L’aumento dei casi di burnout e stress lavoro-correlato ha coinvolto diverse categorie di lavoratori, primi fra tutti coloro che svolgono professioni di assistenza clinica e relazionale alle persone residenti in RSA.

di Claudia Cappellari, Psicologa Psicoterapeuta Psicogerontologa, esperta di invecchiamento e di prevenzione e trattamento di disturbi stress-correlati

Burnout e stress lavoro-correlato: come si manifestano?

Il burnout è il possibile esito patologico della cronicizzazione di uno stato di stress lavoro-correlato e si manifesta con un progressivo esaurimento psicofisico, crescente disimpegno nei confronti dell’attività lavorativa e comparsa di sintomi fisici, psichici e comportamentali (es. cefalee ricorrenti, stanchezza eccessiva, difficoltà di concentrazione, disturbi d’ansia e del tono dell’umore, disturbi del sonno, cinismo, lamentosità, tendenza all’abuso di sostanze psicotrope…).

Oltre a pregiudicare in modo rilevante la qualità di vita del lavoratore, questi sintomi impattano negativamente anche sulla realtà aziendale di appartenenza, comportando criticità e costi imprevisti connessi a:

HOMES
  • riduzione della qualità delle performance lavorative;
  • calo del rendimento e della produttività;
  • incremento dei tassi di assenteismo, di infortunio e di turnover;
  • aumento dei problemi disciplinari e dei contenziosi legali.

Le categorie più esposte alla sindrome da burnout

Sebbene oggi venga descritto come una sindrome psicologica che può presentarsi nei più svariati contesti occupazionali, il burnout e lo stress lavoro-correlato continua a essere significativamente più diffuso tra coloro che svolgono professioni di aiuto a elevata implicazione relazionale, e particolarmente tra le persone che, nello svolgimento della loro attività lavorativa, si occupano direttamente e quotidianamente di altri esseri umani in grave difficoltà.

Il lavoro in prima linea e l’impegno sostenuto nei contesti di cura

Tra i lavoratori più esposti vi sono gli addetti all’assistenza e gli altri professionisti sanitari e socio-sanitari che operano in prima linea all’interno delle residenze per anziani non autosufficienti, dove è lecito supporre che, dall’inizio dell’emergenza sanitaria conseguente alla diffusione del Covid-19, il rischio e l’incidenza di burnout e stress lavoro-correlato siano sensibilmente aumentati.

Nelle strutture per anziani, a causa del Covid, le fonti di stress lavoro-correlato si sono infatti moltiplicate e, sebbene non vi sia sempre stato un adeguato riconoscimento mediatico dell’impegno profuso e degli sforzi sostenuti all’interno di questi contesti di cura dall’inizio della pandemia, il personale è stato sottoposto ed è tuttora soggetto a enormi pressioni.

Fronteggiare una pandemia in RSA

Durante il primo picco pandemico gli operatori delle RSA si sono ritrovati a fronteggiare una malattia sconosciuta – altamente contagiosa e potenzialmente letale – disponendo di poche informazioni certe, senza protocolli e linee guida di riferimento, con dispositivi di protezione individuale inadeguati o insufficienti e con il timore costante di poter contrarre l’infezione e di poterla trasmettere ai propri assistiti o ai propri cari.

Ulteriori difficoltà: i DPI, la relazione con i pazienti e le loro famiglie

Dall’irrompere del Covid gli operatori hanno inoltre dovuto:

  • modificare ripetutamente le proprie consuetudini lavorative, adattandole all’andamento variabile dei contagi e alle disposizioni in continuo aggiornamento emanate dalle autorità competenti;
  • sostenere turni di lavoro estenuanti e incalzanti per sopperire a carenze di organico strutturali, aggravate dalla positività al virus, dalle quarantene e dalle sospensioni per rifiuto dell’obbligo vaccinale di alcuni colleghi;
  • abituarsi a lavorare indossando per lunghi periodi di tempo scomodi e ingombranti dispositivi di protezione personale che, oltre ad accrescerne la fatica fisica, hanno anche reso estremamente più complessa l’interazione con l’utenza;
  • sottoporsi regolarmente ai frequenti accertamenti diagnostici invasivi previsti dal programma di screening introdotto per l’identificazione precoce di eventuali casi di positività;
  • gestire le proteste dei familiari che, in qualche caso, hanno reagito ai provvedimenti adottati per contrastare la trasmissione del virus (blocco degli accessi, limitazioni alla durata e alla frequenza delle visite, divieto di contatto fisico con i propri congiunti) con rimostranze sfociate in veri e propri episodi di aggressione verbale;
  • sostenere l’aggravio del carico di lavoro derivante dalla necessità di garantire maggiore supporto emotivo e relazionale ai residenti in isolamento, o comunque privati della presenza più assidua e rassicurante dei loro cari;
  • assumersi l’onere non semplice di far rispettare, anche agli ospiti cognitivamente più compromessi e con disturbi del comportamento, le norme sul distanziamento sociale e le altre misure di contenimento dei contagi previste.

Il contagio del personale e la riduzione delle occasioni di confronto

Si aggiunga che negli ultimi due anni e mezzo di pandemia:

  • molti operatori hanno contratto il Covid e, in seguito alla negativizzazione, sono stati costretti a rientrare rapidamente in servizio, nonostante la persistenza di sintomi correlati all’infezione (Long Covid) che, ostacolando il ritorno a una piena operatività ed efficienza, hanno reso ancora più gravoso il loro lavoro e quello dei colleghi;
  • l’aumentato carico di lavoro ha limitato le opportunità di confronto tra operatori, riducendo gli spazi per la condivisione e l’elaborazione dei sentimenti di impotenza, inadeguatezza, paura, rabbia e frustrazione suscitati dalle difficili condizioni lavorative e dai tragici avvenimenti in corso;
  • le restrizioni obbligatorie alla mobilità dei cittadini imposte dal governo per contrastare la diffusione del virus hanno impedito agli operatori di dedicarsi nel loro tempo libero ad attività piacevoli e rigeneranti, di socializzazione e di svago, amplificando l’impatto negativo del distress accumulato durante l’orario di servizio.

Appare quindi più che giustificata l’ipotesi che dall’inizio dell’emergenza epidemiologica i tassi di burnout all’interno delle RSA per anziani siano aumentati. Perché definire l’entità del problema e garantirne una adeguata presa in carico e risoluzione dovrebbero essere considerate delle priorità?

To be continued…

Per approfondire

AA.VV. (2021) “L’assistenza agli anziani non autosufficienti in Italia. 7° rapporto 2020/221-Punto di non ritorno”, ed. Maggioli

Cox, T., Griffiths, A., Rial-Gonzales E. (2000) “Ricerca sullo stress correlato al lavoro”, Agenzia Europea per la Sicurezza e la Salute sul Lavoro & ISPESL.

De Carlo N.A., Falco A. e Capozza D. (2013) “Stress, benessere organizzativo e performance”, ed. Franco Angeli, Milano.

Di Nuovo S. e Rispoli L. (2011), “L’analisi Funzionale dello stress: dalla clinica alla psicologia applicata”, ed. Franco Angeli, Milano.

Di Nuovo S. e Rispoli L. (2000), “Misurare lo stress: il test MSP e altri strumenti per una valutazione integrata”, ed. Franco Angeli, Milano.

Istituto Superiore di Sanità (2020) “Survey nazionale sul contagio Covid-19 nelle strutture residenziali e sociosanitarie”, da www.epicentro.iss.it

Maslach, C., Leiter, M.P. (2000), “Burnout e organizzazione. Modificare i fattori strutturali della demotivazione al lavoro”, Edizioni Erickson, Trento.

Noli M. (2021), “Il Covid-19 e le RSA: prime riflessioni e spunti per il futuro”, da www.luoghicura.it

Rispoli L. (2012), “Il Benessere dell’Azienda. Un nuovo modo di leggere il funzionamento vitale delle organizzazioni”, in Neo-Funzionalismo e scienze integrate, Rivista on-line SEF, Napoli, vol.1.

Rizzi L., Bocasso E. e Casetta L. (2012), “Intervenire sullo stress. Gruppi Benessere e valutazione”, ed. Domeneghini.

Vigorelli P.(2020) “Nuove consapevolezze sviluppate nelle RSA durante l’epidemia”, da www.welforum.it


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L’aumento dei casi di burnout e stress lavoro-correlato ha coinvolto diverse categorie di lavoratori, primi fra tutti coloro che svolgono professioni di assistenza clinica e relazionale alle persone residenti in RSA.

di Claudia Cappellari, Psicologa Psicoterapeuta Psicogerontologa, esperta di invecchiamento e di prevenzione e trattamento di disturbi stress-correlati

Burnout e stress lavoro-correlato: come si manifestano?

Il burnout è il possibile esito patologico della cronicizzazione di uno stato di stress lavoro-correlato e si manifesta con un progressivo esaurimento psicofisico, crescente disimpegno nei confronti dell’attività lavorativa e comparsa di sintomi fisici, psichici e comportamentali (es. cefalee ricorrenti, stanchezza eccessiva, difficoltà di concentrazione, disturbi d’ansia e del tono dell’umore, disturbi del sonno, cinismo, lamentosità, tendenza all’abuso di sostanze psicotrope…).

Oltre a pregiudicare in modo rilevante la qualità di vita del lavoratore, questi sintomi impattano negativamente anche sulla realtà aziendale di appartenenza, comportando criticità e costi imprevisti connessi a:

  • riduzione della qualità delle performance lavorative;
  • calo del rendimento e della produttività;
  • incremento dei tassi di assenteismo, di infortunio e di turnover;
  • aumento dei problemi disciplinari e dei contenziosi legali.

Le categorie più esposte alla sindrome da burnout

Sebbene oggi venga descritto come una sindrome psicologica che può presentarsi nei più svariati contesti occupazionali, il burnout e lo stress lavoro-correlato continua a essere significativamente più diffuso tra coloro che svolgono professioni di aiuto a elevata implicazione relazionale, e particolarmente tra le persone che, nello svolgimento della loro attività lavorativa, si occupano direttamente e quotidianamente di altri esseri umani in grave difficoltà.

Il lavoro in prima linea e l’impegno sostenuto nei contesti di cura

Tra i lavoratori più esposti vi sono gli addetti all’assistenza e gli altri professionisti sanitari e socio-sanitari che operano in prima linea all’interno delle residenze per anziani non autosufficienti, dove è lecito supporre che, dall’inizio dell’emergenza sanitaria conseguente alla diffusione del Covid-19, il rischio e l’incidenza di burnout e stress lavoro-correlato siano sensibilmente aumentati.

Nelle strutture per anziani, a causa del Covid, le fonti di stress lavoro-correlato si sono infatti moltiplicate e, sebbene non vi sia sempre stato un adeguato riconoscimento mediatico dell’impegno profuso e degli sforzi sostenuti all’interno di questi contesti di cura dall’inizio della pandemia, il personale è stato sottoposto ed è tuttora soggetto a enormi pressioni.

Fronteggiare una pandemia in RSA

Durante il primo picco pandemico gli operatori delle RSA si sono ritrovati a fronteggiare una malattia sconosciuta – altamente contagiosa e potenzialmente letale – disponendo di poche informazioni certe, senza protocolli e linee guida di riferimento, con dispositivi di protezione individuale inadeguati o insufficienti e con il timore costante di poter contrarre l’infezione e di poterla trasmettere ai propri assistiti o ai propri cari.

Ulteriori difficoltà: i DPI, la relazione con i pazienti e le loro famiglie

Dall’irrompere del Covid gli operatori hanno inoltre dovuto:

  • modificare ripetutamente le proprie consuetudini lavorative, adattandole all’andamento variabile dei contagi e alle disposizioni in continuo aggiornamento emanate dalle autorità competenti;
  • sostenere turni di lavoro estenuanti e incalzanti per sopperire a carenze di organico strutturali, aggravate dalla positività al virus, dalle quarantene e dalle sospensioni per rifiuto dell’obbligo vaccinale di alcuni colleghi;
  • abituarsi a lavorare indossando per lunghi periodi di tempo scomodi e ingombranti dispositivi di protezione personale che, oltre ad accrescerne la fatica fisica, hanno anche reso estremamente più complessa l’interazione con l’utenza;
  • sottoporsi regolarmente ai frequenti accertamenti diagnostici invasivi previsti dal programma di screening introdotto per l’identificazione precoce di eventuali casi di positività;
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  • l’aumentato carico di lavoro ha limitato le opportunità di confronto tra operatori, riducendo gli spazi per la condivisione e l’elaborazione dei sentimenti di impotenza, inadeguatezza, paura, rabbia e frustrazione suscitati dalle difficili condizioni lavorative e dai tragici avvenimenti in corso;
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De Carlo N.A., Falco A. e Capozza D. (2013) “Stress, benessere organizzativo e performance”, ed. Franco Angeli, Milano.

Di Nuovo S. e Rispoli L. (2011), “L’analisi Funzionale dello stress: dalla clinica alla psicologia applicata”, ed. Franco Angeli, Milano.

Di Nuovo S. e Rispoli L. (2000), “Misurare lo stress: il test MSP e altri strumenti per una valutazione integrata”, ed. Franco Angeli, Milano.

Istituto Superiore di Sanità (2020) “Survey nazionale sul contagio Covid-19 nelle strutture residenziali e sociosanitarie”, da www.epicentro.iss.it

Maslach, C., Leiter, M.P. (2000), “Burnout e organizzazione. Modificare i fattori strutturali della demotivazione al lavoro”, Edizioni Erickson, Trento.

Noli M. (2021), “Il Covid-19 e le RSA: prime riflessioni e spunti per il futuro”, da www.luoghicura.it

Rispoli L. (2012), “Il Benessere dell’Azienda. Un nuovo modo di leggere il funzionamento vitale delle organizzazioni”, in Neo-Funzionalismo e scienze integrate, Rivista on-line SEF, Napoli, vol.1.

Rizzi L., Bocasso E. e Casetta L. (2012), “Intervenire sullo stress. Gruppi Benessere e valutazione”, ed. Domeneghini.

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