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Best practice in RSA al centro del webinar organizzato da Serenity per mettere a fuoco i comportamenti virtuosi delle organizzazioni sociosanitarie durante la pandemia

RSA e pandemia: due parole troppo spesso associate negativamente e oggetto di un vero e proprio “fango mediatico”. Ma come si sono organizzate realmente le strutture e quale valore invece sono state capaci di manifestare? 4 esempi di realtà di cura che hanno saputo trasformare la “minaccia” della pandemia in “opportunità di miglioramento” raccontate da 4 direttori.

Il 13 ottobre 2021 si è svolto il webinar promosso dall’azienda SerenityTrasformare le minacce in opportunità di miglioramento. Best Practice nella gestione della pandemia in RSA” moderato dal professor Antonio Sebastiano, direttore dell’Osservatorio sulle RSA della LIUC di Castellanza, che ha avuto come obiettivo quello di narrare le esperienze nella gestione della pandemia condotte da 4 RSA provenienti da regioni diverse.

Il webinar, oltre al raccogliere le singole narrazioni dei direttori intervistati, è servito come momento per testimoniare come le strutture sociosanitarie abbiano saputo produrre valore anche nel momento della crisi, nonostante le difficoltà incontrate per la pandemia e nonostante la comunicazione negativa che i media nazionali ne stavano dando.

Antonio Sebastiano ha esordito dicendo:

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“Voglio ringraziare tutti gli operatori delle RSA e sono amareggiato dal fango mediatico che ha colpito le nostre strutture. Oggi l’acronimo è RSA è diventato noto, purtroppo, in seguito a notizie negative a discapito dello sforzo che tutti i professionisti hanno fatto nel prendersi cura e nel proteggere le persone dalla pandemia, anche in condizioni non floride”.

Abbiamo oggi urgenza – dice Sebastiano – di sostenere le strutture, di ripulirle dalla negatività che le ha connotate e di ri-conoscerle come luoghi imprescindibili che offrono soluzioni a bisogni reali. Le nostre strutture godono di un’autonoma utilità e non hanno bisogno di essere contrapposte ai servizi domiciliari (che pure andrebbero implementati), ma meritano di essere presentate come complementari a questi.
Il messaggio di esordio del webinar è che dunque il settore residenziale abbia un’importanza centrale nell’assistenza alla fragilità.

Le quattro strutture coinvolte nella presentazione delle Best Practice in RSA hanno rappresentato 3 regioni differenti. Due erano provenienti dal Veneto, la Fondazione OIC onlus e l’Ipab Residenza Francescon, una dall’Emilia Romagna, l’Asp Città di Bologna, e una dalla Lombardia, la Fondazione Poretti Magnani.

Best practice in RSA

Il rapporto coi familiari

“Durante la pandemia abbiamo messo in atto nuove azioni e strategie che ora sono prassi normali” dice la prima intervistata Irene Bruno, direttrice Servizi alla Persona dell’Asp Città di Bologna e Presidente Ansdipp Emilia-Romagna.

L’Asp Città di Bologna – continua Bruno – comprende CRA, centri diurni, servizi di residenzialità leggera. Ci sono in totale sei centri servizi, tutti nel territorio. Una realtà grande e diversificata che ha saputo coinvolgere i familiari in ogni fase e che ha sostenuto la loro relazione con gli utenti anche nei momenti difficili.

“Noi diamo molto valore alla rappresentanza dei familiari, per cui abbiamo creato questo organismo, il CCSA, il Comitato Consultivo Servizi Anziani”. Un acronimo che racchiude un organo di rappresentanza composto da 32 membri in cui sono rappresentanti tutti i servizi ospitati da Asp Bologna, i familiari e anche gli anziani stessi.  Una vera innovazione tecnologica e di governance, “un luogo dove avere confronti su temi urgenti e emergenziali ma anche gruppi di lavoro a medio lungo termine, associazioni di volontariato che collaborano con noi”, dice Irene Bruno.

Durante la pandemia ci siamo comportati privilegiando il dialogo e il confronto rispetto alle soluzioni date a tavolino. Sono state coinvolte tutte le rappresentanze amministrative per allargare la base del confronto e per attuare misure coese, ragionate e condivise.

Anche rispetto alla necessità di coniugare le esigenze organizzative e i bisogni animativo-educativi ci si è avvalsi del confronto coi familiari. Ci siamo affidati al dialogo e abbiamo cercato di assecondare anche le caratteristiche di ogni specifica CRA, che aveva esigenze diverse. Per esempio i familiari di alcune CRA hanno rinunciato spontaneamente alle visite due volte a settimana per poter far riprendere più intensivamente le attività animativo-educative. Questo è stato un risultato della scelta di coinvolgere i partenti e di renderli partecipi delle esigenze dei loro cari.

Le chiusure: da isolamento a protezione

Fabio Toso, Presidente della Fondazione OIC e Presidente provinciale Uneba Padova, ha raccontato che il momento in cui le RSA hanno dato il meglio di sé è stato proprio quello in cui si è maggiormente innalzata la vox populi contro di loro. Ha prima parlato della Fondazione: una grande realtà con 13 residenze, due ospedali di comunità, un hospice, asili nido, scuole materne, servizi domiciliari, centri diurni, aree sportive con sportivi con disabilità.


Una delle prime cose che hanno dovuto fare durante la pandemia è stata proteggere le persone fragili. Ma proteggerle in quel momento voleva dire chiudere tutto. È stata una scelta difficile, racconta Toso. Tutte le scelte imposte dalla pandemia erano dettate dall’emergenza e dalla necessità, ma chiudere le persone per proteggerle dal virus non significava farle stare bene.

In Fondazione – ha continuato Toso – ci siamo chiesti come i familiari abbiano percepito questa chiusura e così abbiamo fatto un questionario per loro che ha avuto un’altissima partecipazione.


I questionari telefonici sono stati indirizzati a esperti psicologi e hanno riportato come la maggior parte dei familiari si sia detta contenta della chiusura, poiché l’ha interpretata come una reale protezione. In quel momento hanno anche percepito rassicurazione e presenza da parte della Fondazione. Questo ruolo benefico è stato anche ben percepito dai professionisti tanto da motivarli nel loro lavoro.

La rivista CURA ha intervistato i professionisti della Fondazione OIC di Padova e ha riportato il racconto nell’articolo La fondazione OIC onlus racconta come è stata vissuta la pandemia da anziani e professionisti.

Gli educatori: un nuovo ruolo professionale

Altro fronte su cui ci siamo impegnati, racconta Toso, è stato quello delle attività educative. Gli educatori in quel momento hanno parzialmente lasciato in disparte le loro mansioni usuali e si sono concentrati sul mantenere le relazioni fra anziani e familiari, principalmente attraverso le videochiamate. In quel frangente abbiamo notato come l’uso delle tecnologie fosse ben più di un surrogato delle attività, ma un vero e proprio approfondimento relazionale fra anziani e familiari e fra famiglie e operatori.

Non c’era solo il momento della chiamata, ma c’erano diversi altri frangenti in cui, mostrando foto, messaggi e video, gli operatori permettevano di far vedere agli anziani cosa stava accadendo in famiglia e li rendeva partecipi della vita dei loro cari. Questo è stato un risultato importante che tutti i familiari hanno apprezzato e che rimarrà nel tempo come prassi consolidata.

Questo ruolo proattivo dell’educatore ha fatto sì che questa figura professionale diventasse il conoscitore delle più profonde relazioni fra la famiglia e l’anziano. È diventato quasi custode dei segreti, delle confidenze con le famiglie. Si è trasformato in un nuovo professionista a sostegno profondo delle relazioni. A noi piacerebbe tenere questa competenza acquisita anche nel futuro e svilupparla.

Sono convinto, dice Toso, che questa presenza nuova da parte degli operatori rimarrà. Prima i familiari chiedevano agli operatori notizie sulla giornata del proprio caro, sul pranzo, la cena, l’igiene. Adesso il familiare ha visto che quello che gli interessa profondamente è stare vicino al proprio caro, avere un contatto con lui e non fare domande “di controllo” sulla pulizia, l’alimentazione o su questioni routinarie.

È come se si fosse sedimentata una fiducia sul ruolo e verso il lavoro degli operatori. D’altra parte, anche gli operatori hanno acquisito fiducia nei familiari vedendo che questi si sono concentrati sugli aspetti più importanti, quelli relazionali.
È stato un bel risultato vedere una maggiore maturità da parte dei familiari e una accresciuta consapevolezza dei servizi.

L’uragano Covid

Daniele Dal Ben, terzo intervistato sulle Best practice in RSA, è il direttore della Residenza Francescon a Portogruaro. Si tratta di una piccola struttura di 140 posti. Ci racconta come la residenza sia stata colpita dal virus già nella prima ondata.

“È stato un momento in cui non c’erano DPI, mascherine; non c’era conoscenza del virus. Abbiamo vissuto un ‘uragano Covid’ che ha lasciato ferite profonde agli anziani e a tutta l’organizzazione”.

Ha lasciato ferite agli operatori, non solo perché si sono ammalati ma anche per il lavoro che hanno fatto e per cui si sono impegnati moltissimo.

Quando ancora non si sapeva cos’era il Covid abbiamo intanto dovuto apportare cambiamenti strutturali alla residenza, dagli spazi, agli arredi. È stato un uragano anche dal punto di vista economico: per la prima volta abbiamo registrato una perdita del 10%. Da lì abbiamo cercato di porci domande su come uscirne e ci siamo chiesti in che modo avremmo dovuto ricostruire l’organizzazione.

Abbiamo deciso di cambiare insieme, condividendo con tutta l’équipe la volontà di non voler portare le stigmate della ferita Covid. Abbiamo condiviso il rifiuto della definizione delle strutture sociosanitarie come “non luoghi”, che non ci corrisponde affatto. Abbiamo deciso di leggere i bisogni della popolazione anziana non solo in logica pandemica, ma anche post pandemica.

Abbiamo quindi dato risposte contingenti durante l’emergenza e allo stesso tempo voluto guardare oltre i confini della nostra residenza e oltre il tempo della pandemia. Volevamo progettare il futuro per non restare ostaggi del presente. Abbiamo condiviso una particolare prospettiva di futuro facendo un masterplan decennale, cambiando i servizi esistenti e aggiungendone di nuovi.

Siamo ripartiti dalla definizione che ha dato la regione Veneto delle strutture: “centri di servizi per persone anziane”. Facendo nostra questa definizione, ci siamo impegnati nella progettazione e nell’attivazione di servizi domiciliari nel territorio per sviluppare servizi di supporto alla famiglia, creando anche uno sportello per le badanti.

Abbiamo cercato risposte per la demenza e abbiamo deciso di promuovere una cultura dell’invecchiamento attivo, progettando una palestra senior per over 65 e ponendo le basi per la creazione di una web radio targettizzata per l’età anziana. Questo sguardo alto, un po’ strabico verso il futuro ci ha motivato e ci ha aiutato nella gestione del tempo presente e delle relazioni coi soggetti (familiari, istituzioni). Anche coi lavoratori abbiamo continuato a dialogare per sostenerli nelle difficoltà che hanno affrontato e che affrontano ancora quotidianamente.

La sostenibilità economica: un tema imprescindibile

Uno dei temi da non sottovalutare nella gestione della pandemia per le RSA è proprio la sostenibilità economico-finanziaria, una questione meno emotiva ma cruciale, come dice Antonio Sebastiano. E continua: “io ho dato una prima restituzione dell’analisi dei bilanci del 2020 e su un campione di 126 enti rappresentativi di oltre 154 RSA registriamo una perdita di 62 milioni di euro”.

Dunque si pone il problema della sostenibilità ed è importante chiedersi se la classe manageriale oggi sia pronta ad affrontare queste sfide visto che il Covid è stato un acceleratore delle difficoltà che gli enti già vivevano dal punto di vista organizzativo e gestionale.

Alla domanda risponde Dal Ben: “Credo che dentro i nostri enti ci siano grandi competenze. E credo anche però che manchi una classe dirigente a livello politico. Temo che serva più studio e preparazione sulla nostra realtà”.

L’unione dell’équipe di cura e la creazione di nuove routine

Marco Bertani, direttore della Fondazione Poretti Magnani di Vedano Oloina e Presidente regionale Lombardia Ansdipp, e quarto intervistato sulle Best practice in RSA, racconta come anche presso la struttura che dirige sia arrivato l’ “uragano Covid”.

“Abbiamo passato un 2020 lavorando con poche risorse, con un clima di paura e di timore. Siamo riusciti a trovare strategie di fronteggiamento grazie all’unione del gruppo di lavoro. È stato un periodo che coi colleghi abbiamo vissuto insieme e anche oggi lo voglio condividere con loro”, dice Bertani.

Insieme a lui Laura Ferro, educatrice professionale della Fondazione, che ha raccontato di come la chiusura abbia portato a una riorganizzazione totale e continua del lavoro di cura. “Per far fronte alla crisi è stato fondamentale il contributo di tutti noi professionisti. Ci siamo trovati sbattuti in faccia tutta la nostra vulnerabilità. Sentivamo il bisogno di rassicurare le persone e questo ci rendeva dei punti di riferimento importanti anche perché eravamo il tramite delle loro relazioni familiari”.

Laura Ferro racconta come sia stato importante in struttura ricreare una nuova quotidianità e una nuova routine che permettesse sicurezza e il miglior grado di benessere alle persone, anziani e operatori.

Gestire rapporto interrotto coi familiari non è stato facile, soprattutto nei casi di persone con demenza, continua. Abbiamo usato fotografie e ci siamo avvalsi della collaborazione degli studenti mantenendo sempre vivo il legame coi nostri tesisti che hanno scritto tesi e realizzato interviste per capire i bisogni esistenti in RSA. Abbiamo indagato anche l’approccio educativo agli anziani. Le interviste cercavano di mettere in luce la filosofia della cura che volevamo adottare.

Tutta l’indagine compiuta è servita a re-investire le figure professionali per i reali bisogni rilevati. Ci siamo quindi preparati, abbiamo studiato e abbiamo messo in crisi quello che sapevamo.

Sergio Dimori, direttore sanitario della Fondazione Poretti Magnani, racconta poi come il personale medico della RSA si sia confrontato costantemente con gli educatori per trovare un modo migliore di prestare assistenza agli anziani. Altra cosa importante, dice, è stata cercare di aiutare gli operatori a mantenere sotto controllo le ansie e le paure incontrandoli con frequenza e ascoltandoli.

E anche gli anziani sono stati coinvolti positivamente anche per quel che riguarda la somministrazione dei vaccini. “Alcuni anziani sono venuti a chiederci informazioni sui certificati, i green pass, erano quindi molto attenti alle notizie di attualità e alle misure comportamentali adottate fuori dalle residenze. Ora molti di loro sono favorevoli e accoglienti verso una terza dose”.

A conclusione del webinar, Antonio Sebastiano rilancia un messaggio di positività, di apprezzamento e stima nei confronti di questo settore.

“Iniziamo a vedere la luce a capitalizzare l’esperienza maturata. È il momento di pensare al futuro e ai policy maker perché dedichino le giuste attenzioni e risorse a questo settore”.

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