infermiere in residenza deve gestire parecchi ospiti anziani, spesso il medico non è presente, deve prendere spunto dalle proprie abilità, ecc. Il fatto di avere degli operatori qualificati che lo aiutino nelle operazioni più complesse, nella gestione dell’informazione per i familiari, nella condivisione e nel monitoraggio giornaliero, per l’infermiere può essere un grandissimo aiuto».

E cosa rispondere allora a chi sostiene che l’OSSS sia un sostituto di “serie B” degli infermieri?

«È sbagliato pensare che l’operatore sociosanitario con formazione complementare sia un sostituto di serie B degli infermieri. Chi lo ha pensato l’ha fatto strumentalmente per tutelare una categoria professionale, salvo poi accorgersi che per tutelare la categoria degli infermieri è necessario avere questa figura OSS, perché altrimenti l’infermiere, rispetto a tutta l’attività fatta dagli operatori sociosanitari, si dovrebbe caricare di responsabilità dalla A alla Z, mentre invece ha bisogno di qualcuno che lo supporti in quelle attività che oggi, rispetto al passato, hanno assunto una componente sanitaria importante.

Alcuni esempi. Si parla tanto di domiciliari e ognuno a casa oggi utilizza strumenti ritenuti sanitari, quali l’apparecchio per la misura della glicemia, per la pressione arteriosa: nelle nostre realtà residenziali sono attività che può fare solo ed esclusivamente l’infermiere, mentre a casa può farlo chiunque. Penso che individuare figure professionali che supportino gli infermieri in tutta una serie di attività di monitoraggio, di l’utilizzo di strumenti già oggi disponibili nelle case delle persone sia un bel vantaggio.

Il vantaggio di avere un operatore che non è più solo quello che ha una formazione annuale con dei corsi di formazione aggiuntivi, ma proprio una formazione specifica per essere adeguato a quello serve. Sarebbe molto meglio chiamarlo ‘operatore sociosanitario specializzato nelle cronicità‘, allora forse si capirebbe di più».

Se non argomentati adeguatamente certi discorsi facilmente farebbero cadere nell’ideologia, nella corporazione. Così Toso conclude:

«Quest’operazione rappresenta una crescita per l’ordine professionale degli infermieri, non una loro diminuzione di personale. In Veneto lo hanno capito e sostenuto».

Carenza di infermieri: importiamo personale dall’estero?

La figura dell’infermiere ha avuto in questi anni in Italia uno sviluppo professionale di altissima qualità. Un profilo così qualificato è compatibile con le figure provenienti dall’estero?

Per quanto Toso sia pienamente d’accordo sul fatto che gli infermieri provenienti dall’estero siano adeguatamente formati, precisa:

«Queste figure sono formate per andare all’ospedale e comunque nelle nostre realtà residenziali ci rimangono poco tempo. Se mi dicono che bisognerebbe costruire un know how sulla lungodegenza, sulla gestione delle cronicità, vorremmo che anche gli infermieri che vengono dall’estero siano formati su questo.

Qui c’è un’altra particolarità che vorrei aggiungere perché il problema dell’Università a formare gli infermieri si riscontra nei tirocini. Spesso gli ospedali fanno infatti da ‘collo di bottiglia’ per la formazione. Quindi l’Università potrebbe formare più professionisti, ma non ha lo spazio per fare gli stage negli ospedali. In Veneto i posti letto nelle residenze per anziani sono di più che negli ospedali, pertanto forse sarebbe importante utilizzare e valorizzare gli stage anche nelle realtà delle RSA, che hanno cronicità importanti, gestiscono anche ospedali di comunità.

In più c’è da dire una cosa: le Università oggi stanno formando esattamente numeri predeterminati, 17 mila infermieri all’anno. Bene, ne servono qualcosa come 6 mila in più all’anno. Le domande di immatricolazione respinte da persone che avrebbero voluto iniziare questo percorso universitario sono pari a 10 mila, secondo alcuni report. Le Università dicono che aumenterebbero i posti, ma non ci sono domande e ciò non corrisponde alla realtà. Le potenzialità non corrispondono ai posti offerti dalla formazione universitaria.

Se condividiamo le informazioni, cominciamo a capire che il problema lo dobbiamo affrontare insieme. È importante avere i numeri reali, perché altrimenti non si capisce il perché delle esclusioni»,

In questo modo la soluzione di importare infermieri dall’estero alla fine diventa una falsa soluzione, perché si potrebbe risolvere il problema anche in proprio. Corretto?

«Assolutamente sì. Basta impegnarsi a farlo, tutti seduti intorno a un tavolo».

Che futuro dobbiamo costruire?

Se dovesse redigere un progetto che affronti le criticità di cui stiamo parlando, quali sarebbero i punti chiave sui cui puntare?

«Siederemmo intorno a un tavolo con l’Università e con le categorie professionali con lo scopo di integrare i percorsi formativi dei professionisti. Sempre con responsabilità, perché nel momento in cui si aumenta l’intensità di cura nelle persone fragili, non si può pensare di ridurre il numero degli infermieri da formare. Questo è quello che oggi sta succedendo».

Rimangono alcuni quesiti rispetto a ciò, che Toso esprime:

«Quanti posti devono esserci nelle Università dall’analisi dei bisogni e da quanto prospettato come modello organizzativo dalle associazioni di categoria? Chi fa il regista di questa vicenda? Perché la politica non è capace e non capisce nemmeno il problema? Io credo che l’Università e le associazioni di categoria possano essere i due terminali più importanti, perché le figure professionali provengono dall’Università e l’organizzazione è data dalle associazioni di categoria. L’equilibrio economico di questo modello funzionerebbe benissimo, perché le facoltà avrebbero persone che si iscrivono e le istituzioni come le nostre avrebbero posti di lavoro da assegnare. Assolutamente possibile».

Concludendo. Infermieri, OSSS, ma anche medici. Dove siamo e dove andremo?

 «Quando si leggono le prospettive di realizzazione delle Case della Salute previste dal PNRR, si parla dell’assunzione di migliaia di infermieri. Se non si fa una seria riflessione su quello che vogliamo fare per i prossimi vent’anni – non tre o quattro, ma vent’anni – la sanità non riuscirà nei suoi intenti, e qualsiasi decisione sarà sbagliata. Avremo nuove costruzioni finanziate con il PNRR che resteranno vuote. Questo anche per mancanza di integrazione con il territorio, mentre invece sappiamo che quello che serve per far funzionare i sistemi sono le persone, i professionisti.

Quindi mi chiederei se qualcuno abbia il coraggio di dire cosa vogliamo fare nei prossimi vent’anni, cosa si debba fare e come. Perché fra vent’anni potremmo avere tutti i debiti dati dal PNRR e ancora carenza di personale.

Secondo me quello che va promosso oggi è un programma ventennale. E siccome le istituzioni che io rappresento hanno storie decennali, cinquantennali, centenarie, lo vedo possibile. Ad esempio, come associazione di categoria UNEBA, pretendiamo che da chi governa oggi ci sia detto qualcosa su cosa si prevede fra vent’anni, su dove saremo».

Dovendo invece sognare con fare lungimirante, puntando sulle persone, l’UNEBA si può autonomamente immaginare nel futuro.

«Ecco, siamo una realtà che ha anticipato le case della salute, che ha anticipato le case della comunità, che ha anticipato l’assistenza del territorio, che ha anticipato tutto ciò che oggi si sta pensando. Non siamo gestori, ma siamo programmatori perché noi il territorio lo leggiamo da decenni.

Dobbiamo avere la capacità di non essere più gestori di qualcosa che qualcun altro organizza, ma diventare progettisti, attori programmatori. Se non siamo questo, le RSA saranno sballottate da una norma all’altra. Dobbiamo sederci al tavolo come soggetti promotori o programmatori, assieme alle Istituzioni pubbliche.

Decenni di storia forse non ci hanno dato la forza, la capacità, la coscienza, la consapevolezza di presentarci come soggetti promotori e programmatori. Ora però bisogna riuscire a farlo, e questo è un sogno. Allora potremmo dire insieme agli altri “c’eravamo anche noi” a definire cosa sarà la realtà di questo paese tra vent’anni».


Alcuni titoli di “cronaca”, tratti dal quotidiano online di informazione sanitaria: quotidianosanità.it che aiutano a comprendere il dibattito attuale sulla carenza di infermieri.

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About the Author: Franco Iurlaro

Giornalista e consulente per il settore sociosanitario

La carenza di infermieri nelle RSA è uno dei principali problemi che il settore sociosanitario sta affrontando. Franco Iurlaro porta alla luce il tema, intervistando Fabio Toso, nella rubrica di attualità “Il punto”, che ha ideato e che cura per rivista CURA.

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