Si è svolto lo scorso 15 febbraio l’evento online per la presentazione del quinto rapporto dell’osservatorio LTC – Cergas SDA Bocconi. Al centro il tema del personale, come fattore critico di qualità per il settore Long Term Care. Di seguito l’intervista a Elisabetta Notarnicola, coordinatrice del rapporto.

Franco Iurlaro intervista, sui temi della situazione odierna e futura delle RSA dal punto di vista dell’Osservatorio, Elisabetta Notarnicola (Associate Professor of Practice in Government, Health e Not for Profit SDA Bocconi School of management).


Direi di partire da un breve passaggio su come vedi oggi la fotografia del sistema e come lo stesso sta cambiando.

«Direi che l’evoluzione del sistema si caratterizza da una parte con quella che è una conferma e dall’altra con un segnale relativo ai gestori invece diverso rispetto agli anni passati. Per le nostre valutazioni abbiamo al momento disponibili i dati Istat del 2020, che, ce lo aspettavamo, mostrano un’ulteriore diminuzione delle prese in carico; quindi, su tutti i fronti (domiciliare, diurno e residenziale), chiaramente gli utenti sono stati meno. È da capire se questo sia attribuibile al solo effetto pandemia, oppure no, lo potremo valutare l’anno prossimo con l’aggiornamento dei dati.

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Questa è però l’evidenza nella parte di competenza del welfare pubblico (rilevante ma parziale) nell’anno della pandemia; vedremo se è solo un effetto della crisi oppure se può evidenziarsi un segnale di arretramento più ampio. Altri dati, quali la stima sulle badanti e sull’evoluzione della popolazione considerabile non autosufficiente, ci continuano a rappresentare invece un trend di crescita (modesta negli anni ma comunque di crescita) di un bisogno la cui risposta informale da parte delle famiglie continua a crescere, mentre il welfare pubblico rimane fermo.

I dati che sono un po’ cambiati in termini di sistema sono invece quelli che riguardano i gestori: concretamente, a partire dall’anno 2019, ci hanno colpito le variazioni nei dati di fatturato e di composizione dell’offerta, che nel biennio 2020-2021 evidenziano la diminuzione del fatturato da servizi e della solvenza.

Già il mercato “ufficiale” dei servizi alla persona era piccolo, dopo il Covid sembra essersi ancora ridotto. E qui si conferma ancora di più la dicotomia tra il servizio di welfare pubblico e le badanti; niente di diverso come andamento, ma ancor più di prima. Sappiamo poi che i gestori negli anni avevano confermato un trend di sempre maggior diversificazione dei servizi: quindi non solo residenzialità ma sempre di più anche altro.

Invece nel 2021 sono tornati ad avere un fatturato con delle percentuali legate alla residenzialità molto più alte degli anni precedenti, in parte perché i servizi come centri diurni e domiciliari sono stati chiusi per Covid; ma questo accadeva nel 2020 mentre stiamo parlando del fatturato 2021. Tutti i precedenti tentativi di timida apertura e di timida innovazione, stante tutte le difficoltà che i gestori vedono, sono stati chiusi e si è tornati sulla certezza della residenzialità: un po’ il vecchio caro “porto sicuro”. Tutto sommato per un gestore l’impegno è su quello che storicamente sa fare bene; quello su cui, nonostante sia scarso, il finanziamento pubblico, è di certo garantito».

Quindi gestori statici, non motivati dalla situazione a “rischiare di più”?

«Sì, generalmente osserviamo un po’ uno stop dei tentativi dei gestori di fare cose diverse, di aprirsi al mercato. E questo, se sarà confermato nel tempo, è in parte preoccupante anche per i gestori di maggiori dimensioni, segnalandoci che anche questi ultimi, che normalmente riescono a fare più innovazione perché hanno “spalle più forti”, potrebbero essere più rigidi; mentre potremmo aspettarci che siano i più piccoli a fare più innovazione, perché sono più flessibili. Un quadro complessivo ancora incerto, che ci ha colpito; l’aspettativa può essere o che cambino le condizioni operative o che il welfare non sia più statico oppure saremo ancora e veramente in una situazione di stallo».

Preoccupante. A suo tempo, secondo un’indagine del Sole24Ore, più di due imprenditori su tre consideravano creatività / innovazione e responsabilità come valori fondanti della cultura d’impresa; i gestori di cui stiamo parlando, imprenditori del sociale, siano pubblici, del terzo settore o del profit, non possono esimersene. Dovremo ritrovare le condizioni per il cambiamento e la crescita. Ma ora, dopo esserci soffermati sulla fotografia generale, passiamo al personale. Tralasciando il confronto tra Regioni, di troppa eterogeneità, ti chiederei di parlarci dei dati aziendali.

«Grazie al nostro Osservatorio, guardando alle Aziende che vi aderiscono, esse rappresentano, con venticinquemila posti letto, il 10% del settore, distribuito sull’intero territorio nazionale. Iniziamo con il dire che i dati ci mostrano in termini quantitativi come in tutte le Regioni, in modo molto trasversale, tutti gli enti stiano operando sopra gli standard di personale prefissati dalle normative. Non è un elemento del tutto nuovo, ma la novità è avere a disposizione i numeri che lo confermano, nelle dodici regioni che abbiamo analizzato e in tutti i contesti; perlomeno i nostri gestori sono sovra standard.

Questo risulta utile per far vedere due cose dal nostro punto di vista; da un lato dire come ciò che è rappresentato come un vincolo in termini di norma, oggi è già superato, cioè più che norma oggi è un prerequisito, assorbito da tutti i gestori. Il dato assunto potrebbe diventare “forza e potere” del settore nelle trattative ai tavoli regionali, trasferendo le rivendicazioni ad esempio sul tema delle tariffe e della % di copertura pubblica della quota sanitaria.

Tra l’altro guardando al confronto tra Regioni abbiamo provato anche a fare una comparazione di costo, euro per minuto richiesto a parità di intensità assistenziale. Ed emerge che confrontando le Regioni non c’è alcuna linearità, nemmeno all’interno dello stesso territorio regionale; ad esempio la Toscana ha sulla bassa intensità un valore pari a 0,39€ al minuto, mentre sull’alta intensità ne paga 0,33».

Parrebbe un nodo cruciale.

«Veramente. E questo vale in tutte le regioni dove le tariffe non sono state fatte crescere proporzionalmente rispetto agli standard, laddove gli stessi standard sono stati chiesti in modo diversificato.

Abbiamo altresì rilevato che in realtà anche nella stessa regione ci sono aziende che hanno dei mix di organico completamente diversi tra loro, dimostrandoci che ci sono dei modelli gestionali diversi, rispetto i quali noi non abbiamo i dati per dire quale sia il migliore: servirebbero dei dati di esito.

Le diversità continuano e nel confronto tra aziende i numeri ci fanno vedere che nella realtà sono possibili scelte gestionali aziendali diverse, anche rispetto alle soluzioni su come gestire l’attuale scarsità di alcune figure professionali. Il tutto sino a chiedersi come sia possibile che, nella stessa regione, strutture simili con 120 posti letto abbiano l’una in organico un infermiere ogni tre O.S.S. e l’altra un infermiere ogni 4,5 O.S.S. Altresì sono tipicamente le strutture pubbliche dove finiscono le persone anziane non autosufficienti gravissime, per una vocazione specifica e senza “lamentarsi” per questi casi».

Quali sono in sintesi i messaggi che avete voluto lasciare con la relazione di quest’anno?

«Un messaggio è quello che la crisi del personale è un tema importante, non tanto però rispetto le regole in essere, visto che si è per lo più in sovra standard, ma rispetto la sostenibilità dei servizi, visto anche che in non tutte le regioni il gestore può agire autonomamente sulle tariffe dei servizi.

Poi, dato che troviamo anche dei mix di organico ampiamente diversi, l’interrogativo potrebbe essere nell’evidenziare quale di questi mix renda universalmente il servizio più sostenibile, garantendo allo stesso tempo una qualità adeguata degli esiti. È un tema che è ancora tutto da capire, perché probabilmente nessun ente ha ancora trovato la “formula magica”.

Se guardiamo i dati da un punto di vista statistico ne escono cluster molto chiari. Ad esempio il fatto che le aziende che hanno dei costi del personale più alto, non necessariamente esso identifica un mix più intenso con le professioni infermieristiche, ma semplicemente un costo complessivo più alto: sono tipicamente le aziende pubbliche, le fondazioni, quelle mono regione e quelle più piccole. E la forma giuridica non la puoi cambiare».

Però avere l’attività mono o pluri regione, l’essere un’azienda piccola o grande, sono elementi su cui si può agire, o no?

«Vediamo: le aziende che hanno costi del personale più bassi sono le private, le cooperative, le profit, le cooperative pluri-regione e con dimensioni (sia aziendali ma anche di posti letto per singola struttura) maggiori. Questo, rispetto la sostenibilità, è un tema che emerge anche per darci qualche indizio di quali modelli gestionali sono più – o forse in questo momento – implementabili; poi, come dicevo essere una fondazione o una cooperativa non è un qualcosa che modifichi dall’oggi al domani, forse non è neanche auspicabile. Però le dimensioni sono ad esempio un qualcosa su cui agire.

A mio parere, un’altra importante diversità tra le regioni che si ripercuote sui modelli gestionali è data dalle scelte “Politico – tecniche” su cui alcune Regioni si sono mosse in passato e altre si stanno ora orientando, ovvero il tema della “sussidiarietà” (il fatto di essere sussidiario, di svolgere funzione di complemento, d’integrazione – Treccani, ma anche art. 118 della Costituzione). Tradotto nell’accreditamento dei servizi pubblici al profit e al terzo settore, rinunciando alla gestione diretta propria.

Quello che conosciamo parte dall’esperienza della Lombardia, che ha inteso come sussidiario il passare gradualmente ai privati la gestione dei servizi, in una Regione che prima si era sempre caratterizzata in realtà per un forte legame con il servizio pubblico.

Anche queste sono scelte molto diversificate, vuoi per l’attenzione alla cultura locale, alle attese degli ospiti o dei familiari, questa diventa la cultura aziendale perché vuol dire rispondere a quelli che sono i desideri, i bisogni delle persone.

Mentre penso che un possibile elemento di innovazione (già accolto in alcune esperienze) è la diversificazione dei servizi erogati abbinato alla differenziazione delle tariffe, secondo il modello del value based pricing (dalle camere singole e servizi base a diversi livelli di qualità della proposta, differenziata anche per il carico di cura richiesto), con vantaggi sia per l’ospite che per il gestore. In breve cosa ne pensi?

«Certo, però questo secondo me funziona se si può applicare sia sulla tariffa alberghiera di compartecipazione dell’ospite che sulla tariffa sanitaria, mentre invece la maggior parte delle Regioni sta riducendo le differenziazioni sulla contribuzione sanitaria e sulla compartecipazione definisce degli obblighi di massima.

Sarebbe quindi necessario, per le finalità che hai indicato, che alla fine le Regioni liberalizzino in tutto o perlomeno in parte la definizione delle tariffe dei servizi, residenziali e non solo. Io credo molto in questa opportunità, anche nei termini di equità di trattamento, ove deve esserci una proporzionalità tra quanto erogato alla persona secondo un progetto individualizzato e quanto pagato».

C’è forse la necessità di una “rivoluzione” dei piccoli passi, delle buone pratiche dal basso, di un cambiamento che singole o reti di aziende possano sperimentare, un processo culturale per fare in modo che a ciò si adeguino le normative regionali e le linee guida nazionali. Nel frattempo quali sono le prospettive che il convegno dell’osservatorio ha evidenziato nelle proprie conclusioni?

«In quella sede abbiamo provato a ragionare su alcuni temi. Uno questo dell’eterogeneità versus più omogeneizzazione tra le Regioni, proprio di questi giorni dove il mondo politico a livello nazionale sta discutendo della c.d. autonomia differenziata; un tema correlato è la fotografia di un’eterogeneità non necessariamente giustificata da epidemiologi e o bisogni sociali diversi, anzi con argomentazioni tradizionalmente banali per il 2023 quali la struttura familiare diversa al nord e al sud, che al limite potrebbe essere un’argomentazione a supporto di maggiori servizi al Nord, oltre quelli che ci sono, non a giustificare i servizi inesistenti al Sud.

Alla luce delle riforme che si sta tentando di mettere in opera (come quella sulla Non Autosufficienza) c’è un’eterogeneità regionale oggi oggettiva e sinceramente non giustificata da una necessità di servizi diversi. Anche in virtù del valore dell’equità sarebbe necessario iniziare a darsi qualche linea guida nazionale. Quali possano essere questi “paletti” è una riflessione aperta, tema discusso al convegno anche con i Direttori regionali alla Sanità e al Sociale presenti in sala.

Un primo elemento potrebbe essere spostare l’attenzione delle normative, sull’accreditamento in particolare, dagli standard al mettere in pista dei sistemi che si orientino agli esiti.

Mentre l’auspicio più forte che è uscito dalla discussione è che pur valorizzando le necessità locali e regionali che sono al momento in essere non si può fare “tabula rasa” con una normativa nazionale che vada ad agire su contesti complessi ma qualificati già esistenti, come ad esempio in Veneto, Lombardia, Emilia Romagna, ma non solo. Vale anche per il Piemonte, la Liguria, il Friuli Venezia Giulia, le province autonome di Trento e Bolzano.

Preservando le esperienze buone o meno buone e valorizzando le buone prassi, è però necessario che esistano delle indicazioni prescrittive nazionali che spingano verso una maggiore equità rispetto ai cittadini. È auspicabile, così come anche riconoscere che sussistono problematiche a livello nazionale; una singola Regione non trova da sola la soluzione alla carenza degli infermieri, così come non trova da sola la soluzione al tema dell’invecchiamento.

Il tema dei costi e delle tariffe porta a chiedersi se sia opportuno spenderci per chiedere un aumento dei fondi sanitari; la conclusione a cui si è giunti, anche discutendo con le rappresentanze regionali, è che l’aumento necessario rispetto ai fondi sanitari o anche sociali si presenta come irraggiungibile,  perché non stiamo parlando di un’implementazione di bilancio del due, dieci o quindici %. In prospettiva da qui ai prossimi anni si prospettano necessità di finanziamenti ben maggiori e quindi il tema è forse cambiare il modello di finanziamento, quindi uscire un po’ dalla logica delle tariffe dell’accreditamento».

Nel merito, sono state fatte delle ipotesi o perlomeno sono state proposte delle suggestioni?

«Tra i relatori ospiti si è tornato a parlare di budget di salute, c’è però forse l’idea di superare questo meccanismo del “boom delle tariffe”, aspettandosi che le Regioni (anche per rispettare i valori di equità che dicevamo prima) inizino a preoccuparsi anche di quello che accade al di fuori dei servizi finanziati o regolati dai sistemi sanitari.

Quindi si è discusso per l’ennesima volta di come gestire il mondo badanti, di come aiutare l’agire rispetto alle famiglie in ambito informale. E si è detto che in realtà prima di pensare alle soluzioni serve veramente una presa di coscienza e di sensibilità da parte delle Regioni stesse.

Ci ha anche molto colpito il fatto che entrambi i due dirigenti regionali presenti come ospiti, abbiano ammesso che la loro lunga esperienza professionale come dirigenti in sanità non abbia consentito loro di approfondire la conoscenza del mondo sociale, quali le RSA e gli anziani non autosufficienti, fino all’emergenza data dalla crisi pandemica.

Mentre oggi è diventato lampante, come parte integrante del sistema socio sanitario, ed entrambi stanno tentando di portarlo all’attenzione della politica, che ancora invece fa molta fatica a livello regionale a vedere l’intenso e urgente impegno da dedicare a queste fragilità, nelle persone e nel sistema, chiedendosi altresì come integrare le risorse pubbliche con quelle private».


Documenti per approfondire l’argomento

Link al rapporto al quinto Rapporto Osservatorio Long Term care

https://cergas.unibocconi.eu/sites/default/files/media/attach/Def_5%20Rapporto%20OLTC.pdf?VersionId=nBCtXf8Sb8l.5ue0Ksy5vUcrNiVTCJvl

Link ai materiali del convegno del 15 febbraio 2023

https://cergas.unibocconi.eu/observatories/oltc/convegno-15-febbraio-2023-il-personale-come-fattore-critico-di-qualita-il

Qui il comunicato stampa sull’evento del 15 febbraio 2023

https://www.tecnomedicina.it/il-cergas-bocconi-presenta-il-5-rapporto-osservatorio-long-term-care-sullo-stato-dellassistenza-agli-anziani-in-italia/

Questo articolo è citato nel podcast “Semi di CURA”, nella puntata 11 dedicata proprio alla carenza di personale e intitolata: “A te, che sei rimasto a lavorare in RSA”

https://open.spotify.com/episode/2MTO8VFySF5vhUmQw6ma4i?si=92df113d041b468b

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  Si è svolto lo scorso 15 febbraio l’evento online…

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