Intervista alla Dott.ssa Alba Malara sulle criticità emerse durante la pandemia da Covid-19 nelle strutture sanitarie assistenziali

ANASTE Calabria – Responsabile Scientifico Fondazione ANASTE-HUMANITAS

Ritengo che l’emergenza da Covid-19 abbia evidenziato il rischio sempre meno latente di Ageismo medico e il sottile confine tra proporzionalità delle cure e abbandono terapeutico.

Dott.ssa Alba Malara
La dottoressa nel suo ufficio.
La dottoressa nel suo ufficio.
Gentile dott.ssa Malara, partiamo da un’analisi delle più gravi criticità emerse nella complessa fase della Pandemia. Lo spaesamento dell’anziano fragile.

L’emergenza sanitaria scaturita dalla pandemia da Covid-19 ha avuto un forte impatto sugli anziani, sia su quelli in buona salute che su quelli fragili. In Italia circa 19% degli anziani è a rischio di fragilità con maggiore prevalenza al Sud, dove il tasso di fragilità è pari al 24% a fronte del 13% al Nord.

Quali trova che siano le cause e quali gli effetti dello spaesamento?

Il rischio di fragilità è proporzionale all’età ed aumenta se si è affetti da una o più patologie croniche. Questa fascia di popolazione ha infatti subito le maggiori conseguenze per le restrizioni imposte da Covid-19; la ricaduta è stata ancor più gravosa per gli anziani affetti da demenza e per le relative famiglie. Da un giorno all’altro si sono ritrovati isolati e privati dell’abituale rete di supporto sanitario, sociale e psicologico. Il dover stare chiusi in casa e l’impossibilità a ricorrere a servizi, come centri diurni o semplicemente alle uscite, ha causato depressione e aumento dei disturbi del comportamento.

Quali differenze si devono sottolineare nel caso speciale dei residenti in struttura affetti da demenza?

Nelle residenze vi è grave disagio per l’esserci dovuti privare dell’importante supporto dei familiari. I nostri anziani sono particolarmente sensibili agli esiti dell’infezione da coronavirus: l’età̀, le comorbilità̀, la compromissione dello stato funzionale nonché́ la politerapia possono influenzare l’evoluzione della malattia.

Dal 40 al 60% di loro, inoltre, è affetto da demenza di vario stadio e severità, rappresentando di per sé un fattore di rischio importante per contrarre l’infezione. Non rispettano il distanziamento sociale né l’isolamento cautelativo se necessario, non riescono a indossare le mascherine, non sempre sono complianti al continuo lavaggio delle mani e alla misurazione della saturazione di ossigeno e della temperatura corporea, che ormai rileviamo 3 volte al giorno da oltre 5 mesi.

Spesso hanno alterazioni comportamentali, a volte sviluppano delirium sia ipo che ipercinetico e questo è per noi un campanello di allarme, perché il delirium, piuttosto che i sintomi respiratori o la febbre, può essere sintomo d’esordio dell’infezione.

Cosa ha provocato l’impossibilità di accesso alle strutture per Covid-19 ai parenti?

Gli anziani che vivono nelle residenze vanno protetti soprattutto da chi viene dall’esterno, la prevenzione passa in primo luogo dal controllo di chi entra, ecco perché fin da subito, già dal 20 febbraio, abbiamo dovuto limitare e infine vietare rigorosamente le visite dei familiari.

Non è stata una scelta facile e soprattutto inizialmente non condivisa dai familiari; sono stati necessari numerosi interventi di formazione e informazione per far maturare la consapevolezza del rischio nelle famiglie e, anche se alla fine, dai più, la scelta è stata accettata, ancora oggi qualcuno punta il dito sulla negazione del diritto sociale e della libertà dei nostri ospiti. Da sottolineare che gli organi istituzionali non si sono espressi con chiarezza in tal senso, demandando tutta la responsabilità degli accessi in struttura alla direzione sanitaria.

Quali difficoltà ha rilevato sui residenti in generale e nello specifico per gli affetti da demenza? Quali col personale e con i parenti?

A fatica, si è cercato di coniugare la sicurezza degli ospiti con il mantenimento delle relazioni e degli affetti, garantendo le routine e le abitudini, spiegando, a chi fosse in grado di comprenderlo, il preciso motivo dell’assenza dei familiari evitando così che vivessero il senso di abbandono da parte loro. Insomma, ci siamo adoperati affinché fosse garantito comunque un ambiente il più sereno, rassicurante e validante possibile, nonostante l’utilizzo delle mascherine, sulle quali abbiamo disegnato degli smile per non privare i nostri ospiti del sorriso.

La tecnologia ci ha molto aiutati a mitigare gli effetti dell’isolamento dalle famiglie e dai propri cari, l’utilizzo di tablet e smartphone è risultato molto utile nel rassicurare ospiti e familiari. Purtroppo meno efficace per i pazienti con demenza che hanno difficoltà ad interagire con i supporti tecnologici. Abbiamo avviato un più frequente monitoraggio sui nostri anziani, con e senza demenza, con strumenti di Valutazione Multidimensionale per stato cognitivo, affettivo e comportamentale, al fine di intercettare precocemente stati depressivi, disturbi del sonno o altre condizioni che possano richiedere interventi mirati da parte delle équipe multidisciplinari.

Attualmente abbiamo implementato impegnative procedure per una graduale riapertura in sicurezza, consentendo qualche sporadico incontro all’aperto o in salette attrezzate con separatori in plexiglass, che pur non soddisfacendo pienamente ospiti e parenti consente tuttavia di mitigare gli effetti psicologici dell’isolamento. 

Incontri famigliari in salette attrezzate con separatori in plexiglass.
Incontri famigliari in salette attrezzate con separatori in plexiglass.
Sul piano tecnico-sanitario è stato inevitabile compiere scelte difficili e delicate? E sul piano etico?

Fortunatamente questo non è capitato, almeno non in riferimento a casi di infezione da Covid-19, perché a tutt’oggi le strutture residenziali dove lavoro sono Covid-free.  È vero però che, da un punto di vista etico, gli anziani e in particolare gli ultraottantenni hanno subito delle vere e proprie discriminazioni che richiederebbero una valutazione globale e un’accurata riflessione sul concetto di proporzionalità delle cure.

Durante l’emergenza, molte persone anziane sono state ritenute troppo fragili per qualsiasi tentativo di cura, anche solo per il trasferimento in ospedale, e sono state quindi gestite in residenza o a casa, spesso senza le adeguate terapie o trattamenti di ventilazione non invasiva o cure palliative. Questa considerazione è stata ancora più restrittiva se gli anziani erano affetti da deterioramento cognitivo, dovuto sia a demenza che a qualsiasi altra condizione degenerativa.

Il concetto di proporzionalità dell’assistenza implica che un trattamento possa essere considerato clinicamente sproporzionato, oppure rifiutato dal paziente o dal suo rappresentante legale attraverso le disposizioni terapeutiche anticipate. Tuttavia nel caso dell’emergenza da Covid-19, il trattamento è stato spesso considerato inappropriato per fattori contestuali e in molti casi non è stato nemmeno avviato: di conseguenza, molti anziani sono stati lasciati morire. Ritengo che l’emergenza da Covid-19 abbia evidenziato il rischio sempre meno latente di Ageismo medico e il sottile confine tra proporzionalità delle cure e abbandono terapeutico.

Nel territorio in cui ha operato non si sono riscontrati gli eccessi visti nel Nord dell’Italia, tuttavia il fenomeno non vi ha risparmiati. Come sono stati i tempi dell’informazione e la chiarezza delle disposizioni?

Il governo italiano ha clamorosamente ritardato la gestione dell’epidemia di Covid-19 nelle RSA. In Italia sono state pubblicate le prime linee guida operative per le residenze dopo il blocco totale del Paese del 9 marzo, dando inizialmente indicazioni generiche sull’attuazione di misure organizzative restrittive per prevenire il contagio da coronavirus SARS-Cov-2.

I primi documenti di supporto per gli operatori sanitari e sociali delle Strutture risalgono al 18 marzo, quando la maggior parte delle residenze accreditate aveva già adottato, guidate dal buon senso, misure cautelative di prevenzione sia organizzative che ambientali, dando prova di efficienza e dimostrando competenza nei servizi resi in occasione di questa emergenza, contrariamente a quanto strumentalmente è stato evidenziato nei vari contesti mediatici o politici.

Come hanno risposto gli ospedali alle richieste di ricovero dei residenti in struttura colpiti da Covid-19?

Inizialmente, i criteri per il ricovero in ospedale non erano chiari e la decisione al ricovero è stata rimandata a un’attenta valutazione clinica ispirata ai principi di proporzionalità e appropriatezza del trattamento e basata sulle condizioni complessive (stato clinico premorboso, funzionale e cognitivo del paziente, prognosi e benefici attesi realistici di un intervento intensivo).

Sebbene i pazienti più anziani con condizioni croniche, come i pazienti residenziali, presentino un rischio più elevato di polmonite e/o insufficienza respiratoria acuta, per loro è stata fortemente raccomandata la gestione in residenza con isolamento in camera singola, soprattutto se asintomatici o paucisintomatici, piuttosto che il ricovero ospedaliero. In alternativa, è stato proposto il trasferimento ad altre strutture non ospedaliere Covid-dedicate (1).  

Successivamente, intorno alla fine di aprile quando la “strage degli innocenti” era già in corso, è stato invece descritto un algoritmo decisionale e clinico di riferimento per il ricovero, sempre nel rispetto dei principi di proporzionalità e appropriatezza delle cure. La decisione al ricovero di un residente doveva essere condivisa con i familiari e conforme alle direttive sul trattamento anticipato; se disponibili e in caso di NO-ricovero, dovevano essere attuati interventi specifici e palliativi per il controllo dei sintomi (eventuali terapie sedative / analgesiche / sintomatiche), avvalendosi possibilmente dei consigli, telefonici e / o a letto del paziente, della Rete Locale di Cure palliative di riferimento (2).

Quali sono stati i momenti più difficili per mancanza di risorse? Sono stati subito disponibili i presidi di protezione individuale? 

Un adeguato approvvigionamento di DPI è stata una vera criticità per le residenze. Sin dai primi mesi della pandemia, non c’è stata una pianificazione degli interventi volta a rispondere ai bisogni del territorio e tutte le risorse sono state dirottate verso i setting a più alta intensità di cura.

Tutto ciò che è monouso era difficile da reperire, e così abbiamo promosso iniziative di solidarietà tra i familiari che hanno risposto con sorprendente prontezza realizzando mascherine monouso in TNT e camici in cotone.

In particolare l’iniziativa “Una cordata per la vita” ci ha permesso di realizzare oltre 100 camici integrali sterilizzabili e quindi riciclabili, confezionati con lenzuola matrimoniali in cotone. Si è creata una vera “cordata” tra chi donava lenzuola e chi invece cuciva i camici.

In quel contesto di grande precarietà e instabilità in cui ci trovavamo, questa rete di solidarietà non solo ci ha consentito di superare quel periodo tremendo in sicurezza, ma ci ha permesso di coinvolgere in maniera attiva e fattiva i familiari mitigando notevolmente i loro sentimenti di esclusione dalla vita di struttura e restituendo sentimenti di utilità sociale a chi di loro, durante il lockdown, era costretto a casa all’inattività. 

Riferimenti sitografici
  1. Emergenza COVID-19. Prevenzione e Gestione nelle residenze sociosanitarie per anziani. Aprire-Network. 18 Marzo 2020
  2. Criteri di riferimento per la gestione clinica e la terapia nelle residenze sociosanitarie per anziani. Aprire-Network. 28 Aprile 2020

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