Un articolo che è anche una lettera aperta. Una lettura della situazione attuale che prende le mosse dalla proposta che una anziana residente fece anni fa all’autrice di questo articolo (alla direzione della Fondazione Cerino Zegna): un convegno sull’ipocrisia. La proposta fu accolta, e rivelatrice. Perché ancora oggi è necessario parlare di bugie e verità negate.

Di Paola Garbella, direttore generale della Fondazione Cerino Zegna

Un convegno aperto alla popolazione dal titolo ipocrisia

Sono trascorsi ormai diversi decenni da quando, giovane e inesperta direttrice di una Casa di Riposo, mi ritrovai di fronte una donna bellissima, elegantissima e dignitosa sulla sua carozzella, che mi chiedeva di poter organizzare un convegno aperto alla popolazione dal titolo Ipocrisia.

Aveva quasi 100 anni ed era da poco residente nella struttura che mi aveva da alcuni mesi chiamata come dirigente.

Lì per lì la guardai stupita, non capivo neanche bene la richiesta. Peraltro erano gli inizi degli anni ’90 e le cosiddette “Case di Riposo” avevano da poco avviato un percorso di revisione della loro centenaria missione per cui erano in atto modifiche normative, strumentali e gestionali importanti che hanno segnato un’epoca, soprattutto hanno accompagnato il nostro lavoro, il nostro credere che fosse possibile farsi carico delle persone anziane non autosufficienti passando essenzialmente dagli “Istituti” dagli “Ospizi” alle Residenze per Anziani a rilievo sanitario: le RSA.

Ipocrisia: un tema mai stato affrontato nel nostro settore

Recita la nostra Treccani:

Ipocrisia è un atteggiamento, un comportamento o vizio di una persona che volontariamente finge di possedere credenze, virtù, ideali, sentimenti, emozioni che in realtà non possiede.

Essa si manifesta quando la persona tenta di ingannare altre persone con tali affermazioni, ed è quindi una sorta di bugia!

Iride nel suo personale intervento al convegno (NB: che riuscimmo ad organizzare grazie a lei) centrò il focus sui figli che a suo parere dichiarano di poter “risolvere” le difficoltà dei genitori in particolare la non autosufficienza, utilizzando il ricovero in RSA semplicemente con una bugia: quella di non poter o voler ammettere di non essere in grado di prendersi carico della perdita di autonomia dei propri cari! Certo una posizione forte anche sicuramente arrabbiata, personale contro la propria figlia che, a suo dire, l’aveva “ipocritamente” ricoverata, e da lì il suo desiderio di scoperchiare il tema.

Gli altri relatori del convegno (Geriatra, Sociologo e Filosofo) approfittarono di questo input della signora Iride e portarono l’attenzione del numeroso uditorio fuori dall’alveo genitori-figli. Allargarono la visuale coinvolgendo soprattutto ruoli e compiti dei servizi sanitari e sociali che proprio in quegli anni si stavano interrogando sul tema Lunga Assistenza e stavano investendo nell’uscire da secoli di istituzionalizzazione verso la trasformazione in un nuovo soggetto di Servizi alla Persona, soprattutto fragili e anziani non autosufficienti.

Parliamo di anni appunto di investimento in professionalità, nelle strutture abitative, nei modelli assistenziali anni dove grande è stata la cultura della cura, anni dove la sanità pubblica finalmente entrò a tutti gli effetti nei servizi riconoscendo quel ruolo sanitario fino ad allora negato alle cure per gli anziani non autosufficienti (vedi anche: Crisi del personale, il rapporto CERGAS-Bocconi).

Verso l’approccio multiprofessionale sociosanitario

Finì l’epoca degli Istituti totalizzanti e vennero messi in campo percorsi qualitativi con un approccio multiprofessionale sociosanitario.

Poi la seconda metà degli anni 2000, la crisi economica del 2008, i dati demografici sempre più allarmanti con una inversione della curva che vide per la prima volta nella storia dell’umanità più vecchi che bambini nelle società del mondo occidentale, appelli di demografi e sociologi inascoltati, portarono a qualche sporadico progetto per l’invecchiamento attivo ma di fatto si tralasciò il problema e nessuna presa di posizione concreta venne messa in atto per essere preparati e capaci di affrontare un siffatto cambiamento epocale.

Tutto ciò trascinato tra tagli alla spesa pubblica e cambiamenti di rotta non governati fino al 2020, anno del COVID, che altro non ha fatto se non acuire i problemi da tempo presenti nel settore delle cure alla non autosufficienza.

Torna attuale interrogarsi sull’ipocrisia

Quindi che accade?

Ecco riaffacciarsi prepotente il tema della ipocrisia, questa volta da parte delle Istituzioni che hanno finto, approfittando della pandemia, per sparare a zero sui servizi residenziali per anziani non autosufficienti adducendo sedicenti ricorsi a una domiciliarità esclusiva per le cure, ben consapevoli quanto ciò sia impossibile senza cospicui investimenti!

Ecco la negazione della vecchiaia malata così che la Sanità possa decidere di non occuparsene abbandonando di fatto l’aiuto a migliaia di vecchi soli che mai potranno curarsi in casa, e riducendo se non eliminando, il sostegno alle RSA che così inesorabilmente in pochi anni stanno perdendo tutto il patrimonio umano e di servizi conquistato faticosamente. Risorse tagliate che non si capisce dove siano state convogliate perché, per contro, non si è certo visto un aumento dei servizi domiciliari salvo il ricorso personale delle famiglie alle badanti!

La lungimiranza del discorso di Iride

E qui Iride mi torni in mente con i tuoi lungimiranti discorsi sull’Ipocrisia! Basterebbe investire il giusto nella Sanità a favore delle Cure per gli Anziani non autosufficienti a livello residenziale e non solo. E invece no, si preferisce sottrarre risorse, riempire di bugie la popolazione così che la domiciliarità appaia come il miraggio, il mito, non una scelta consapevole e assistita ma una scelta obbligata delle famiglie solo per non voler ammettere che non si vuole più spendere per i vecchi, soprattutto se malati e non autosufficienti!

Invece di offrire servizi a tutto campo dalla domiciliarità alla residenzialità creando anche un indotto di nuove professioni nuove attività e opportunità, come struzzi si nasconde la testa sotto la sabbia e si parla esclusivamente della bontà di starsene a casa propria, magari soli o assistiti non professionalmente!

E allora non appare così improbabile il passo successivo: piuttosto che una vita così meglio la morte! Una cosa di cui sempre più frequentemente si parla con un atteggiamento negativo giudicando cosa è o cosa non è vita, con canoni di un oggi che non ammette perdite di nessun genere. Si cammina spediti verso un abbandono e una cultura dello scarto pagando il prezzo di una Sanità cieca che non ha saputo porre rimedio in tempo alla nuova società fatta di vecchi, nascondendo per 30 anni ciò che oggi è palese e cioè che fino al 2050 tale e tanta sarà la popolazione anziana nel mondo che appaiono insufficienti le risorse umane e materiali necessarie.

Quindi che fare?

Tornare a investire anziché negare la realtà, con ipocrisia

A mio modesto parere si può correre ai ripari se la Sanità vira la propria ottica e torna a investire nella non autosufficienza avvalendosi di quanto è già attivo e presente, soprattutto le RSA che possono diventare a tutti gli effetti Centri di Servizi globali per gli anziani, riducendo costi e producendo attività efficaci.

Ma ciò non avverrà. È più facile per tutti negare la situazione trasmettendo continui messaggi fuorvianti sulla bontà del vivere a casa con un minimo aiuto, così che poi la morte sia la soluzione finale risolutiva semplice, ipocrita, e terribile quando sono i ragionieri a imbastire le politiche sociosanitarie del futuro. Ma è così e ringrazio Iride a distanza di 30 anni che ci ha lasciato una grande lezione ancora oggi attuale, e che non fa che richiamarci ai nostri dimenticati doveri.

About the Author: Editrice Dapero

Casa Editrice Indipendente per una cultura condivisa nel settore dell’assistenza agli anziani.

Un articolo che è anche una lettera aperta. Una lettura della situazione attuale che prende le mosse dalla proposta che una anziana residente fece anni fa all’autrice di questo articolo (alla direzione della Fondazione Cerino Zegna): un convegno sull’ipocrisia. La proposta fu accolta, e rivelatrice. Perché ancora oggi è necessario parlare di bugie e verità negate.

Di Paola Garbella, direttore generale della Fondazione Cerino Zegna

Un convegno aperto alla popolazione dal titolo ipocrisia

Sono trascorsi ormai diversi decenni da quando, giovane e inesperta direttrice di una Casa di Riposo, mi ritrovai di fronte una donna bellissima, elegantissima e dignitosa sulla sua carozzella, che mi chiedeva di poter organizzare un convegno aperto alla popolazione dal titolo Ipocrisia.

Aveva quasi 100 anni ed era da poco residente nella struttura che mi aveva da alcuni mesi chiamata come dirigente.

Lì per lì la guardai stupita, non capivo neanche bene la richiesta. Peraltro erano gli inizi degli anni ’90 e le cosiddette “Case di Riposo” avevano da poco avviato un percorso di revisione della loro centenaria missione per cui erano in atto modifiche normative, strumentali e gestionali importanti che hanno segnato un’epoca, soprattutto hanno accompagnato il nostro lavoro, il nostro credere che fosse possibile farsi carico delle persone anziane non autosufficienti passando essenzialmente dagli “Istituti” dagli “Ospizi” alle Residenze per Anziani a rilievo sanitario: le RSA.

Ipocrisia: un tema mai stato affrontato nel nostro settore

Recita la nostra Treccani:

Ipocrisia è un atteggiamento, un comportamento o vizio di una persona che volontariamente finge di possedere credenze, virtù, ideali, sentimenti, emozioni che in realtà non possiede.

Essa si manifesta quando la persona tenta di ingannare altre persone con tali affermazioni, ed è quindi una sorta di bugia!

Iride nel suo personale intervento al convegno (NB: che riuscimmo ad organizzare grazie a lei) centrò il focus sui figli che a suo parere dichiarano di poter “risolvere” le difficoltà dei genitori in particolare la non autosufficienza, utilizzando il ricovero in RSA semplicemente con una bugia: quella di non poter o voler ammettere di non essere in grado di prendersi carico della perdita di autonomia dei propri cari! Certo una posizione forte anche sicuramente arrabbiata, personale contro la propria figlia che, a suo dire, l’aveva “ipocritamente” ricoverata, e da lì il suo desiderio di scoperchiare il tema.

Gli altri relatori del convegno (Geriatra, Sociologo e Filosofo) approfittarono di questo input della signora Iride e portarono l’attenzione del numeroso uditorio fuori dall’alveo genitori-figli. Allargarono la visuale coinvolgendo soprattutto ruoli e compiti dei servizi sanitari e sociali che proprio in quegli anni si stavano interrogando sul tema Lunga Assistenza e stavano investendo nell’uscire da secoli di istituzionalizzazione verso la trasformazione in un nuovo soggetto di Servizi alla Persona, soprattutto fragili e anziani non autosufficienti.

Parliamo di anni appunto di investimento in professionalità, nelle strutture abitative, nei modelli assistenziali anni dove grande è stata la cultura della cura, anni dove la sanità pubblica finalmente entrò a tutti gli effetti nei servizi riconoscendo quel ruolo sanitario fino ad allora negato alle cure per gli anziani non autosufficienti (vedi anche: Crisi del personale, il rapporto CERGAS-Bocconi).

Verso l’approccio multiprofessionale sociosanitario

Finì l’epoca degli Istituti totalizzanti e vennero messi in campo percorsi qualitativi con un approccio multiprofessionale sociosanitario.

Poi la seconda metà degli anni 2000, la crisi economica del 2008, i dati demografici sempre più allarmanti con una inversione della curva che vide per la prima volta nella storia dell’umanità più vecchi che bambini nelle società del mondo occidentale, appelli di demografi e sociologi inascoltati, portarono a qualche sporadico progetto per l’invecchiamento attivo ma di fatto si tralasciò il problema e nessuna presa di posizione concreta venne messa in atto per essere preparati e capaci di affrontare un siffatto cambiamento epocale.

Tutto ciò trascinato tra tagli alla spesa pubblica e cambiamenti di rotta non governati fino al 2020, anno del COVID, che altro non ha fatto se non acuire i problemi da tempo presenti nel settore delle cure alla non autosufficienza.

Torna attuale interrogarsi sull’ipocrisia

Quindi che accade?

Ecco riaffacciarsi prepotente il tema della ipocrisia, questa volta da parte delle Istituzioni che hanno finto, approfittando della pandemia, per sparare a zero sui servizi residenziali per anziani non autosufficienti adducendo sedicenti ricorsi a una domiciliarità esclusiva per le cure, ben consapevoli quanto ciò sia impossibile senza cospicui investimenti!

Ecco la negazione della vecchiaia malata così che la Sanità possa decidere di non occuparsene abbandonando di fatto l’aiuto a migliaia di vecchi soli che mai potranno curarsi in casa, e riducendo se non eliminando, il sostegno alle RSA che così inesorabilmente in pochi anni stanno perdendo tutto il patrimonio umano e di servizi conquistato faticosamente. Risorse tagliate che non si capisce dove siano state convogliate perché, per contro, non si è certo visto un aumento dei servizi domiciliari salvo il ricorso personale delle famiglie alle badanti!

La lungimiranza del discorso di Iride

E qui Iride mi torni in mente con i tuoi lungimiranti discorsi sull’Ipocrisia! Basterebbe investire il giusto nella Sanità a favore delle Cure per gli Anziani non autosufficienti a livello residenziale e non solo. E invece no, si preferisce sottrarre risorse, riempire di bugie la popolazione così che la domiciliarità appaia come il miraggio, il mito, non una scelta consapevole e assistita ma una scelta obbligata delle famiglie solo per non voler ammettere che non si vuole più spendere per i vecchi, soprattutto se malati e non autosufficienti!

Invece di offrire servizi a tutto campo dalla domiciliarità alla residenzialità creando anche un indotto di nuove professioni nuove attività e opportunità, come struzzi si nasconde la testa sotto la sabbia e si parla esclusivamente della bontà di starsene a casa propria, magari soli o assistiti non professionalmente!

E allora non appare così improbabile il passo successivo: piuttosto che una vita così meglio la morte! Una cosa di cui sempre più frequentemente si parla con un atteggiamento negativo giudicando cosa è o cosa non è vita, con canoni di un oggi che non ammette perdite di nessun genere. Si cammina spediti verso un abbandono e una cultura dello scarto pagando il prezzo di una Sanità cieca che non ha saputo porre rimedio in tempo alla nuova società fatta di vecchi, nascondendo per 30 anni ciò che oggi è palese e cioè che fino al 2050 tale e tanta sarà la popolazione anziana nel mondo che appaiono insufficienti le risorse umane e materiali necessarie.

Quindi che fare?

Tornare a investire anziché negare la realtà, con ipocrisia

A mio modesto parere si può correre ai ripari se la Sanità vira la propria ottica e torna a investire nella non autosufficienza avvalendosi di quanto è già attivo e presente, soprattutto le RSA che possono diventare a tutti gli effetti Centri di Servizi globali per gli anziani, riducendo costi e producendo attività efficaci.

Ma ciò non avverrà. È più facile per tutti negare la situazione trasmettendo continui messaggi fuorvianti sulla bontà del vivere a casa con un minimo aiuto, così che poi la morte sia la soluzione finale risolutiva semplice, ipocrita, e terribile quando sono i ragionieri a imbastire le politiche sociosanitarie del futuro. Ma è così e ringrazio Iride a distanza di 30 anni che ci ha lasciato una grande lezione ancora oggi attuale, e che non fa che richiamarci ai nostri dimenticati doveri.

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Casa Editrice Indipendente per una cultura condivisa nel settore dell’assistenza agli anziani.

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