Il laboratorio teatrale è una scommessa pedagogica e artistica portata avanti dalla RSA Casa Serena per dare una risposta concreta all’urgenza di supportare il bisogno relazionale e quello del riconoscimento di sé dell’anziano.

Di Manjola Allkanjari, Alessia Gennari, Laura Ghiro

“Attori del proprio benessere”: il laboratorio teatrale come risposta ad un’urgenza

Raccontare l’esperienza del laboratorio teatrale per anziani attivo dall’ottobre 2015 presso la RSA Casa Serena significa raccontare la storia di una convinzione: quella secondo cui il dispositivo della cura debba avere come priorità la protezione dell’anziano e che la tutela della salute non debba limitare ma riconoscere e favorire la centralità della persona, il rispetto della sua dignità e della sua libertà. Il percorso nasce dalla percezione di un’urgenza, quella di ideare nuovi processi per potenziare la dimensione relazionale e la percezione individuale degli anziani coinvolti, utilizzando l’arte per generare benessere attraverso lo strumento teatrale.

(Abbiamo approfondito il tema della cura centrata sulla persona in questo articolo )


Il laboratorio teatrale, infatti, ha come precipua caratteristica la possibilità di costruire una nuova narrazione di sé, permettendo a ciascuno di sperimentare la migliore espressione del proprio potenziale attraverso la condivisione, la presa di coscienza delle proprie capacità espressive e relazionali, il potenziamento della capacità di ascolto di sé e degli altri. Rivisitare la propria storia rendendola nuova e più lieve, perché consegnata al gruppo e rielaborata artisticamente e coralmente: questa la metodologia che ha risposto all’urgenza e ha permesso a un’idea di diventare una realtà strutturata, radicata, ormai fondamentale all’interno dell’offerta educativa e ricreativa di Casa Serena.


L’esperienza del laboratorio teatrale è stata avviata all’interno della struttura nel 2015, con il sostegno dal Presidente Dottor Pier Angelo Ugazio e dal Direttore Marco Bagnoli. Il team di lavoro del percorso laboratoriale è costituito dalle autrici di questo articolo: l’educatrice professionale Laura Ghiro, ideatrice del progetto e membro dell’équipe di Casa Serena, l’educatrice professionale Manjola Allkanjari della Cooperativa Punto Service, cui fanno capo i servizi ricreativi dell’istituto, e la regista Alessia Gennari, esperta esterna alla struttura. Con l’équipe hanno collaborato negli anni, occupandosi della didattica e dell’accompagnamento musicale, il Maestro Tazio Forte e il musicoterapeuta Maurizio Taverna.


Il progetto si è sviluppato all’interno della programmazione dell’Università del Tempo Libero, servizio che accoglie studenti dai sessant’anni anni in su, permettendo l’integrazione tra anziani provenienti dal territorio e ospiti della RSA.

L’idea di inserire nella programmazione didattica un corso di teatro è nata dalla necessità, sempre più urgente a causa della crescente fragilità degli ospiti della RSA, di ampliare le proposte educative in grado di promuovere le capacità espressive e relazionali degli stessi. Scegliere il laboratorio teatrale è stata una vera e propria scommessa pedagogica, proprio in virtù di questa stessa fragilità: l’arte che più di ogni altra utilizza il corpo, la parola e la memoria come strumenti per l’espressività non trovava infatti premesse ottimali in un contesto in cui disabilità fisiche e decadimento cognitivo costituiscono non l’eccezione, ma la regola.

Trasformare le fragilità in risorse è l’azzardo che ci si è riproposti di tentare nel laboratorio teatrale: il processo che ne è sorto ha permesso di coniugare un’esperienza di creazione artistica a un intervento di lavoro sulla persona, sul vissuto e sulle dinamiche relazionali, nonché sulle abilità motorie e intellettuali. Se il processo, dunque, costituisce il fine principale dell’intervento, non secondario è l’obiettivo artistico che il percorso si propone, ossia la realizzazione di uno spettacolo teatrale vero e proprio.

La presenza di una meta condivisa e di un momento di apertura del lavoro con il pubblico, rappresentato da ospiti della RSA, famigliari degli attori e cittadini del territorio, rappresenta una forte spinta motivazionale per il gruppo e per il singolo e costituisce il valore aggiunto di un’operazione che si propone finalità non solo pedagogiche ma anche artistiche.

La struttura del percorso del laboratorio teatrale

Il laboratorio teatrale si è svolto a partire dal 2015 da ottobre a maggio. Prima della pandemia sono stati iniziati e conclusi quattro cicli, mentre è rimasto sospeso il quinto ciclo, iniziato nell’ottobre del 2019 e interrottosi nel febbraio 2020.

Il percorso prevede un incontro settimanale della durata di un’ora e mezza e si svolge in una sala dedicata all’interno della struttura. Il gruppo prevede un numero di circa venticinque partecipanti di età, abilità e provenienza mista e prevede ospiti interni alla struttura (anche con gravi disabilità psicofisiche) e partecipanti esterni abili e non, oltre ai volontari e alle educatrici.

Questa composizione del gruppo, se da un lato determina la necessità di adeguare la didattica a un pubblico eterogeneo, al tempo stesso permette di integrare nel gruppo le fragilità e le potenzialità reciproche, con beneficio di tutti i partecipanti: quelli provenienti dall’esterno della struttura, dotati di maggiori abilità motorie e cognitive, assumono progressivamente un ruolo protesico nei confronti delle persone più fragili e, indossando i panni dell’“attore solidale“, amplificano gli stimoli, agevolano il movimento fisico dei partecipanti disabili e svolgono un‘azione di supporto mnemonico ed emotivo prezioso.

Gli attori più fragili a loro volta trovano con successo il proprio spazio espressivo e si sentono sostenuti, riducendosi il timore dell’insuccesso e mettendo in campo una crescente messa in gioco. Parallelamente le persone esterne attraversano l’esperienza del laboratorio teatrale godendo degli stimoli teatrali, esprimendo le proprie abilità, spesso non conosciute, ridimensionando tendenze di protagonismo in favore di una partecipazione più corale e, nel caso di alcuni dei membri del gruppo già attivi come volontari, consolidando il proprio ruolo e la propria funzione all’interno della struttura.


Nella selezione dei partecipanti, i criteri guida sono molteplici. La conoscenza della storia, delle modalità di approccio relazionale e delle inclinazioni individuali di ognuno (socievolezza, espansività, loquacità, bisogno di interazione col prossimo o timidezza, rassegnazione all’abbandono e alla solitudine, necessità di potenziamento del senso di adeguatezza) aiutano a definire gli obiettivi di un lavoro educativo individuale all’interno di un lavoro di gruppo.

Un dialogo costante tra educatrici ed esperta esterna, attraverso sessioni in équipe al termine di ogni incontro, permette al lavoro artistico di assumere una funzione più ampia, includendo obiettivi educativi e pedagogici nel percorso creativo e costruendo un percorso studiato ad hoc sui singoli partecipanti. La partecipazione delle educatrici agli incontri permette inoltre di monitorare l’avanzamento del percorso, stimolare gli ospiti rispettando il tempo individuale del partecipante, supportandoli nelle difficoltà cognitive e/o motorie, con interventi mirati e personalizzati che amplificano gli effetti benefici del percorso individuale nel gruppo.


Per la realizzazione del percorso si è scelto di utilizzare una sala protetta, in cui i partecipanti si dispongono seduti in cerchio, così da agevolare la sensazione di inclusione e di appartenenza al gruppo e alla struttura stessa.

Poter guardare dalla propria postazione ogni partecipante e interagire in egual modo con chi è vicino e lontano facilita la conoscenza reciproca, migliora l’acustica, favorisce la vista e attenua le difficoltà individuali legate alle disabilità fisiche, oltre ad ottimizzare l’utilizzo dello spazio ai fini delle attività. Lo stesso dispositivo viene mantenuto anche nella messinscena dello spettacolo finale e costituisce in questo caso una solida ancora per supportare anche sulla scena le fragilità mnemoniche e psicofisiche dei partecipanti.


Il laboratorio teatrale si svolge in orario pomeridiano, con una calendarizzazione che sia in accordo con i tempi dell’organizzazione della vita in struttura e che tenga conto soprattutto dei ritmi e delle abitudini di ciascun anziano, che risulta in questo modo più predisposto al percorso laboratoriale e che si ritrova “capace” di partecipare, di interagire, di fare, di divertirsi.

Training, drammaturgia e messinscena del laboratorio teatrale: un percorso ritagliato sulle persone

La didattica e la metodologia del laboratorio teatrale adottate dall’esperta esterna hanno dovuto innanzitutto tenere conto della natura mista del gruppo e delle diverse disabilità dei partecipanti. Il lavoro è stato pertanto indirizzato, sin dall’inizio del percorso, all’adeguamento della materia al contesto specifico, attraverso una costante ricerca di meccanismi di reinvenzione dei principi su cui il training teatrale e il percorso creativo proprio dell’attore si basano.

Nel rispetto delle specificità del gruppo, si è da subito cercato di mantenere saldi i principi di lavoro comuni ad ogni laboratorio teatrale: lavoro sul corpo, sulla voce parlata e cantata, esercizi di consapevolezza spaziale, di ascolto, lavoro sul ritmo e sulla musica, sulle emozioni.

I partecipanti vengono così guidati durante l’annualità in un graduale percorso di esplorazione e potenziamento delle proprie capacità fisiche, motorie, vocali attraverso esercizi di gruppo dal taglio ludico, in cui l’interazione tra tutti i membri e l’integrazione tra membri più o meno abili permette a ciascuno di aderire ai principi di allenamento proposti a diversi livelli di approfondimento, nel rispetto delle potenzialità e dei limiti di ciascuno.

Parallelamente al lavoro sul training teatrale si sviluppa, fin dall’inizio del percorso, il lavoro di costruzione dello spettacolo finale, che parte sempre da un input letterario (dalle fiabe, ai classici del teatro e della letteratura) che diventa spunto per un dialogo collettivo sui temi sollevati (solitudine, perdono, ricordi, sogni, affetti, paure) in cui il vissuto dei partecipanti diventa materiale per la condivisione e la narrazione.

La scelta del testo letterario viene effettuata dalla regista sulla base di osservazioni condivise con l’équipe educativa nel tentativo di individuare stimoli che possano permettere di riflettere su tematiche nodali per il gruppo e che aprano pertanto nei partecipanti il canale della condivisione del proprio vissuto attraverso il racconto di aneddoti, pensieri, desideri.

A partire dalle narrazioni e dalle riflessioni scaturite si sviluppa la drammaturgia dello spettacolo, che viene costruita in fieri, in base all’evoluzione del gruppo, delle tematiche sollevate, dei racconti e delle improvvisazioni sceniche.

Il testo dello spettacolo, pertanto, ha un carattere esperienziale e si basa tanto sui racconti dei partecipanti, quanto sugli accadimenti, sui caratteri, sulle dinamiche relazionali del gruppo che sono oggetto di discussione nel corso delle équipe, durante le quali la regista si confronta con le educatrici per elaborare e reindirizzare continuamente il lavoro artistico ed esperienziale. Lo spettacolo finale prevede l’inclusione di tutti i membri del laboratorio – ospiti, esterni e volontari ed educatrici – a prescindere dal livello di abilità.

Ciascuno trova un proprio posto all’interno di una drammaturgia che vuole essere inclusiva e di una messinscena che volutamente mescola tutti i linguaggi dello spettacolo: dalla recitazione, alla danza, al canto, dall’improvvisazione alla recitazione mnemonica di battute, dalla scenografia alla decorazione, dalla partecipazione diretta al ruolo di supporto di elementi con fragilità, affinché ogni membro del gruppo possa trovare il proprio spazio, ruolo, e la migliore espressione di sé.

La distribuzione del testo e delle azioni sceniche non segue la logica dei ruoli e delle “parti” principali e secondarie: tutti i partecipanti sono in scena contemporaneamente e sono impegnati in sezioni dello spettacolo più o meno complesse con omogeneità.

La sezione musicale del lavoro ha assunto negli anni uno spazio particolarmente significativo: preso atto dell’interesse stimolato nei partecipanti dal lavoro con la musica, dal 2017 essa viene esplorata e generata in setting arte terapeutici, condotti dal Musicoterapista Maurizio Taverna, il cui lavoro prevede la creazione di brani musicali originali per ciascuno spettacolo, con testi e melodie scritti dai partecipanti del gruppo.

Questa specifica metodologia di lavoro ha permesso, negli anni, di realizzare quattro spettacoli teatrali che sono specchio del percorso, nei termini di una evoluzione delle modalità rappresentative e di una complessità e maturità sceniche sempre crescenti.

Gli spettacoli svolti


Nello specifico, il lavoro realizzato alla conclusione del primo anno di laboratorio teatrale (aprile 2016), dal titolo Parole perdute e ritrovate, prendeva atto della difficoltà riscontrate dai partecipanti con la novità del mezzo teatrale – nel trovare le parole per raccontare di sé, nel ricordare e agire i racconti – e prevedeva pertanto una struttura scenica estremamente semplice in cui centrale era il ruolo dei due volontari esterni e dell’educatrice di riferimento, nonché della regista stessa, che interagiva con i partecipanti per permettere lo svolgersi della messinscena.


Lo spettacolo successivo (maggio 2017) dal titolo Tempo Sognato – una riflessione sui desideri e sui “futuri non realizzati” a partire da Le città invisibili di Italo Calvino – prevedeva la medesima struttura di supporto, con un ruolo della regia sempre più ridimensionato, fino ad arrivare, nel giugno 2018, alla realizzazione dello spettacolo Una tempesta (quasi) perfetta, tratta da W. Shakespeare.

Qui l’intero spettacolo si svolgeva senza intervento della regia dall‘interno, essendosi moltiplicate le figure di supporto (un sempre maggiore numero di volontari e esterni abili si era unito al gruppo) e avendo scelto come riferimento letterario un testo teatrale classico (nella versione per ragazzi di Idalberto Fei) con la messinscena di sezioni di testo sempre più ampie e con la creazione di dispositivi scenici che hanno permesso una sempre maggiore partecipazione attiva di tutti i membri in scene strutturate, memorizzate e provate (innumerevoli volte).


L’ultimo lavoro andato in scena, infine, L’ultima volta in cui siamo stati bambini, una riconnessione agrodolce con l’infanzia, partita dalla lettura dell’omonimo romanzo, ha previsto una crescente complessità del dispositivo scenico.

Per la prima volta, gli anziani non stavano seduti in scena per l’intera durata dello spettacolo, ma entravano e uscivano dalla scena per interpretare ciascuna sezione dello spettacolo, diviso in quadri, realizzando così una messinscena più complessa, con un grosso lavoro di backstage svolto dai volontari di supporto e con l’utilizzo di un crescente numero di dispositivi scenici (costumi e attrezzeria sempre diversi, per ogni scena) che hanno necessitato un grosso sforzo di coordinamento e memorizzazione, implementando le capacità cognitive e mnemoniche degli attori e ampliando l’esperienza teatrale, acquisendo abilità attoriali sempre più complesse.

P. e P.: due storie di “attori”

Sebbene l’evidenza della valenza terapeutica del teatro in ambito geriatrico sia ancora in attesa di essere studiata scientificamente, e pur non spettando a chi scrive la valutazione del nostro stesso operato, l’osservazione del benessere generato dall’intervento descritto, ci ha convinto della bontà della pratica e della metodologia messa in atto con il laboratorio teatrale.

A supporto di questa convinzione, stanno i feedback raccolti dagli stessi partecipanti, negli anni di lavoro e l’osservazione empirica dei benefici apportati dalla partecipazione al percorso sugli ospiti e sugli esterni. Innumerevoli sarebbero gli episodi, piccoli e grandi, da raccontare, volendo tentare di ricostruire criticità e successi del percorso. Ci sembra utile e significativo, tuttavia, far parlare in questo racconto anche i destinatari ultimi di questo intervento, ossia gli attori, citando due casi emblematici.


P. è un ospite di ottantacinque anni, affetto da decadimento cognitivo MMSE 17,1/30. In una prima fase del laboratorio, quando l’avanzamento del decadimento cognitivo era ancora di tipo moderato, ha partecipato con successo alle attività potendo raccontare di sé in modo approfondito e sperimentandosi sulla scena in quello che più gli era congeniale: l’uso del corpo e nello specifico nel ballo.

P., tornato dopo quattro mesi di pausa al primo incontro di teatro, ha esordito dicendo: “non mi ricordo cosa si fa qui. Ma in questo posto ci sono già stato e so di esserci stato bene”. La compromissione delle capacità mnemoniche non aveva intaccato la sensazione di benessere che dal percorso dell’annualità precedente era scaturito, e la cui onda lunga lo aveva accompagnato anche nei mesi di sospensione.


Un altro racconto è quello di P., una donna di ottantanove anni, assidua frequentatrice dell’Università del Tempo libero in struttura dal 2014. Gli accadimenti della vita hanno portato P. a gestire con complessità le relazioni interpersonali e ad adottare spesso un approccio conflittuale nei confronti degli altri ospiti della casa, interpretando spesso, nella quotidianità, il personaggio della “solitaria arcigna”, con atteggiamenti saccenti e esigenze di protagonismo spesso mal tollerati dal gruppo.

All’avvio del progetto teatrale le si è proposto di partecipare per offrirle una dimensione relazionale che potesse finalizzare positivamente il suo bisogno di protagonismo e offrirle la possibilità di “incontrare” effettivamente l’altro, sviluppando al contempo il proprio potenziale espressivo.

Come per tutti i partecipanti del gruppo, anche per P. non è stato immediato rispondere agli stimoli proposti, ma progressivamente ha scoperto e, ci ha permesso di scoprire, un lato molto ironico della sua personalità, ridisegnando il suo ruolo all’interno del gruppo e permettendo agli altri di sviluppare empatia e accoglienza per la “solitaria arcigna”, un ruolo che, potendo interpretare sulla scena, non aveva necessariamente più esigenza di continuare a interpretare anche fuori.

Le sue ottime capacità interpretative abbinate a una innata intelligenza creativa le hanno inoltre permesso di ricostruire le battute sulla scena, pur non ricordandole, andando ogni volta a improvvisare su un canovaccio fissato, con originalità e con una buona dose di imprevedibilità che rendeva la sua performance spontanea e sempre esilarante. P. ha percepito l’accoglienza e il rispetto del gruppo e ha condiviso racconti importanti della sua vita, consentendo agli altri partecipanti di conoscerla e quindi comprendere e accettare i suoi atteggiamenti che, parallelamente, sono diventati meno arroganti.

A causa di un aggravamento delle condizioni cliniche, P. per un certo periodo non ha potuto partecipare al gruppo ma vi è ritornata non appena ne ha avuto le forze, assopendosi di tanto in tanto e non potendo più camminare, ma entrando in scena con il supporto di un “attore solidale”.

In uno spettacolo P. è diventata finalmente il medico che avrebbe voluto essere, indossando con soddisfazione e ironia il potente camice; in un altro spettacolo ha trasformato il rapporto conflittuale con R., un’altra attrice membro del gruppo, in ironici tafferugli inseriti ad hoc nella drammaturgia, carichi di affettività e rispetto. Insomma, la “solitaria arcigna” signora P., entrata nel gruppo nel 2015, è uscita dall’ultimo incontro del febbraio 2020 invecchiata, ma meno sola.

L’importanza di una ripartenza

Il laboratorio teatrale si è interrotto a causa dell’emergenza sanitaria nel febbraio 2020, ed è rimasto da allora sospeso, non essendo stata praticabile neppure la possibilità di proseguire gli incontri on-line, per la specificità della situazione interna all’istituto e dell’utenza. L’interruzione è arrivata dopo un periodo di lavoro di cinque mesi sul tema della libertà, che ha portato alla trascrizione di diverse narrazioni e riflessioni, materiale prezioso cui l’équipe di lavoro desidera poter dare presto una pubblicazione e una restituzione pubblica.


In questo momento storico, l’urgenza che ha guidato la nascita di questo percorso è ancora più impellente e la necessità di ri-creare nuovi spazi di condivisione e ricostruzione di sé deve guidare la rotta delle scelte future e della progettazione educativa dell’era post-pandemica.

È questo il momento di inventare spazi relazionali in cui sia possibile sostanziare la bellezza, generare benessere, cambiare prospettiva nutrendo e dilatando l’accezione di cura, ampliandolo rispetto alla dimensione prettamente sanitaria cui abbiamo avuto necessariamente bisogno di attenerci in questo ultimo anno.

Verso questo orizzonte possiamo farci traghettare dall’Arte che ha la capacità di innestare nell’animo, e nei processi relazionali, benessere, sino a farsi cura, non assumendo un atteggiamento onnipotente, che tende a porre rimedio risolutivo al disagio, ma centrando l’attenzione sul lato relazionale, partecipativo e affettivo dell’intervento.

In questo scenario, il laboratorio teatrale diventa uno strumento per incarnare una narrazione nuova, un racconto di sé, dell’altro e del mondo, in grado, certamente di alleggerire e a volte anche di cambiare una vita, e di compiere rivoluzioni, piccole, dentro ognuno di noi, e grandi, fuori di noi, passo dopo passo.

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