Il ruolo delle RSA, soprattutto a seguito della pandemia da Covid-19, è profondamente cambiato, così come quello degli operatori socio-sanitari: ecco i punti principali per una possibile evoluzione

La pandemia da Covid-19 ha messo in ginocchio l’intera società, ruolo delle RSA (Residenze Sanitarie Assistenziali) compreso, sia in Italia che in Europa. Il motivo principale risiede nell’impreparazione di queste ultime di fronte allo scoppio di una pandemia, oltre che alle carenze strutturali e organizzative presenti al loro interno.
 
Dato che la fase più critica dell’emergenza sembra essere finalmente superata, è possibile compiere un’analisi di quanto accaduto, approfondendo le lacune iniziali, l’evoluzione che le RSA hanno attraversato e le prospettive (positive, si spera) per il futuro, soprattutto perché è doveroso non sottovalutare mai più l’utilità, le capacità e le potenzialità di tali strutture.


Cosa sono le RSA e come sono cambiate con l’emergenza Covid-19


Prima dello scoppio della pandemia, le RSA erano viste come semplici residenze per anziani. In realtà, si tratta di strutture protette che non solo accolgono, ma offrono cure e assistenza socio-assistenziale ad anziani ultra-sessantacinquenni non autosufficienti. Il ruolo delle RSA è dunque cambiato.
 
All’interno delle RSA, quindi, giungono anziani fragili con bisogni specifici, che non si limitano solo a quelli fisici ma anche emotivo-psicologici, oltre che riabilitativi. Gli specialisti che vi lavorano subentrano nel momento in cui le famiglie non riescono più a fornire un’assistenza adeguata, nonostante magari il supporto di una badante. Di conseguenza, hanno bisogno di un aiuto più concreto e più a lungo termine.
 
Nel corso degli ultimi anni l’età media di ingresso in RSA si è tendenzialmente elevata tanto che, al giorno d’oggi, il 73,5% degli anziani è ultra-ottantacinquenne e presenta uno stato di salute significativamente compromesso: patologie croniche, demenza senile e non autosufficienza, sia motoria sia cognitiva, sono all’ordine del giorno, al punto da richiedere un’assistenza sempre più specializzata.
 
Ecco perché le RSA svolgono un ruolo estremamente prezioso e importante per quanto riguarda il welfare italiano, soprattutto a seguito di una condizione emergenziale come quella causata dall’arrivo del Covid-19, durante la quale si sono mostrate indispensabili nell’alleggerire il carico di lavoro degli stessi ospedali.


Le RSA di domani a supporto dei presidi ospedalieri


Non sembra strano pensare, quindi, alle RSA di domani come a reti di secondo livello a supporto dei posti letto degli ospedali, anzi: questi ultimi diventeranno sempre più specializzati, avvalendosi di strutture tecnologicamente avanzate e pronte a qualunque emergenza e, al contempo, di di un sistema di strutture socio-sanitarie di secondo livello diffuse su tutto il territorio, quali proprio le RSA.
 
Secondo le previsioni, il ruolo delle RSA cambierà, perché le RSA del futuro saranno ben integrate nel sistema sanitario e potranno interfacciarsi regolarmente ed efficacemente sia con gli ospedali, sia con l’assistenza socio-assistenziale di tutto il territorio potendo rispondere così a necessità sempre più esigenti.
 
La catena di montaggio potrebbe funzionare così: una volta superata la fase di patologia acuta, l’anziano potrà essere dimesso dall’ospedale e potrà contare su RSA specializzate e professionali in grado di farsi carico della sua riabilitazione. Gli ospedali libereranno posti letto, da destinare a soggetti più bisognosi, e gli ex pazienti troveranno un luogo adatto dove potersi riprendere godendo di tutte le cure e attenzioni di cui necessitano.


Cosa dovrà cambiare


Considerando che ogni RSA dovrà essere in grado di rispondere a qualunque esigenza dell’anziano, è necessario che le strutture e il personale si evolvano in modo da poter affrontare qualunque imprevisto dovuto all’invecchiamento e/o all’aggravarsi di determinate patologie.
 
In primo luogo, sarà indispensabile potenziare la capienza delle strutture, considerando che in Italia si ha solo l’1,9% di posti letto su 100 persone con almeno 65 anni di età, mentre in Olanda è il 6,4%, in Svizzera il 5,4%, in Francia e in Austria il 4,6%.
 
In secondo luogo, poi, bisognerà tenere conto non solo del benessere fisico dell’anziano, ma anche di quello emotivo e psicologico, prestando attenzione a mantenere viva la sua vita relazionale nonostante eventuali patologie o un salute gravemente compromessa.
 
In terzo luogo, ancora, sarà necessario formare a dovere il personale e assumerne in quantità commisurata alle reali esigenze: un adeguato rapporto di infermieri e OSS e ospiti permette sicuramente di garantire un servizio e un’assistenza nettamente migliori. Ecco perché investire su ASA/OSS è indispensabile, dato che sono proprio loro gli operatori fondamentali dell’assistenza nelle RSA.
 
La formazione, poi, non si ferma solo al fornire loro le giuste competenze e conoscenze, ma anche nel riconoscimento professionale ed economico più appropriato, aspetto critico venuto a galla proprio durante il Covid-19: gli infermieri sono emigrati verso le strutture ospedaliere e le RSA ne hanno gravemente risentito, soprattutto per via delle retribuzioni decisamente più basse nel settore socio-sanitario rispetto a quello sanitario.
 
Riconoscere a OSS e ASA che il loro ruolo sia indispensabile anche e soprattutto attraverso l’adeguata formazione e una gratificante retribuzione economica potrebbe essere il primo passo per trasformare le RSA in punti di riferimento sia per gli anziani, sia per gli specialisti del settore.

Il ruolo delle famiglie


Un altro aspetto portato alla luce dall’emergenza da Covid-19 riguarda il ruolo ricoperto dalle famiglie nel processo di cura e assistenza dell’anziano. Teoricamente, l’iter sanitario prevede di escludere i familiari impedendo loro l’accesso nelle strutture per evitare qualunque tipo di infezione; in verità, le famiglie sono davvero preziose nel processo di guarigione e di mantenimento di un ottimo stato di salute dell’anziano, che può solo trarre giovamento dall’amore delle persone care e dalle relazioni con loro.
 
La soluzione migliore, quindi, consisterebbe nel trovare delle modalità creative per non interrompere le visite dei parenti ma, anzi, per rafforzarle e renderle costruttive e migliorative. Sicuramente, la fine dell’emergenza sarà un incentivo per trovare un valido compromesso.

Boom di richieste per OSS e infermieri specializzati


Notizie interessanti arrivano dal fronte americano: gli infermieri specializzati sarebbero super richiesti non solo dai presidi ospedalieri, ma anche e soprattutto dalle RSA a scapito degli infermieri qualificati.
 
Pare, infatti, che la richiesta crescente di cure primarie e l’impossibilità di offrire assistenza medica a tutti i cittadini americani stia spingendo la politica sanitaria a specializzare gli infermieri attraverso corsi e master specifici. Di conseguenza, infermieri anestesisti e infermieri di pratica avanzata guadagnano circa il 40% dello stipendio in più (110.000 dollari) rispetto ai colleghi infermieri non specializzati (75.000 dollari).
 
E se la figura dell’infermiere è evidentemente destinata a crescere, gli OSS sono i veri protagonisti del settore sanitario (e lo saranno ancora per molto): secondo le statistiche, infatti, entro il 2030 la loro crescita sarà esponenziale sia in America (dove la paga equivale a meno della metà di quella di un infermiere), sia in Italia (dove un OSS, invece, guadagna leggermente meno di un infermiere).
 
Se questa ondata di cambiamento arriverà anche nel Belpaese, le RSA diventeranno realmente indispensabili sia come strutture, sia per il personale interno. Gli anziani si sentiranno sicuramente meno solo e abbandonati a loro stessi, le famiglie avranno la certezza di lasciare i propri cari in mani fidate e tutti gli operatori del settore avranno la consapevolezza di essere riconosciuti per il loro talento e le loro capacità.
 


Fonti:


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About the Author: Luca Croci

Giornalista - New Project and Compliance Manager Italy presso Colisee - Referente "Uffici di Pubblica Tutela" Regione Lombardia

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