“Scopre la bellezza del cammino solo chi sceglie di percorrerlo”

Elena Bortolomiol- Referente Europea Gentlecare

Di Elena Bortolomiol, Referente Europea Gentlecare. Gruppo Ottima Senior

Introduzione al Gentlecare

Il Gentlecare è un sistema di cura della persona con demenza, elaborato da una terapista canadese, Moyra Jones, che persegue l’obiettivo del benessere, attraverso un approccio protesico.

Gli elementi che formano la triade della protesi sono: l’ambiente /lo spazio fisico, le persone e i programmi. Il benessere del malato viene inteso come assenza di stress, e viene assicurato da uno spazio fisico sicuro e gradevole, garantito da persone, libere anch’esse da fattori di stress negativi, informate e capaci di sostenerlo. Infine si mettono in atto programmi che valorizzano capacità funzionali ed espressive, portando la persona a vivere una giornata da persona normale, non ammalata.

Ogni giorno dovrebbe essere concepito per assomigliare a un giorno di vacanza o riposo per la persona ammalata, non come un giorno di malattia.

Moyra Jones

La protesi, di cui parla molto il Gentlecare, è complessa. Non basta un gesto gentile. Daniel Lumiera insegna che la cura è determinata da tutto ciò che riduce lo stress, la gentilezza in primis, quella nei confronti degli altri, di sé stessi e dell’ambiente.

Tra i pilastri del benessere, in assistenza, ci dovrebbe essere sempre il Gentlecare mescolato a tanti altri metodi, che formano l’assistenza globale, che ognuno di noi vorrebbe per il proprio futuro. I principi del Gentlecare possono essere letti dai brevi cenni che vengono dati nella triade di cura.

Le persone

A cura di Dott.ssa Laura D’Ospina. Psicologa, Psicoterapeuta e Referente Ottima Senior , Coop ITACA Onlus

Invecchiamento, fragilità e demenza

Il ciclo della vita ci accompagna verso un ineluttabile cambiamento che vede modificare il rapporto con l’ambiente, in un costante scambio di reciproche influenze.

Alla nascita abbiamo bisogno del sostegno che ci permette di crescere e affinare le nostre potenzialità. Durante il ciclo della vita, le esperienze ci plasmano dando forma al nostro personale modo di essere. La vecchiaia è l’ultima fase di questo lungo processo di trasformazione, che ci pone in una prospettiva di arrivo e di confronto con una Fine: con la paura che la morte e la malattia implicano per ognuno di noi.

“Ho perso un po’ la vista, molto l’udito. Alle conferenze non vedo le proiezioni e non sento bene. Ma penso più adesso di quando avevo vent’anni. Il corpo faccia quello che vuole. Io non sono il corpo: io sono la mente.”

Rita Levi-Montalcini

L’avanzare dell’età non comporta solo una perdita fisico-sensoriale (vista, udito, tatto, capacità motorie) ma anche cambiamenti di carattere cognitivo. Alcune ricerche sull’invecchiamento cognitivo hanno permesso di differenziare le Componenti Fluide (ragionamento-memoria-pensiero astratto) molto sensibili all’avanzare dell’età, dalle Componenti Cristallizzate (abilità legate alle esperienze accumulate) meno influenzate dal passare degli anni, che possono invece migliorare con l’avanzare dell’età, come le emozioni.

La componente motivazionale strettamente correlata alle competenze emotive di ognuno di noi ha un enorme influenza sull’andamento del processo di vita dimostrando una forte correlazione con un’efficacia protettiva sul declino cognitivo.

Da qui l’importanza del concetto di fragilità che amplia la prospettiva di efficacia del metodo Gentlecare.

Approccio protesico relazionale: costruire una relazione d’aiuto con l’anziano fragile

La protesi relazionale nasce dalla conoscenza, di sé stessi e dell’altro.

Partendo dal presupposto che non può esserci processo di cura senza relazione e che è possibile muoversi verso l’altro solo sapendo da dove si parte, la conoscenza/consapevolezza è una prerogativa alla base dell’edificio protesico.

Per costruire una relazione d’aiuto abbiamo bisogno di combinare tre fondamentali ingredienti: un sincero interessamento (curiosità per la scoperta), una paziente attesa e la sospensione del giudizio

  • 1. La capacità di stupirsi di sé e dell’altro è alla base di una positiva apertura verso il mondo che ci circonda e ciò che nasce dalla combinazione tra il Sé e l’Altro ha un valore che supera una semplice somma di elementi.
  • 2. La precipitosità con cui pretendiamo di conoscere noi stessi e il mondo che ci circonda spesso risponde più al bisogno personale di incasellamento (per placare le nostre ansie) che ad una reale conoscenza dell’Altro. Si rischia il pregiudizio, un falso amico riconoscibile nell’Ageismo e/o nell’Infantilizzazione.
    Tali forme di pregiudizio non sono dettate da cattive intenzioni, ma sono spesso frutto di letture distorte o di un eccesso di cura e possono rappresentare i più pericolosi alleati di forme di relazione che non accolgono, ma affibbiano etichette aprioristiche.
  • 3. Antidoti del pregiudizio sono la pazienza e la capacità di praticare la sospensione del giudizio. La pratica dell’epochè è un esercizio di stile, che si affina con l’esperienza e consiste nella capacità di attendere che le nostre idee preconcette sul mondo possano essere continuamente disattese.
    Questa pratica, che ha a che fare con tutti i concetti precedenti, consente di entrare in relazione con l’Altro senza sovrastarlo con le nostre idee, consentendogli di presentarsi nel suo continuo divenire.
    Saper Ascoltare e raccogliere la narrazione di vita della persona che andremo ad aiutare significa entrare in relazione con un approccio protesico.

La stesura della “Biografia o Storia di vita” rappresenta una buona partenza per costruire una relazione (se accolta nella sua unicità e praticando la sospensione del giudizio).

Conoscere la Biografia di un futuro cliente del nucleo in cui lavoriamo, ci permetterà di interagire con lui/lei con il vantaggio di poter leggere le sue caratteristiche e anche le défaillance cognitive o emotive con un approccio rispettoso della sua storia. Quando la persona entra nella residenza non è completamente sconosciuto, ma porta con sé una storia che abbiamo modo di verificare e “ri-scrivere” con il nostro lavoro giorno dopo giorno.

I rischi della consuetudine

L’applicazione del metodo Gentlecare richiede dei profondi cambiamenti a volte temuti per la paura di perdere il controllo della situazione, ma la scarsa disponibilità a cambiare ci irrigidisce in forme di relazione obsolete e poco funzionali. L’essere umano è in continuo divenire e la relazione sana tra persone richiede una fluidità e una grande capacità di adattamento ad ogni livello di interazione: con sé stessi, con la persona fragile, con i propri colleghi, con i familiari, con i volontari.

L’organizzazione di un sistema di cura con il metodo Gentlecare

La qualità della comunicazione e l’attenzione organizzativa alla sua centralità, fa del metodo Gentlecare un efficace e completo modello formativo. La relazione protesica rappresenta il fondamento del suo approccio: le persone che ruotano attorno alla fragilità e alla relazione d’aiuto possono auto-sostenersi se fornite delle informazioni e dalla struttura organizzativa in grado di coordinarle in maniera adeguata.

Le occasioni in cui è possibile condividere le proprie esperienze professionali e umane diventano parte integrante del sistema organizzativo dell’intera equipe professionale, a più livelli. Incontri settimanali dell’equipe, incontri mensili con supervisore, incontri semestrali con i familiari (o caregiver informali), formazione e incontri semestrali con i volontari, rappresentano lo scheletro di un organismo che prende forma dalla disposizione di ognuno a mettersi in gioco e a lavorare insieme per migliorare la qualità di vita propria e delle persone di cui ci si prende cura.

Le attività di cura

A cura di Elena Bortolomiol

L’obiettivo è disegnare una routine in cui la persona possa utilizzare al meglio le abilità residue evitando richiesta di prestazioni che possono creare ansia e frustrazioni.

All’interno dei nuclei Alzheimer o meglio degli ambienti protesici, si pensa che gli individui essendo diversi abbiano bisogni diversi, mentre, questi di solito vengono accomunati solamente per una tremenda malattia: la demenza.

Le persone che soffrono di demenza non devono passare le giornate con attività infantilizzanti, frustranti e senza senso, ma con attività di vita legate alle loro esperienze e quindi al loro passato, con un carattere di opportunità e non di obbligo. Nascono da una ricostruzione di abitudini, tradizione, biografia. Seguono ritmi e tempi della persona dal risveglio naturale alle attività gufo.

Vivere con la demenza è un’esperienza molto faticosa, e quando sono state fatte tutte le attività primarie (ADL quotidiane) alla persona molte volte non rimane energia per le altre attività. Ecco perché il Gentlecare ha concepito le attività in un modo diverso, riorganizzandole innanzitutto nelle 24 ore, e quindi non solo classicamente intese per le 3 ore al giorno. Il concetto di base è che tutte le attività (ADL – IADL) della giornata sono utilizzate per dare significato alla vita stessa, perciò tutte devono essere integrate nel quotidiano, adattate alle reali capacità dei soggetti, ma soprattutto non devono indurre disagio, frustrazioni e scatenare disturbi comportamentali.

È importante che gli operatori valorizzino queste attività e non arrivino a considerarle puro assistenzialismo o semplice “occupare il tempo”. Nel lavoro quotidiano, ogni figura che cura, è chiamata a contribuire al Ben-essere possibile dato dalle attività che si pianificano anche un momento prima ma che riducono lo stress e l’agitazione portando la persona malata a VIVERE la vita, rubata già dalla malattia.



Bibliografia

M. Jones, J.Wright, Beyond Love, Richmond (BC), Chelsea Printers Ltd.,1991

De Beni, Borella, Psicologia dell’invecchiamento e della longevità, Bologna, il Mulino, 2015

M. Jones, Gentlecare. Un modello positivo di assistenza per l’Azheimer , Roma, Carocci Faber, 2017

L. D’Ospina, Degustazione emozionale e neuroni specchio, 2009

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