L’impatto della pandemia sulle persone con demenza e sui loro caregiver è stato profondo e non adeguatamente narrato. Un peggioramento delle condizioni cliniche e psicologiche di questa fascia della popolazione sembra il denominatore comune. Di seguito un’analisi che approfondisce le cause e traccia un orizzonte possibile.

Tutti noi abbiamo vissuto con fatica i lockdown e le restrizioni imposte dall’emergenza sanitaria, ma che effetto hanno avuto su persone già fragili che non potevano comprendere fino in fondo quello che stava accadendo? La minaccia per anziani con demenza e caregiver non era solo il virus in sé: la rivoluzione nelle loro abitudini quotidiane ha lasciato segni profondi e indelebili.

Per ciascuno di noi la pandemia ha avuto un significato diverso. Tutti, però, abbiamo percepito uno stato d’animo che aumentava di giorno in giorno: lo stress. Il non poter uscire di casa, la paura del virus, le mascherine, il distanziamento sociale, le relazioni interpersonali sempre più ostacolate.

Ma a risentire ancor più di questo stravolgimento della quotidianità è stata una fascia di popolazione già fragile: le persone affette da demenza. E, naturalmente, i loro caregiver. L’emergenza sanitaria e i vari lockdown hanno avuto su di loro un impatto importante: da un lato l’aumento di sintomi legati alla patologia e dei disturbi cognitivi, dall’altro un maggior carico di assistenza sia fisico sia psicologico.

Lo stress

Rimanere tutto il giorno chiusi tra quattro mura ci ha portato a percepire le nostre case come fossero gabbie. Per due mesi e mezzo, l’unico contatto con l’esterno erano televisioni e giornali che incessantemente passavano notizie di nuovi contagi, altri decessi, terapie intensive al limite e misure sempre più restrittive.

Ora, immaginiamo di dover vivere tutto questo mentre nel nostro cervello è iniziato un processo di declino cognitivo che non ci permette di capire completamente quello che sta accadendo attorno a noi. Oppure, mentre dobbiamo prenderci cura di una persona cara, anziana e affetta da demenza, senza più il supporto di professionisti esterni o centri diurni.

«Oltre all’impatto sulla salute fisica, l’epidemia da COVID-19 con lo stress generato dal “sovraccarico di informazioni” può portare alla paranoia e alla sfiducia nelle cure sanitarie. Le scarse ricerche preliminari esistenti suggeriscono un aumento dell’incidenza della depressione, del disturbo post-traumatico da stress e delle reazioni di adattamento negli anziani», commentavano i membri di Formazione Continua In Psicologia, una community online per la formazione e l’aggiornamento in Psicologia e Psicoterapia, che tra febbraio e giugno 2020 aveva realizzato uno studio per valutare proprio l’impatto del lockdown sui pazienti più fragili e su chi li assisteva.

E a proposito di questi ultimi, aggiungevano: «Essere un caregiver per un membro della famiglia o una persona che ha Disturbo Cognitivo Lieve o demenza durante la pandemia aggiungerà senza dubbio ansia, stress e un ulteriore carico alla vita quotidiana». E così è stato.

L’aumento della mortalità

Si è parlato spesso di come gli anziani, e soprattutto quelli più fragili, siano state le vittime principali del Coronavirus. Non è mai stata puntata molto l’attenzione, però, sul legame tra alcune forme di demenza, come l’Alzheimer, e l’infezione in sé.

«È interessante notare – proseguivano su Formazione Continua in Psicologia, – che esiste un’ulteriore predisposizione genetica, con l’apolipoproteina E (allele ApoE-ε4), che è il più forte fattore di rischio per l’Alzheimer ad esordio tardivo (LOAD), che aumenta il rischio di infezione grave da COVID-19, indipendentemente dalla demenza preesistente, dalle malattie cardiovascolari e dal diabete».

Esiste una predisposizione genetica, dunque, che lega le due patologie e favorisce, purtroppo, l’esito infausto del Covid. Una conferma arriva anche da un’indagine dell’Istituto superiore di sanità, in cui si legge che:

«Una revisione sistematica della letteratura ha recentemente documentato come la prevalenza della demenza sia significativamente maggiore nei deceduti da COVID19 rispetto a coloro che non hanno presentato un’evoluzione verso l’esito negativo (17,5% vs 5,4%). Inoltre, dalla metanalisi delle stime di rischio di mortalità disponibili, è emerso come la presenza di demenza aumenti di circa 4 volte la probabilità di morire dopo aver contratto l’infezione da SARS-CoV-2».

L’aumento della mortalità, dunque, non è stato determinato solo dall’abbandono di questi pazienti, come vorrebbe la narrazione dominante***, ma anche da fattori clinici e patologici, che naturalmente all’inizio della pandemia nessuno poteva conoscere. Oltre al fatto che le manifestazioni della demenza sono spesso causa di diagnosi tardive dell’infezione da Coronavirus, che possono facilitare un peggioramento dei sintomi.

In totale, chi soffre di demenza ha riportato un rischio di mortalità di 2,6 volte più elevato rispetto alla popolazione generale.


*** Su rivista CURA ci siamo a lungo spesi sulla necessità di modificare le narrazioni dominanti del settore dell’assistenza agli anziani fragili. Segnaliamo in particolare l’articolo, a cura di Editrice Dapero, intitolato: “Comunicare le RSA: la necessità di una contro narrazione“.



Il peggioramento delle condizioni cliniche

Ma allontaniamoci un attimo da chi ha contratto il SARS-Cov-2. In Italia, non dimentichiamolo, ci sono circa un milione di persone affette da demenza, di cui 700mila con diagnosi di Alzheimer. E anche se non sono entrate in contatto con il virus, hanno dovuto comunque subire i grandi cambiamenti che la pandemia ha introdotto.

«Abbiamo vissuto assieme alle famiglie tutte le difficoltà che hanno dovuto attraversare – ci racconta la dottoressa Francesca Tilloca, psicologa e responsabile della Linea Verde di AIMA (Associazione italiana malattia di Alzheimer) – La demenza, lo sappiamo, è una malattia che investe tutta la famiglia e che ha ricadute su più livelli, sia sui pazienti che sui caregiver».

La Linea Verde è attiva da 26 anni e fin dai primi mesi è diventata un osservatorio privilegiato della situazione che stavano attraversando anziani e familiari. Tra febbraio e novembre 2020, gli operatori hanno risposto a circa 3.500 telefonate, con picchi di quasi 500 chiamate durante i mesi di marzo, settembre e ottobre.

Importante peggioramento delle condizioni cliniche, accentuazione dei disturbi cognitivi, ulteriore perdita dell’indipendenza funzionale e aggravamento o comparsa di disturbi del comportamento sono i principali segnali che i caregiver hanno notato nella persona di cui si prendevano (e si prendono) cura.

«Un paziente affetto da demenza ha già un equilibrio fragile e precario – fa notare la dottoressa Tilloca. – A livello cognitivo, fa fatica a orientarsi nel tempo e nello spazio. Quello che aiuta a compensare questa difficoltà è una routine quotidiana ben collaudata, abitudini che rendano l’ambiente più prevedibile. Tutto ciò da un momento all’altro è stato interrotto».

In una survey telefonica rivolta ai caregiver di pazienti seguiti dal Centro per i Disturbi Cognitivi e le Demenze del Policlinico Umberto I di Roma, e riportata nell’indagine dell’ISS, è emerso come, durante il lockdown nazionale, più della metà dei pazienti avessero presentato l’insorgenza o l’esacerbazione di disturbi comportamentali quali agitazione, aggressività, apatia, depressione. Circa un terzo di loro aveva mostrato un ulteriore peggioramento dei disturbi cognitivi.

I ricercatori greci che citavamo prima, invece, hanno chiesto a 204 caregiver, che per tre quarti erano donne, di rispondere a un questionario che riguardava la persona fragile e il loro carico di assistenza. Ne emergeva come gli aspetti più colpiti dalle misure restrittive fossero la comunicazione, l’umore e il movimento. Oltre, naturalmente, alla difficoltà di conformarsi alle restrizioni stesse.

In particolare, negli over79 affetti da demenza, si è notato un declino generale con un progressivo calo delle capacità comunicative e una maggiore apatia. «Anche la mancata presenza di alcuni componenti della famiglia, durante il lockdown, ha avuto un impatto negativo, perché la loro vicinanza costituiva una fonte di sostegno emotivo, oltre che di aiuto pratico», sottolineava in un documento l’Associazione italiana di Psicogeriatria.

Come mai si è verificato questo peggioramento

La questione cruciale è che le persone con demenza, così come i loro caregiver, si sono ritrovate da sole. La maggior parte dei Centri per i disturbi cognitivi e le demenze ha dovuto limitare se non sospendere del tutto le attività.

Chiusi i centri diurni, cancellati gli appuntamenti per le visite: la gestione integrata e la presa in carico dei pazienti fragili è risultata carente. L’unico aiuto rimasto è stata l’implementazione di servizi da remoto, i quali hanno permesso di monitorare le condizioni cliniche di tutti pazienti seguiti e di individuare chi era più a rischio. Oltre alla possibilità di fornire un supporto alle famiglie per quanto riguarda l’assistenza e la cura.

«Quasi tutti i pazienti che seguiamo si sono aggravati – conferma Francesca Tilloca. – Hanno attraversato momenti di forte destabilizzazione, dovuta anche all’isolamento sociale. È stato sospeso tutto: dalle attività dei centri diurni alle RSA aperte che in Lombardia, ad esempio, prevedono anche servizi a domicilio, come la stimolazione cognitiva, la terapia occupazionale o la fisioterapia.

A questa situazione già pesante, si è sommata poi la difficoltà di reperire neurologi e geriatri per visite a domicilio. Di conseguenza i pazienti hanno proseguito la loro terapia, ma senza che questa fosse implementata o modificata, laddove ce ne fosse stato bisogno».

Le misure per il Covid

E poi c’era il virus, che circolava e mieteva vittime. «I caregiver ci chiedevano come dovevano comportarsi nel caso in cui qualcuno risultasse positivo – ricorda la dottoressa Tilloca. – La quarantena, l’uso delle mascherine e il distanziamento hanno rappresentato un problema serissimo perché l’anziano non era in grado di comprendere le ragioni di queste misure.

Il contatto fisico e l’espressione del viso sono parti integranti del linguaggio non verbale, che è un aspetto importantissimo per una persona che non è più in grado di comprendere l’informazione razionale contenuta nella forma verbale. Tutta questa situazione ha portato un repentino peggioramento dei disturbi comportamentali come ansia, agitazione, stati depressivi e ritiro dalle attività della vita quotidiana».

L’impatto sui caregiver

Dall’altra parte della relazione c’erano loro: i caregiver. Per la maggioranza donne e familiari dell’anziano stesso, anche perché chiedere l’aiuto di una persona esterna è apparso spesso come un rischio in una situazione di pandemia.

«A un certo punto c’è stata anche difficoltà a trovare delle badanti – ci spiega Francesca TIlloca, – perché magari queste avevano dei nuclei familiari esterni e le famiglie hanno scelto di rinunciare, pur di non mettere a rischio il malato fragile a casa. Non dimentichiamo oltretutto che molte badanti hanno dovuto trascorrere lunghi periodi di quarantena, soprattutto all’inizio, quando ci si basava ancora sul doppio tampone negativo».

Perciò una persona, magari non più giovanissima, si ritrovava a doversi occupare della sua situazione lavorativa, che nel frattempo poteva anche essere diventata precaria, e della salute del parente anziano, con pochissimi supporti dall’esterno.

«Le domande ai nostri operatori della Linea Verde riguardavano la riapertura dei servizi e delle terapie non farmacologiche – ricorda la dottoressa. – C’è stato anche un generale senso di incertezza relativo alle risorse economiche. Ci sono anche famiglie che hanno perso il lavoro o avuto un importante calo nelle entrate. In alcuni casi hanno dovuto rinunciare alla badante per questo motivo.

Il generale senso di incertezza relativo alle risorse economiche ha aggravato ulteriormente la condizione delle famiglie che hanno dovuto fare i conti con una riorganizzazione di mezzi, spazi e tempi carica di preoccupazione e ansia. Inoltre, coloro che hanno continuato a lavorare fuori, accudendo il malato al domicilio, hanno riportato gravosi sensi di colpa associati alla paura di rappresentare un veicolo di contagio. Moltissimi sono stati gli interventi di supporto psicologico ai familiari nell’affrontare il disagio emotivo e il progressivo esaurimento delle risorse psico-fisiche».

Per chi invece aveva i propri cari ospiti nelle RSA, la questione diventava più dolorosa. «Stati emotivi di smarrimento, di impotenza, dolorosi e oppressivi – prosegue Tilloca. – Si è reso necessario un sostegno al lutto*** molto intenso, quando un familiare veniva a mancare in RSA e non avevano potuto salutarlo.

Questa mancanza ha interferito in modo profondissimo con i riti sacri della morte. È stato devastante per i familiari, così come per chi ha visto un proprio caro andarsene in ambulanza e non fare più ritorno. Alla fine, tutto questo è convogliato in stati depressivi molto importanti».


*** Suggeriamo la lettura del libro: Non sono più io. Come fronteggiare l’interminabile lutto nella demenza (Editrice Dapero, 2020) – Autori: E. Mencacci, V. Busato, A. Bordin.



Le principali preoccupazioni di chi assisteva

Secondo uno studio della University of British Columbia in Canada e del British Columbia Children’s&Women’s Hospital di Vancouver, fatto proprio per comprendere meglio le necessità delle persone con demenza e dei loro caregiver durante la pandemia, le principali preoccupazioni di questi ultimi riguardavano il fatto di non poter far visita al proprio familiare in RSA, la paura che questo potesse contrarre il Covid, la paura che badanti o assistenti domiciliari contagiassero il familiare, la riduzione dell’assistenza domiciliare, la preoccupazione che il proprio caro non riuscisse a comprendere la situazione.

E ancora: l’aumento delle responsabilità come caregiver, l’aumento dei compiti e del carico assistenziale, la preoccupazione per lo sviluppo di abitudini poco sane da parte dell’anziano, quella di non poter essere presenti al momento della morte del proprio caro, ma anche l’incapacità di prendersi una pausa dal fornire assistenza.

«Nelle chiamate che abbiamo ricevuto sono emerse inoltre richieste di aiuto nella gestione dell’aggravamento della malattia, che in molti casi era arrivata a uno stadio finale con conseguente necessità di cure palliative». Francesca Tilloca sottolinea proprio come questo tipo di domande sia stato tra i più pressanti.

Cos’abbiamo imparato

Oggi la situazione di emergenza è finita. Conviviamo con il virus da un anno e mezzo e abbiamo dovuto attrezzarci con misure non più d’urgenza, ma destinate a durare nel tempo. Tra i lasciti di questo periodo così sconvolgente c’è sicuramente un uso più diffuso dei dispositivi telematici, anche per quanto riguarda il sanitario e il sociosanitario

«La pandemia ha stravolto le nostre abitudini, ma ha reso più accessibili certe informazioni a livello digitale – conferma la psicologa. – Ad esempio, all’inizio dalla raccolta dati sul nostro sito emergeva che la maggior parte degli accessi arrivava dal Nord, mentre ora le diverse aree d’Italia si equivalgono. Abbiamo digitalizzato il Paese e favorito la circolazione delle informazioni. Le famiglie ora possono contare su un’organizzazione dei servizi telematici a distanza decisamente migliore di quella che era disponibile all’inizio della pandemia».

Tra le tante lezioni che dovremmo appuntarci, c’è sicuramente anche quella dell’importanza degli strumenti digitali che possono aiutare a far percepire meno le distanze, dal punto di vista sia emotivo che pratico. In una fase in cui avere contatti con i medici curanti e gli specialisti era così complicato, il monitoraggio a distanza, i servizi di supporto psicologico e i gruppi di mutuo aiuto hanno rappresentato davvero un’ancora importante a cui aggrapparsi.

Prima della prossima pandemia dovremo sviluppare un meccanismo consolidato per non lasciar solo nessuno, soprattutto chi non può far sentire la propria voce.

Sitografia di riferimento

  1. L’impatto della pandemia di covid-19 sulle persone con demenza. Istituto superiore di sanità. 2020
  2. The impact of COVID-19 pandemic on people with mild cognitive impairment/dementia and on theircaregivers. International Journal of GeriatricPsychiatry. 2020
  3. L’impatto di COVID-19 sulle persone con demenza e sui caregiver: confronto tra uno studio italiano e uno canadese. Valore in RSA. 2021
  4. L’impatto del COVID-19 su Alzheimer/demenza e Caregiver. Formazione continua in Psicologia. 2021

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Casa Editrice Indipendente per una cultura condivisa nel settore dell’assistenza agli anziani.

L’impatto della pandemia sulle persone con demenza e sui loro caregiver è stato profondo e non adeguatamente narrato. Un peggioramento delle condizioni cliniche e psicologiche di questa fascia della popolazione sembra il denominatore comune. Di seguito un’analisi che approfondisce le cause e traccia un orizzonte possibile.

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