L’Associazione Parkinson di Riccione ci racconta come il progetto di terapia occupazionale abbia influito positivamente sulle relazioni con gli anziani, nonostante la pandemia.
di Giuliana Bartocetti, Terapista occupazionale
Il progetto dell’Associazione Parkinson di Riccione: gli incontri coi familiari e l’applicazione del modello italiano di terapia occupazionale
Il progetto domiciliare attivato dalla Associazione Parkinson di Riccione ha preso avvio nel febbraio 2020, contemplando per ogni paziente sette incontri distinti, condotti dal team che comprendeva: la psicologa, la terapista occupazionale, l’esperta in scienze motorie. Erano inoltre previste due supervisioni fra i tre professionisti del Progetto ed una Follow Up con i pazienti e i loro le famigliari a distanza di tre mesi dalla fine del percorso.
Iniziano i primi incontri: nuovi contesti familiari, nuove persone con i loro Caregiver, nuove interazioni prendono avvio. L’applicazione del MOVI (modello italiano di terapia occupazionale) da me adottato e il numero predefinito degli incontri ha determinato l’unione della fase di Valutazione con il Percorso terapeutico.
Le proposte delle attività avevano sorpreso alcuni pazienti che esprimevano stupore nel pensare ai risultati ed ai benefici che ne sarebbero derivati. Ma piano, piano, superato il primo momento di sconcerto per alcuni, o di trepido e curioso piacere in altri, ecco inaspettatamente riaffiorare attraverso il fare, ricordi, immagini emozioni. Nuovi racconti, nuove storie, nuovi fili di interazioni stavano nascendo. Poi, all’improvviso il tempo si è fermato: lo stato di emergenza COVID ha sospeso tutti gli incontri.
Come fare?
Le storie sospese dall’arrivo del covid
Penso alla signora Laura che mentre in cucina aleggia il profumo di brodo, modella con mani delicate la creta e crea una figura seduta in poltrona con accanto un tavolino ed un cesto di frutta; i polpastrelli delle dita abilmente modellano mele, pere, foglie come piccole miniature. Ecco il racconto: è il suo babbo che tornato dal lavoro si riposa un po’ e la bambina gli ha preparato della frutta. Laura racconta di sé, della sua vita, le mani sono attive e la sua mente torna a vivere evocando immagini e vissuti. Laura mi chiede anche benzina perché il suo motore al mattino non riparte quando appoggia i piedi a terra per alzarsi dal letto.
Penso ad Anna che mi grida da dentro casa quando suono il campanello al suo portone: dice che non può aprirmi perché è caduta. Le dico che non la lascerò e provvedo con l’aiuto dei vicini ed i familiari sopraggiunti a raggiungerla, per alzarla e accompagnarla sul letto. In un misto di spavento, timore e sollievo mi racconta della sua casa in campagna dove andava quando riusciva ancora a guidare.
Dice che cade spesso in casa, ma è sola e deve farcela a rialzarsi, anche se poco lontano abitano le sorelle, ma non vuole chiamarle e disturbare.
Penso al signor Stefano, ebanista. Ha arredato la sua casa con mobili da maestro sapiente, è arrabbiato perché la moglie ed i figli non vogliono che vada al laboratorio sotto casa usando la sega elettrica da solo. Lui non vuole stare senza fare nulla e si vergogna ad andare a spasso con il carrellino.
Come stabilire la relazione nonostante tutto: l’aiuto della terapia occupazionale
E allora, come intervenire in un momento cosi drammatico che tutti abbiamo vissuto? Lo smarrimento, la paura, chissà quanto spavento, il timore di essere colpiti dalla malattia, il timore dell’altro, la paura del contagio. L’isolamento in casa ancor più alienante per molti è motivo di sofferenza, sia per il paziente che per il caregiver.
In questo tempo sospeso propongo ai colleghi di raggiungere i pazienti al telefono, almeno per salutarli, per stabilire un contatto. Cosa penseranno di noi? Siamo spariti?
Ero confortata anche da quanto stavo attuando con i bambini nel lavoro da remoto. Così si ristabilisce il contatto, incontrandoci sempre una volta la settimana nel setting già avviato nello stesso giorno alla stessa ora. Sembrava proprio che ci stessero aspettando. Dalle telefonate siamo poi passati alle videochiamate da cellulare, in alcuni casi con il PC. Questi strumenti a volte così intrusivi sono diventati quasi compagni di viaggio, perché ci hanno permesso di ritrovarci. Il filo della relazione da poco iniziata non si era spezzato.
Desidero ora parlarvi di Anteo, paziente oncologico di 85 anni, con un quadro clinico molto compromesso colpito anche dalla Malattia di Parkinson. Anteo è stato professore di lingua tedesca ed è un artista. Nel nostro primo incontro mi aveva mostrato i suoi disegni e le foto delle sue sculture. Era inverno e per motivi di salute non poteva scendere nel suo laboratorio. Diceva che la vita era sempre uguale dentro casa e gli mancava la libertà.
Nella libreria ci sono 8 Vocabolari di lingua tedesca. Anteo dice che in casa legge senza limiti, ama la conoscenza della radice della parola. Le nostre conversazioni prendono avvio dalle parole che lo affascinano maggiormente e desidera insegnarmi. Iniziamo dalle parole più semplici, quelle del lessico quotidiano.
Si sofferma a lungo sulla parola amici e, parlando di loro, dice che non li vede più da molto tempo, alcuni sono morti e altri stanno male come lui. Anteo mi spiega le parole più semplici e la punteggiatura, mi dice che la virgola è ancora più importante del punto, mi dà i saluti e mi fa gli auguri pasquali.
Sono piccole lezioni, incontri giocosi; conversazioni che aprono il pensiero con le citazioni di Hölderlin, dei poeti, dei filosofi e dei musicisti della cultura tedesca. Così trovo una poesia di Rilke, poeta che lui ama tanto e gliela scrivo sul cellulare, lui me la leggerà in tedesco. Mi parla de “La Teoria dei Colori” di Goethe, poi ascoltiamo la musica di Wagner. Il tempo trascorre con coinvolgimento e piacevolezza.
Gli effetti della Terapia Occupazionale sulle persone
Possiamo constatare come il paziente si sia ripreso in mano la sua vita e, come in questo ventaglio di esperienze e attraverso la lingua tedesca, siano emerse attività significative perché appartenevano ad emozioni legate alla sua memoria che ora sono tornate a vivere. Siamo quasi al termine dei nostri incontri e chiedo ad Anteo se vuole comporre un pensiero, una frase in lingua tedesca a suo piacere, una immagine, un ricordo o una filastrocca.
Ed eccola:
“ Tristezza, angoscia, ansia. Passa e trascorre il tempo che ci può portare improvvisamente la morte. Ma insieme vinceremo il Coronavirus”.
La scrive e la legge in tedesco e poi in italiano. È una forte emozione.
Concludendo, posso affermare che dopo questo primo momento di smarrimento dovuto alla pandemia, l’incontro attraverso questi strumenti tecnologici sia stata la dimostrazione di quanto la Terapia Occupazionale fosse importante e di quanto il ruolo ne sia uscito più forte di prima. Certo, le attività muovono processi di trasformazione esterni ed interni, ma la relazione, il racconto, il gioco, hanno messo in luce nuove possibilità anche se con un sistema sul quale vertevano molti dubbi, dando conferma del nostro fare insieme nella relazione e rafforzando certamente la nostra identità professionale.
Abbiamo affrontato il tema della Terapia Occupazionale nell’articolo “La cura della demenza: Dalle terapie non farmacologiche agli interventi psicosociali” sulla rivista CURA.
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